Mercoledì, 05 Gennaio 2022 14:33

L'omicidio di Capodanno e il dolore degli altri. È ora di dire basta

Scritto da Sergio Pelaia
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C’è una comunità intera, non solo la gente di Soriano ma tutta quella delle Serre e del Vibonese, che da qualche giorno è ripiombata in un buio ben più cupo di quello illuminato dai fuochi della notte di San Silvestro. Un figlio, un marito, un padre non ancora 40enne è stato ucciso mentre usciva dal salone del barbiere, quel luogo in cui ognuno trova nella confidenza di un gesto rituale una pausa da ciò che lo aspetta fuori.

All’esterno di quella porta, a pochi passi dal centro storico di Soriano, Giuseppe de Masi ha invece trovato chi gli ha sparato a sangue freddo (e a volto scoperto) lasciando la sua vita su un selciato che resterà macchiato per sempre. Il barbiere è finito in ospedale sotto shock e non si può certo pretendere da un onesto artigiano di paese che diventi la chiave per decifrare un delitto tanto plateale quanto tragico.

Continuare a insistere sul passato della vittima, che era stata coinvolta in due processi ma assolta in entrambi casi, serve quanto chiedersi ossessivamente se il caso passerà alla Direzione distrettuale antimafia o ne resterà titolare la Procura ordinaria.

La cronaca è un diritto e un dovere e va fatta sempre e comunque ma la nostra categoria può fare anche autocritica. Può anche dire che rivangare ripetutamente il passato non serve a nulla, come conterà solo fino a un certo punto se il cerchio attorno ai killer si restringa presto oppure tardi

Certo, i responsabili vanno assicurati alla Giustizia e dovranno rispondere delle loro azioni, ma ciò può rappresentare solo una magra consolazione per le persone care alla vittima e per un territorio che ha visto e vede scorrere ancora troppo, troppo sangue.

Rocco Mangiardi, originario di Soriano ma residente da anni a Lamezia Terme, dove in un’aula di Tribunale non ha esitato a indicare volto e nome di chi pretendeva di carpire con la violenza il frutto del suo sudore, ha commentato l’omicidio di Capodanno con poche ma significative parole che vorremo richiamare facendole nostre.

«Col passare degli anni – ha scritto Mangiardi su Facebook – provo sempre più dolore dinanzi a questi accadimenti, e poco mi importa se Giuseppe era un buono o un cattivo: era anche egli un essere umano. È il contesto in cui vivi, sono gli incontri buoni o sbagliati che ci costruiscono, nel bene o nel male. Il bene cresce dal bene e il male dal male».

Ecco. Dieci anni fa scrivevamo su questo giornale che è sempre più comodo, per la cosiddetta gente perbene, non parlare, non sentire e non vedere. È ancora così. «Fin quando si ammazzano tra di loro…» è la frase che si sente dire in questi casi ai benpensanti, che si illudono che il dolore e le colpe siano sempre degli altri.

È semplicemente un modo per lavarsi le mani, anzi per avallare la mentalità di chi si arroga il diritto di togliere la vita a qualsiasi essere umano e per qualunque motivo possibile. La mattanza degli innocenti non si è ancora fermata. E far finta di non vedere ciò che accade sotto le nostre finestre, o cercare di cavarsela con qualche parola di circostanza, non servirà a niente.

Sarà sempre tardi ma possiamo comunque svegliarci e renderci conto del territorio in cui viviamo. E cercare di cambiarlo davvero.

 

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