Lunedì, 13 Febbraio 2017 13:52

Il killer di Nicholas Green scrive al capo dello Stato: «Mi faccia tornare un uomo libero»

Scritto da Redazione
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È stato condannato in Appello al massimo della pena. Condanna, questa, confermata anche dalla Corte di Cassazione. Per i magistrati, insomma, è stato lui a premere il grilletto il 29 settembre 1994 contro l'autovettura dei coniugi americani Green, sul tratto della Salerno-Reggio Calabria tra Vibo e Mileto, scambiandola con quella di un gioielliere da rapinare.

Un errore, insomma, che costò la vita al piccolo Nicholas. Michele Iannello, vibonese con un passato da killer della 'ndrangheta, in questi anni si è sposato, ha messo al mondo due figli, abita con la famiglia al Nord e di mestiere fa l'operaio in una fabbrica di elettrodomestici. Nonostante la condanna all'ergastolo, però, Iannello un paio d'anni fa è uscito dal carcere su disposizione del giudice di Sorveglianza di Torino, il quale lo ha ritenuto «meritevole di scontare il resto dei suoi giorni ai domiciliari». Un ergastolano fra le mura di casa. Sembrerà strano, ma è così. «Ha collaborato con la giustizia in modo pieno e attendibile», scrive il Tribunale di Sorveglianza di Torino riconoscendo tuttavia l’«importante criticità» del caso Iannello, al quale vengono naturalmente imposti dei limiti: «Non potrà frequentare bar, discoteche, ristoranti e luoghi pubblici se non per il tempo strettamente necessario a consumare i pasti e negli orari di concessione; nessun rapporto con pregiudicati o tossicodipendenti; nessun abuso di alcolici e nessun uso di droghe; niente armi ed esplosivi; non potrà allontanarsi dal Comune di residenza...».

«Se il mio cliente avesse confessato anche l’assassinio del bambino avrebbe evitato l’ergastolo e avuto i benefici di legge, oltre al programma di protezione. Ma non poteva farlo visto che non l’ha commesso», sostiene l’avvocato Claudia Conidi, difensore di Iannello, intervenuta per il Corriere.it. «I giudici hanno comunque dimostrato che la condanna all'ergastolo è da prendere con beneficio d’inventario». In questi giorni Iannello ha scritto una lettera al capo dello Stato, Sergio Mattarella, chiedendo la grazia «o almeno — precisa il legale — una pena temporanea perché la condizione di restrizione domiciliare perpetua è disumana. Ricordo che in primo grado era stato assolto per non aver commesso il fatto». La vicenda dell'uccisione di Nicholas Green è tornata alla ribalta delle cronache per la morte di Andrea Mongiardo, l’adolescente che ha vissuto 22 anni con il cuore del piccolo. Dopo la tragedia, la famiglia Green sorprese infatti tutti decidendo di donare gli organi del figlio che furono impiantati a sette cittadini italiani.

«Signor presidente — scrive ora il condannato nella lettera — lo giuro, io non c’entro. Fu mio fratello a commettere l’omicidio del bambino, usando la mia autovettura. Non me la sentii di accusarlo in prima battuta... non sono quel mostro che hanno dipinto. È vero, ho commesso omicidi ma li ho confessati tutti e sono stati delitti di mafia, scontati con il carcere, fatti per non essere a mia volta ucciso, perché nelle faide funziona così: o uccidi per primo o sei tu a morire. Mi stringo al cuore dei genitori di Nicholas, capendo ora da padre quanto dolore possano avere. Ogni giorno Nicholas è nei miei pensieri». Infine, il colpo a effetto: «Alla mia morte, se qualcosa del mio corpo sarà ancora buona, donerò gli organi per salvare la vita a qualche persona, almeno sarò utile a qualcuno». E invoca la libertà piena: «La prego, signor Presidente, mi dia la possibilità di tornare un uomo libero. Per dare ai miei figli quel sorriso che un giorno si è spento sul volto di Nicholas».

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