Mercoledì, 22 Luglio 2020 08:33

L’amianto scaricato nei boschi vibonesi. Così i boss avvelenano il loro stesso territorio

Scritto da Sergio Pelaia
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Sapevano bene quello che facevano, tanto che tra loro avevano anche commentato: «Nooo… è peccato cà, jà». Eppure il «peccato» poi lo hanno commesso lo stesso, probabilmente non solo quella volta. È una storia, l’ennesima, di terra avvelenata per soldi, di un territorio stuprato per conseguire profitto ad ogni costo. Emerge dalle pagine del decreto di fermo dell’operazione “Imponimento” (qui i nomi degli arrestati e qui gli affari del clan Anello-Fruci) e racconta di come, nell’estate del 2017, un paio di imprenditori ritenuti sodali della cosca – Daniele Prestanicola e Tonino Monteleone, entrambi arrestati – abbiano sversato un bel po’ di rifiuti, anche pericolosi, persino eternit, in mezzo a un bosco, eseguendo senza tanti scrupoli un ordine arrivato proprio da «idu», il boss di Filadelfia Rocco Anello.

Lo stesso Anello, intercettato, parlava di «quaranta camionate di calcinacci, più due con eternit». Il materiale proveniva dal cantiere in cui si stava realizzando il resort “Galia” a Pizzo Calabro: 686 metri cubi di materiali inerti provenienti da demolizioni edili, comprensivi di calcestruzzo, materiale ferroso, oltre che frigoriferi e altro, nonché 220 metri quadri di eternit (pari a 28 metri cubi di volume), costituiti da lastre «rimosse dagli stessi operai di Anello Rocco, e non da un’impresa specializzata, e quindi senza la predisposizione di alcun protocollo tecnico che limitasse la volatilità delle fibre di amianto che dalle lastre potessero sprigionarsi».

Tutto sarebbe andato a finire in alcuni terreni compresi tra i territori di Sant’Onofrio, Pizzo Calabro, Maierato, Vazzano e altri Comuni dell’Angitolano. Appezzamenti di terreno che in parte rientrerebbero anche nel Parco Naturale delle Serre, un’area protetta regionale sottoposta a vincoli paesaggistici e ambientali. Vincoli che per alcuni non valevano granché, perché il boss aveva scelto quel posto: «Ha deciso che doveva portarli qua [...] Quando decide [...] Come dice una cosa [...] Fa in quel modo e basta». Una volta completate le operazioni, poi, Anello non avrebbe avuto problemi a procurarsi, grazie alla compiacenza di un imprenditore del settore dello smaltimento, la falsa documentazione attestante la consegna, presso il suo centro autorizzato, di parte dei rifiuti prodotti.

L'unico problema, per i due imprenditori che dovevano eseguire lo scarico, era che qualche pattuglia della Forestale potesse coglierli in flagranza: «Qua ti vedono subito quando esci. Oddio, la mattina alle sei potresti scaricare anche qua. La mattina alle sei uno può fare che cazzo vuole». Basta che non lo si faccia nel proprio cortile. Quando infatti uno dei due imprenditori aveva proposto all’altro di sotterrare il materiale in un terreno di sua proprietà, la risposta era stata una bestemmia: «...ma mannaia a… u materiale inquinante mu porti a casa mia».

Nel bosco, invece, la cosa sarebbe stata veloce, il materiale non sarebbe stato neanche occultato ma semplicemente scaricato sul suolo: «Quando entriamo nella stradella devi camminare. Quando arrivi, ribalti e ce ne andiamo». Tanto, poi, commentavano gli uomini del boss, «li vede qualcuno, sicuramente, poi reclamano e li tolgono». Piccolo dettaglio: i rifiuti trasportati erano già «rotti» circostanza questa che, trattandosi di lastre di eternit, avrebbe evidentemente comportato il rilascio delle fibre di amianto nell'ambiente circostante.

Seguendo le indicazioni contenute nelle conversazioni intercettate, gli inquirenti si recano in un bosco a cui si accede da località Vaioti a Sant’Onofrio (area individuata per realizzare la discarica di servizio dell'"eco-distretto" vibonese), scoprendo che l’area verde risulta sotto la tutela della Regione Calabria e del Consorzio di Bonifica Tirreno Vibonese. Gli agenti della Polizia giudiziaria si addentrano nel bosco lungo una strada sterrata fino ad arrivare a uno spiazzo dove individuano un cumulo di materiale di risulta ed eternit che, però, sembrava essere parte di una più ampia quantità rimossa da un escavatore. In tutta l’area, la parte antistante i rifiuti era l’unica zona priva di vegetazione botanica. Sul posto era ancora visibile il nastro bianco e rosso riportante la scritta “carabinieri", utilizzato probabilmente per porre l’area sotto sequestro. Insomma qualcuno si era accorto dei rifiuti scaricati e le autorità erano intervenute. Tutto come avevano previsto gli uomini incaricati dal boss di avvelenare quello come altri terreni. Non è questo, infatti, l’unico episodio di smaltimento illecito di materiale di risulta dei cantieri. Da quanto si legge nelle carte dell’inchiesta, qualcosa di simile sarebbe avvenuto anche «all’interno del bacino idrografico del Lago Angitola», una delle aree di maggior pregio naturalistico dell’intera regione.

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