Domenica, 30 Luglio 2017 10:59

Donne e ‘ndrangheta, la storia di Pino Luzza e della sua famiglia in una tesi di laurea

Scritto da Redazione
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Matteo Luzza, fratello di Pino e referente regionale di Libera Memoria Matteo Luzza, fratello di Pino e referente regionale di Libera Memoria

Di seguito pubblichiamo un estratto della tesi di laurea di Rita Greco, giovane studentessa di Serra San Bruno che si è laureata all’Università Magna Graecia di Catanzaro (dipartimento di Scienze giuridiche, storiche, economiche e sociali; corso di Laurea in Organizzazione delle amministrazioni pubbliche e private) proponendo e discutendo un elaborato dal titolo “Il dominio della ‘ndrangheta nella realtà sociale. Uno studio su donne e ‘ndrangheta”, relatore prof.ssa Sabrina Garofalo. L'estratto è frutto di un lungo colloquio con Matteo Luzza, responsabile regionale di Libera Memoria.

Matteo Luzza è un esempio di uomo coraggioso nella lotta alla 'ndrangheta, testimone dell'atroce violenza subita dal fratello Giuseppe, il 15 gennaio del 1994. Matteo sostiene che la morte del fratello è stato un avvenimento traumatico, devastante, inspiegabile per una famiglia pulita e corretta come la sua. Pino, cresciuto ad Acquaro, nel Vibonese, lavorava con il padre nell'impresa edile di famiglia, era un ragazzo disponibile, volenteroso. Amava il suo paese, si impegnava durante il tempo libero ad organizzare le attività della Pro Loco. Per questo motivo la sua scomparsa lascia tutti senza parole, senza una spiegazione. Siamo a metà degli anni '90, periodo in cui in Calabria, dopo decenni di faide fra i principali clan del Reggino, si avvia una grande espansione economica della holding criminale della ‘ndrangheta. Solo in Calabria dal 1991 al 30 giugno 2007 vengono sciolti per il rischio di condizionamento mafioso 38 comuni, di cui 5 in provincia di Vibo Valentia, dove era ed è ancora oggi forte il dominio della famiglia Mancuso, una delle cosche considerate dagli inquirenti fra le più pericolose della Calabria. Numerosi furono gli scontri tra le diverse cosche per il controllo del mercato della droga, del territorio e dei business tradizionali. Sono anni in cui in questa provincia la 'ndrangheta è in trasformazione e la vita delle persone è funzionale ai disegni criminali. E la storia raccontata da Matteo ci dimostra perfettamente questo scenario criminale, che si arricchisce distruggendo vite umane. Pino, era un normalissimo adolescente, poco più che ventenne, caduto solamente nell'errore di innamorarsi di una ragazza a lui non destinata. La sorella della ragazza, era la moglie del boss Antonio Gallace, oggi all'ergastolo con sentenza resa definitiva dalla Corte di Cassazione. Gallace considerava “roba sua? la vita della cognata. Spettava a lui in quanto uomo d'onore, decidere con chi la giovane avrebbe dovuto sposarsi. Sicuramente non con Pino, ragazzo estraneo agli ambienti 'ndranghetistici. Pino fu ucciso brutalmente dai killer della Piana. Dopo essere stato stordito fu gettato in buca, cosparso di benzina e bruciato insieme a dei tappetini di gomma d'auto e, ancora non soddisfatti, i killer a turno sparavano sul suo corpo. Una violenza atroce, spropositata e gratuita. Pino, non era un criminale, era solo un normalissimo giovane innamorato della vita, ma la normalità purtroppo in Calabria è un lusso che non è concesso a molti. Secondo la testimonianza del fratello Matteo, Pino, quasi tutte le domeniche, per abitudine, faceva un giro al mercatino di Vibo, per incontrare i suoi amici, ma il giorno del 15 gennaio non fece ritorno. Non era sua abitudine non avvisare e per questo motivo scatta subito la denuncia da parte dei familiari. Nessuno dei suoi amici sapeva nulla e furono avviate le ricerche. Tutti si chiedevano che fine avesse fatto, se avesse visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Due mesi di domande, tormenti, di continue manifestazioni e visite. Nessuno aveva fatto capire la motivazione vera e propria della sua scomparsa. In giro si diceva solamente che Pino frequentava da pochi mesi una ragazza. Lui andava spesso ad Arena con la macchina del padre per incontrarla. I soliti primi passi di una fresca conoscenza tra due giovani innamorati. Ma quelle innocenti passeggiate, in un paese piccolo, non rimasero inosservate. Nei due mesi successivi alla scomparsa di Pino, è stata la stessa ragazza ad aprire agli inquirenti la strada giusta, che portò agli arresti prima e al ritrovamento del corpo in seguito. Il corpo fu ritrovato il 21 marzo 1994, in una buca nella campagna di Dinami, su indicazioni dell'esecutore del delitto, Gaetano Albanese. Messo alle strette dai carabinieri nell'indagine che ha coinvolto le zone di Laureana di Borrello, Rosarno, una volta divenuto collaboratore di giustizia ha dichiarato che l'accaduto è avvenuto per fare un favore al boss Antonio Gallace, poiché solo lui poteva decidere a chi destinare la ragazza. La ragazza ancora oggi vive con la madre ad Arena, dopo la morte di Pino non si è legata più a nessun uomo, non si è più sposata. Questo omicidio era un motivo di orgoglio per il mandante, tutti all'interno dell'organizzazione mafiosa dovevano sapere che era stato lui ad ordinarlo. Tante volte si pensa che una persona venga uccisa per qualche tipo di legame con questo ambiente, ma in realtà si può morire anche da innocenti. L'omicidio l'hanno fatto in sette, uno di questi, ancora minorenne, inviò una lettera alla famiglia Luzza per confermare il favore fatto al boss nonostante l'innocenza del ragazzo. I primi arresti sono stati fatti dopo due anni, nel '96, ma per mancato riscontro gli arrestati sono stati subito scarcerati. Il primo processo si è svolto nel '98-'99. La Corte Suprema di Cassazione ha poi confermato l'ergastolo a vita per Antonio Gallace, gli altri collaboratori sono stati condannati a pena superiore ai 20 anni, il minorenne a 22 e Gaetano Albanese a 26 anni di pena. La fase del processo è stata devastante per Matteo e la sua famiglia, poiché nei tribunali in quei tempi, la parte della vittima si sentiva sola ed emarginata. Nei processi i delinquenti erano sostenuti da tutti i familiari, mentre il ruolo delle vittime era sempre marginale. Questo sistema negli ultimi anni ha manifestato un cambiamento. Oggi, chiunque può partecipare in questi processi, in modo che la vittima non si senta più sola. Per Matteo essere parte civile in un processo è anche una forma di riconoscenza verso le forze dell'ordine che si impegnano tanto a contrastare tale fenomeno. «Costituirsi parte civile significa affermare: voi ci state danneggiando e se è possibile noi danneggiamo voi» (Matteo Luzza).  La fase del processo è stata vissuta con la voglia di ottenere giustizia e restituire alla vittima dignità e verità. Ciò che ha cambiato il processo di rielaborazione di Matteo e della sua famiglia è stato l’incontro con Libera, rete di associazioni che si occupa di tutte le attività necessarie a mantenere vivo il ricordo delle vittime innocenti delle mafie. La data del 21 marzo è la stessa scelta da Libera per ricordare quanti come Pino sono stati travolti dalla violenza delle mafie. Matteo ha visto per la prima volta don Luigi Ciotti - presidente e fondatore di Libera - in televisione e preso dalle sue belle parole ha deciso di aprirsi. Matteo sentiva la necessità di reagire a quel dolore, a quella solitudine che tormentava il suo stato d'animo.  Matteo era timido inizialmente e, nel rapporto speciale con suo fratello, trovava la sua forza. I primi periodi dopo l'accaduto sono stati tragici, ma l'incontro con Libera l'ha portato a cercare un senso a quella morte.  Il cambiamento è stato quello di trasformare la rabbia e la solitudine in altro. Per Matteo all'inizio non è stato semplice parlare di quei brutti ricordi, ma il suo racconto l'ha aiutato a non rimanere isolato nel dolore. La rete di Libera che ha creato questo movimento sulla memoria, oggi ha permesso di rendere pubblico un omicidio, che anche se privato riguarda tutti, poiché riguarda il nostro contesto territoriale. L'importanza di questo movimento è stato rendere queste memorie da private, pubbliche, come forma di resistenza. Secondo quanto detto da Matteo, mogli di diversi mafiosi si sono rivolte a Libera per chiedere un sostegno nell'allontanamento dei propri figli dall'ambiente di appartenenza - come dimostra il percorso individuato dal Tribunale dei Minori di Reggio Calabria - ciò dimostra che si arriva ad una certa consapevolezza del pericolo, nelle famiglie di 'ndrangheta. Una percentuale alta di questi minorenni, dopo aver scontato la pena, cambia completamente vita, mentre gli adulti criminali difficilmente si lasciano aiutare. Per questa ragione si punta maggiormente all'educazione dei giovani, operando soprattutto nelle scuole. «Pino è stato ucciso per “dignitudine” ma è stato Matteo insieme alla sua famiglia a testimoniare il senso più profondo della dignità. Loro hanno costruito nell'azione quotidiana, quella domanda di verità e giustizia che è una domanda di dignità anche politica, per dimostrare che se la 'ndrangheta crede di aver vinto uccidendo, sbaglia. Le promesse di impegno radicate nella memoria vanno oltre la morte, frantumano dinamiche di potere e ci rendono liberi, perché la memoria rende liberi» (Garofalo S. messagginellabottiglia83.blogspot.com, 15 gennaio 2017). Questa storia dimostra come le organizzazioni criminali mirano al controllo pieno delle persone, fino alla completa distruzione del loro corpo. Il nostro territorio, la nostra società civile, come afferma Umberto Santino, sono dominate da un potere personalizzato, dove non vi è una differenza tra sfera pubblica e privata, il controllo viene esercitato totalmente sulla vita delle persone e la sudditanza prende il posto della cittadinanza. «Gli uomini d'onore sorvegliano la condotta sessuale delle donne, la loro sottomissione è simbolo di purezza. L'onore coincide con un'idea di virilità che si nasconde nel monito dell'uomo mafioso, dove amore e pudore sono un nesso indissolubile dell'essere veri uomini, quindi virili» (Ingrascì, 2007). Questa figura di uomo virile, vede la donna come un oggetto da manovrare per creare le sue alleanze, arrivando a sacrificare la sua libertà di scelta, i suoi sentimenti, distruggendo tutto ciò che per lei è prezioso. «Sono tante le storie di uomini comuni che si innamorano di donne che non possono amare, donne che rompono i tabù dell'onore e dignitudine, oltre quel confine prestabilito. Dimostrare di avere il controllo sulla famiglia equivale a dimostrare di avere il controllo sul territorio. La dignitudine, considerazione che gli altri hanno di te, è una sorta di intersezione tra i concetti di onore e riconoscimento pubblico e privato, è ciò che deve essere tutelato nella percezione altrui. È per dignitudine che si uccide, per dimostrare il potere di dominare la vita delle persone» (Garofalo S./Ioppolo L., Onore e dignitudine, Falco Editore, 2015). Pino è vittima innocente di questa mentalità, di questa subcultura mafiosa che storpia il vero significato dei termini e delle parole, per ottenere consenso. La 'ndrangheta scoperta dalla famiglia Luzza è proprio quella definita signoria territoriale. Il controllo delle risorse, della vita e dei sentimenti delle persone, vieta la libertà di innamorarsi ed essere felici.

 

Rita Greco

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