Sabato, 07 Marzo 2015 14:04

La Calabria non ha bisogno di Salvini

Scritto da Salvatore Albanese
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Matteo Salvini sta per arrivare. L’entusiasmo è palpabile, anche se la platea non è poi così variegata, due o tre profili di supporter al massimo.

Ci sono i neofascisti di Casa Pound, giovani ed eccitati, convinti di aver trovato finalmente il nostrano Front National che da tempo vanno bramando; poi una sfilza di politicanti di lungo corso, alcuni vecchi democristiani ante seconda Repubblica, altri che invece la filiera missina l’hanno attraversata tutta: ex Msi, ex An, poi con Fini, poi nel Pdl, fino a divenire oggi delusi cronici del totem decadente e decaduto di Silvio Berlusconi. Altri ancora, più semplicemente, cercano l’ennesimo cavallo vincente per mantenersi a galla, e forse l’hanno trovato.

Tutti insieme appassionatamente ammucchiati sotto l’ombra di Matteo Salvini, il leader della Lega Nord pronto adesso ad ammaliare il profondo Sud. E, per non restare indietro, anche la Calabria pare ormai prossima a riconvertirsi al sole delle Alpi. L’8 gennaio scorso nasceva a Lamezia Terme l’associazione “Sovranità - Prima gli italiani”, «per sostenere – era scritto in una nota –  politicamente, culturalmente e organizzativamente le battaglie di Salvini nella nostra regione». Ad annunciarlo il portavoce del nuovo soggetto politico Antonio Felice Zaffina, ma anche il vicepresidente di Casa Pound Italia, Simone Di Stefano. Passano sole dodici ore e subito si leva la contesa in materia di primo geniture sull’avvento in Calabria dell’uomo nuovo della destra italiana: è il senatore Raffaele Volpi a rivendicare: «Nella regione esiste un solo movimento che si riconosce in Matteo Salvini». Si chiama “Noi con Salvini” e appunto Volpi ne sarebbe il portavoce unico. Come se non bastasse, alla manifestazione nazionale dello scorso sabato 28 febbraio, una nutrita delegazione di calabresi ha solcato mezzo stivale per partecipare all’adunata “fascioleghista” in Piazza del Popolo a Roma. Insomma, dal Pollino allo Stretto, tutti vogliono Matteo Salvini.

Eppure, a queste latitudini, di raduni del Carroccio non se ne era mai sentito neanche l’odore. Nessuno ha mai indossato costumi celtici, né si è bagnato la fronte con l’acqua delle ampolle del Pò ed Alberto da Giussano resta ancora poco più di una leggenda ripassata con noia dal libro di storia del terzo superiore. Ma in realtà, le “effusioni d’amore” tra Salvini e la Calabria sono state tante. Molte riportano alla memoria i comizi meno recenti del giovine Matteo. Come quello del 6 agosto 2012 a Manerba del Garda, quando nei “tempi bui” della Lega, di fronte ad una sparuta schiera di spettatori, spiegò: «Noi siamo quelli che si battono per eliminare i forestali della Calabria, i dipendenti sempre in malattia. “Prima il Nord” non è più solo uno slogan, è una necessità. Puoi aiutare qualcuno per qualche anno, e non per intere generazioni. Se la Lombardia al netto ci perde 4mila euro per abitante, in Calabria ce ne guadagnano 3mila». Oppure – altra chicca – quella del 2 ottobre dello stesso anno, quando, durante la presentazione di alcune proposte referendarie della Lega a Milano, tuonò dal palco: «La Lombardia e il Nord l’euro se lo possono permettere. Io a Milano lo voglio perché qui siamo in Europa. Il Sud invece ha bisogno di un’altra moneta, l’euro non se lo può permettere». Come è strana la vita: chi potrebbe mai credere che lo stesso buon oratore Salvini raccatta adesso, ovunque, applausi da leader antieuro e meridionalista convinto, innamorato, perfino, della nostra Regione. La stessa Calabria che per molti dei militanti padani avrebbe dovuto essere presto spazzata da cataclismi e terremoti vari: «ne gioverebbe l’Italia». Ancora più noto, forse perché facilmente rintracciabile sul web, il coro in rima baciata  intonato a Pontida con un’allegra combriccola di amici contro i terroni «colerosi, che puzzano come i cani e con il sapone non si sono mai lavati». Così cantava, dunque, amabilmente Salvini che oggi in versione “scurdamoce ‘o passato” ritratta: «Non abbiamo mai attaccato i cittadini, ma piuttosto il cattivo governo».

Come fare altrimenti per incrementare la base elettorale? Dopo tutto, ancora per il momento, anche ai calabresi è riconosciuto il diritto di voto. Sarà mera questione di numeri, perché fino a pochi mesi fa tutti qui in terronia restavamo fermamente convinti che il mantra della Lega Nord fosse proprio quello dell’anti Mezzogiorno assoluto, eccetto per quella cosuccia da nulla che vide Francesco Belsito, ex tesoriere genovese del partito, arrestato per aver riciclato i soldi della calabresissima ‘ndrangheta. Oppure come quando un testimone di primissimo livello, Francesco Oliverio, collaboratore di giustizia, ex capo del locale di Barbaro Spinello (in provincia di Crotone), il 21 agosto 2013, iniziò a raccontare, in maniera molto dettagliata, del delicatissimo rapporto fra la cosca De Stefano e i vertici del Carroccio.

Allora – divagazioni a parte – come può la Calabria subire il fascino del leader Salvini? Sarà forse per via dell’evidente metamorfosi del leghista medio che, posti nel cassetto gli slogan anti-meridionali – ma anche quelli sulla secessione, sul federalismo, sulla devolution, sulla nazione padana, sulla lotta al centralismo romano –, adesso si preoccupa di roteare nervosamente la risaputa sciabola del rozzo egoismo leghista in faccia al nuovo nemico pubblico numero uno: l’immigrato. Perché, in definitiva, l’evoluzione che ha portato la Lega – almeno a parere dei sondaggisti – dal 3% al 13%, sta tutta nella sua “innovativa” vocazione nazionale. Il resto è il solito disco rotto: dalle ronde in camicia verde alle rivolte fiscali. Ora, però, l’aria che tira insegna che, per aver successo ovunque, bisogna calcare la mano sull’anti-islamismo, l’anti-immigrazione, l’anti-multiculturalismo. Basta guardarsi intorno ed il passo è breve per avviare serrati contatti con l'estrema destra europea e nazionale. Ecco, la grande crescita di Salvini e della Lega Nord è tutta qui: alimentare l’odio e la separazione come se fosse questa la ricetta della felicità nell’epoca della globalizzazione, della multietnia, della libera circolazione di monete, capitali, documenti, uomini e merci. Perché un arabo in quanto arabo non può entrare a priori in Europa, ma il suo petrolio sì.

Accantonata la xenofobia sovvertitrice dell'unità nazionale, lasciate alle spalle le maxi tangenti Enimont, i diamanti comprati con i rimborsi elettorali, le lauree fasulle in Albania, le corruzioni e le altre vicende  di "familismo amorale", eccoci pronti, anche in Calabria, ad applaudire vigorosamente al moralista Salvini, che eppure è figlio di quella stessa storia. Sottoprodotto di un partito che lo vede attivo protagonista da oltre vent’anni. Una storia fatta di sistematici insulti alla dignità delle popolazioni meridionali, vittime in alcuni frangenti anche di gesti gravi e deplorevoli. Ecco perché risulterebbe davvero imbarazzante se un numero consistente di italiani, di cittadini del Mezzogiorno, della Calabria, si sentisse anche solo per un giorno rappresentato dai fautori di campagne d'odio che stanno contribuendo ad avvelenare la nostra società, ad affossarla ulteriormente, sfruttando la sofferenza, la marginalità ed il disagio di milioni di esseri umani.

Manca forse la maturità politica e culturale ad una buona parte di cittadini, di elettori, ad un popolo di ex emigranti, che in cambio di uno sputo in faccia allo straniero, appaiono disposti a chiudere entrambi gli occhi di fronte al curriculum conclamato della Lega. Forse la crisi non ha intaccato soltanto il nostro potere d’acquisto. A pagarne il prezzo è anche l’assetto culturale, la qualità del confronto, la nostra memoria collettiva. Altrimenti non si spiegherebbe la presenza di Salvini, o di suoi fan sfegatati, fra la gente di quel Sud che fino all’altro giorno era considerato semplicemente un’accozzaglia di parassiti e zoticoni ignoranti. Come per magia siamo diventati di colpo interessanti, appetibili, utili. L’ipocrisia del segretario della Lega Nord va oltre ogni limite: non possiamo farci prendere in giro da questo politicante. Da chi ha sempre giudicato l’uomo in base alla pelle, all’origine, all’appartenenza, alla nazionalità e non piuttosto alla condotta. Rifiutiamo di considerare con innocenza e stupore chi, solo fino a ieri, ci trattava alla stregua di una palla al piede da cui liberarsi il prima possibile.

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