Martedì, 16 Gennaio 2018 13:28

Vietata la caccia (ma non di voti)

Scritto da Salvatore Albanese
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(Foto: www.parcodelleserre.it) (Foto: www.parcodelleserre.it)

Com’è strano il destino del Parco delle Serre, un’area protetta contraddistinta da un patrimonio faunistico e forestale unico. Una riserva naturale dove è vietata la caccia alla lepre, al cinghiale, alla beccaccia e al cardellino ma non ai voti. Un ente pensato per la valorizzazione e la tutela dell'ambiente, ma che in realtà negli anni non ha mai trovato la forza di tutelare prima di tutto se stesso, di rendersi avulso da quelle dinamiche risapute, discusse e discutibili, dal sapore elettorale. L’integrità funzionale, la valenza sociale e culturale, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa di un’istituzione che poteva offrite tanto a un territorio montano sempre più isolato dal resto del mondo – sotto il profilo occupazionale e dell’erogazione dei servizi in particolare – è stata sistematicamente nel tempo mortificata per il solo scopo di salvaguardare, non il patrimonio forestale, ma specifiche carriere politiche e posizioni di potere.

Un ente sottodimensionato per numero di dipendenti, in particolare per quel che riguarda gli operai qualificati che dovrebbero occuparsi, ascia e martello in mano, della manutenzione di un territorio montano di 17.687 ettari complessivi e all’interno del quale ricadono ben 25 comuni appenninici del centro Calabria. Nonostante vi sia la piena consapevolezza di quelle che sono le difficoltà legate al fatto di non avere a disposizione personale proprio, il Parco resta per lunghi mesi in letargo. Non indice bandi, non avvia progetti utili a incrementare la pianta organica e ad acquisire quella forza lavoro utile a garantire quantomeno lo svolgimento delle attività di manutenzione ordinaria. Non lo fa, sarà una mera coincidenza, se non in prossimità delle tornate elettorali. Perché, quando più te l’aspetti, l’ente di via Santa Rosellina si illumina di colpo. Riapre le short list per i professionisti, da il via ai tirocini, ai percorsi formativi e ai progetti occupazionali, al salato prezzo però di essere gettato, nudo e crudo, nella mischia della sanguinaria campagna elettorale di turno. Strumento di monete sonanti che qualcuno potrà riscuotere ad urne ancora calde. Frotte di disoccupati e di professionisti, purché elettori, vengono selezionati per essere i nuovi/vecchi tirocinanti o i nuovi/vecchi consulenti. Il tutto rigorosamente in prossimità del voto, nel cuore della campagna elettorale. Bandi e colloqui che rispetto alla selezione definitiva troveranno in mezzo lo spartiacque della domenica da trascorrere in cabina elettorale. Uno scenario che si riproporrà probabilmente fra qualche giorno, a ridosso delle politiche del 4 marzo, e già visto quando per le Regionali del 2014 si registrò un’infornata di tirocini ordinata dal centrodestra scopellitiano, che usò gli aspiranti tirocinanti esattamente come ora vorrebbe fare il centrosinistra, i cui epigoni locali, all'epoca, si stracciarono le vesti per denunciare «un evidente sistema clientelare». Ora il gioco delle parti vuole che sia l’area politica dirimpettaia ad ammantarsi di verginità, ad esprimere dubbi sui modi e sui tempi. «Una scelta che già si prefigura discrezionale e avulsa da ogni obiettiva ragione di merito», le accuse di fuoco mosse ieri dal consigliere regionale di Forza Italia, Mimmo Tallini, rispetto ai recenti movimenti registrati nella sede di via Santa Rosellina.

Il Parco, dunque, sarà anche una «scatola vuota» – così come la definisce chiunque prenda pubblicamente la parola per parlarne – ma si trasforma puntualmente, alla vigilia di ogni voto, in una scatola delle illusioni. Indipendentemente da chi si trovi al potere, così il centrosinistra oggi, così il centrodestra ieri. Per chiunque l’ente naturalistico è un mero strumento di campagna elettorale, altrimenti i bandi e gli avvisi per le selezioni avremmo avuto il piacere di consultarli anche in periodi “morti”, quando i big della politica non si azzuffano con ferocia fra di loro per procacciare consensi. Quando non vi sono consultazioni elettorali in vista, di nessun genere e livello: nazionali, regionali, locali. Chi non ricorda, ad esempio – oltre alle già citate campagne elettorali per le Politiche 2018 e per le Regionali del 2014 – quello che accadde alle Comunali di Serra San Bruno del 2011 con i famigerati «100 posti di lavoro al Parco» promessi dall’ex sindaco Bruno Rosi. Chi negli anni si è trovato coinvolto in questi giochetti, ad ogni livello, da una parte e dall’altra, dovrebbe renderne conto invece che presentarsi agli elettori come fresco e illibato ora che le parti si sono capovolte.

Come ieri anche oggi, in queste ore, il diritto al lavoro viene piegato alle perversioni retoriche di chi intende semplicemente consolidare una posizione di potere con il voto del 4 marzo usando per il proprio tornaconto elettorale il bisogno di padri e madri di famiglia, quello di giovani professionisti che magari dopo il lungo percorso di studio si ritrovano seduti sulla poltrona di casa a girarsi i pollici.

L’unica soluzione allora per salvare un ente che tante opportunità avrebbe da offrire ogni giorno a questo territorio, e non solo in periodo di campagna elettorale, è irrimediabilmente quella di concludere al più presto la fase commissariale. Una fase avviata nel 2010, che da straordinaria e temporanea si è trasformata in routinaria ed eterna. È tempo di smetterla con le nomine e le proroghe semestrali dei commissari, si passi presto a una procedura di selezione di un presidente e degli organismi previsti dalle legge che possano operare con maggiore autonomia possibile per il bene dell’ente e del territorio, senza dover rendere conto alla parte politica che li nomina. Altrimenti vorrà dire che l’intenzione è semplicemente ancora quella di mantenere ad hoc una condizione di incertezza obbligata dall’emergenza permanente in cui si possa continuare a sguazzare con disinvoltura.

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