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Venerdì, 23 Marzo 2012 15:55

Michele Tassone e la Chiave delle Serre

Scritto da Sergio Gambino
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mini nigri“Serra è la mamma di la zampogna”, questo uno dei tanti detti calabresi che tesseva le lodi della nostra fiorente cittadina. Nella tradizione musicale serrese, troviamo peculiarità del tutto diverse, quasi anomale, rispetto a tutto il resto della Calabria. Nella prima metà dell’ottocento vi sono in Serra costruttori e suonatori di “bengiu e mandulinu”, strumenti che venivano suonati quotidianamente anche dai ceti sociali più bassi. Costruttori e suonatori di chitarra battente, costruttori e suonatori di zampogna. La zampogna a chiave. Nel resto delle Calabrie gli strumenti più diffusi sono le varianti della zampogna "a paru" (si fa riferimento alla lunghezza delle due canne melodiche), "surdulina" nella Sila e più lunga, nel reggino. Poi la "chiave" nelle Serre, da qui, poi, l’inventiva e la sperimentazione di costruttori del livello di Monteleone da San Giorgio Morgeto, partoriscono la cosiddetta “ammoderna”, copia in piccolo della zampogna a chiave, (ma senza la chiave), ma con uguale foratura e proporzioni.

Sebbene anche nelle Serre, la contaminazione dello strumento arriva con “la gridazzara o terzaluori”, strumento a paru e senza chiave.

La presenza in Serra di artisti provenienti da Napoli - dove invece la chiave era in uso, come del resto mandolino e banjo - che lavoravano all’interno della Certosa, giustifica questa migrazione di strumenti da Napoli all’entroterra della Calabria ultra.
In Serra, dopo le devastanti conseguenze dovute all’invasione savoiarda, come del resto tutte le innumerevoli attività artistiche e artigiane, va scemando anche la liuteria tradizional: l’ultimo costruttore di chitarra battente, Pisani detto “lu chitarraru”, muore annegato assieme alla figlia, anch’essa costruttrice e abile suonatrice dello strumento, nell’alluvione del 1935.
Ma lo strumento elettivo della popolazione serrese rimane la zampogna. Minzietti e Romani, nelle misure più diffuse, anche se con altre varianti (sidici o diciuottu). In Serra, o meglio in Spadola in località Gattariedhu, nel nostro secolo, vive un uomo industrioso. Bruno Tassone, (nasce a Spadola il 2 Aprile 1896 e muore all'età di 79 anni a Serra San Bruno il 14 Gennaio 1975) detto “Lu Nigaru”, per il colore olivastro della sua carnagione. Appartiene ad una famiglia di suonatori e di costruttori, ma lui è quello che riesce ad esportare lo strumento e il gusto musicale serrese in tutta la Calabria. Abile suonatore, ma soprattutto abilissimo costruttore. Insegna ai suoi figli l’arte della liuteria e della musica tradizionale, trasformando la sua numerosa famiglia (sedici figli) in una piccola azienda. Tra i figli Nazzareno, Vito, Ciccio, scomparso di recente, che trasferitosi a Sant’Andrea sullo jonio, condivide le sue conoscenze con i fratelli Ranieri ai quali insegna la musica e li presenta a Bruno, suo padre, che avvia Peppe Ranieri alla costruzione, Leonardo, grandissimo suonatore di zampogna e pipita, sicuramente il migliore dei suonatori tradizionali vivente, e Michele, anch’egli grande suonatore, il più abile tra i figli nella costruzione. Bruno designa lui come erede nella continuazione dell’arte di famiglia. E Mastro Michele, con le tecniche utilizzate dal padre, continua a tornire le sue essenze per costruire strumenti. Entrare nel suo laboratorio dà una sensazione di pace. Utensili costruiti da lui stesso, alcuni tramandati, altri rifatti o migliorati. Il tornio, no, quello è rimasto perfettamente identico. Rigorosamente a pedale. 
E Michele continua la sua opera di conservazione quasi fosse un bibliotecario, un archivista, che mantiene gelosamente vivo il suo sapere in modo orale, ma che trasmette con gioia ed entusiasmo a quei giovani che ancora si avvicinano a lui per apprendere.
Michele è un pozzo di sapere. La sua conoscenza spazia dalla scelta della pianta da destinare al nobile uso, al taglio, alla stagionatura, ai tanti segreti di quella meravigliosa alchimia che trasforma un pezzo di legno in note musicali.
“La mia porta è sempre aperta a voi, venite a chiedermi quello che volete, che ve lo insegno”. E la porta di Michele è sempre aperta davvero ai quei giovani, a quegli studiosi, etnomusicologi e "star" della musica tradizionale calabrese che vanno a trovarlo, ricevendo in offerta, oltre al suo sapere, sempre gentilezza, e almeno un bicchiere di vino…
La mia amarezza è solo quella di vedere quel poco che è rimasto del grande splendore artistico che fece Serra la Piccola Firenze, lasciato ai margini. Sarebbe compito delle Istituzioni, se per caso ancora si possano chiamare tali, valorizzare queste persone, che sarebbe poi valorizzare il territorio, nella ricerca di peculiarità, di argomenti, di attrattive anche per un turismo sostenibile e culturale, nella rivalutazione di mestieri e di arti che stanno perdendosi.
La rivoluzione culturale che può riscattare questa terra può nascere solo da una riappropriazione della propria cultura, nello specifico tornando alla nostra musica, alla nostra cucina, alla nostra terra. La rinascita dei paesi devastati dalla globalizzazione che arricchisce solo pochi e affama i tanti, partirà solo con una localizzazione economica e culturale, magari nelle Serre sul suono di una “minzetta” di Mastro Michieli lu Nigaru. (foto, da sinistra: Michele, Vito e Bruno Tassone)

 

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