mini incidente_mammolaUn incidente terribile, nel primo pomeriggio di oggi, è costato la vita a quattro persone che viaggiavano sulla S.G.C. Jonio-Tirreno. Si è tratta di uno scontro frontale avvenuto al km 31, all'altezza di Mammola, nel quale sono rimaste coinvolte due auto, una Nissan Micra e un'Audi A3. A perdere la vita, come detto, quattro persone mentre una quinta persona e' rimasta ferita e si trova nel reparto di rianimazione dell'Ospedale Civile di Locri. Tre delle vittime del terrificante incidente stradale sono originarie di Guardavalle (Cz): Giuseppe Franco (18 anni), Antonio Andreacchio (20 anni) e Cosimo Pugliese (26 anni) che erano a bordo della Nissan Micra, mentre sull'Audi A3 viaggiavano Antonio Giorgi (50 anni) di San Luca, deceduto, e il nipote 26enne Giovanni Giorgi, trasportato d'urgenza in Ospedale in grave pericolo di vita. La statale risulta ancora chiusa al traffico dall'Anas per consentire le operazioni dei mezzi di soccorso. Sul posto stanno operando i carabinieri ed i vigili del fuoco.

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mini SpagnuoloI giudici del tribunale di Vibo Valentia hanno assolto, perche' il fatto non sussiste, quattro imputati coinvolti nell'inchiesta chiamata 'Golden House' accusati di abuso d'ufficio, abusivismo edilizio, e violazione delle ordinanze emesse dopo l'alluvione del 3 luglio del 2006. Si tratta di Giacomo Consoli, ex dirigente comunale del settore urbanistico, gli imprenditori Francesco Mirabello e Pietro Naso, ed il progettista dei lavori Gioele Pelaggi. Dopo quasi sei ore di camera di consiglio è arrivato il verdetto tanto atteso, che scatenato la gioia degli imputati. Si chiude quindi con l'assoluzione degli imputati il processo Golden House. Con le indagini partite tre anni fa, erano stati ipotizzati i reati di abuso in concorso e abusivismo edilizio per tutti, mentre a Consoli veniva inoltre contestato, in qualità di dirigente della ripartizione urbanistica del Comune, l'omessa revoca dei permessi a costruire dopo la pubblicazione dell'ordinanza n. 61 con la quale veniva adottato il piano Versace 2.

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mini Pileggi-fratelli-aggressione-ViboneseTre fratelli di San Nicola da Crissa, Giuseppe, Nicola e Rosaria Pileggi, rispettivamente di 79, 72 e 65 anni, già noti alle forze dell’ordine perché imputati di tentato omicidio ai danni di una vicina di casa, si sono resi protagonisti dell’ennesimo episodio di cronaca. I tre, sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari, hanno violato tale restrizione della libertà personale per uscire, asce in pugno, a tagliare legna da ardere. Una volta fuori di casa, i tre anziani si sarebbero messi ad inveire nuovamente contro la vicina di casa, già loro vittima di tentato omicidio, la quale spaventata si sarebbe barricata in casa. Sul luogo dell’accaduto sono giunti i Carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno e della locale Stazione, coordinati dal capitano Esposito Vangone, che una volta accertatisi di quanto stesse succedendo, avrebbero cercato di far desistere i tre fratelli per farli tornare in se e rispettare gli obblighi previsti dalla legge. I tre anziani, per tutta risposta, avrebbero opposto resistenza e usato violenza contro i militari che nella bagarre, nata appunto per tentare di convincere i recidivi a lasciare le asce e a tornare in casa, avrebbero riportato alcune escoriazioni e lacerazioni alla divisa. I tre sono stati nuovamente arrestati e tradotti agli arresti domiciliari con l’accusa di resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Nel luglio scorso i tre fratelli erano finiti in manette per aver attentato alla vita della loro vicina di casa, una cinquantenne del luogo, accoltellata per due volte alla schiena. Mentre nel novembre scorso erano stati sorpresi dai carabinieri su un autobus ed arrestati in quanto avrebbero dovuto trovarsi ai domiciliari appunto per l’accusa di tentato omicidio. I tre erano saliti su un pullman diretto a Vibo Valentia, confondendosi tra gli studenti presenti, ma riconosciuti dai militari dell’Arma, dopo le formalità di rito, sono stati rispediti nuovamente ai domiciliari.

 

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mini antoniobarileSembra non avere fine la tragica sequela di intimidazioni che la criminalità sta riservando al sindaco di San Giovanni in Fiore, Antonio Barile. Il sindaco PDLlino, durante la sua carriera politica, è stato più volte vittima di atti intimidatori di vario genere. L'ultimo in ordine di tempo, lo aveva reso noto, egli stesso, proprio ieri mattina durante una conferenza stampa, asserendo che il 28 dicembre scorso, i bulloni di tre ruote della propria auto erano stati allentati da sconosciuti. A rendersi conto del grave episodio era stata la moglie del primo cittadino di San Giovanni, mentre percorreva, con l'auto del marito, la strada che da Cosenza porta a Crotone.

Nella notte scorsa si registra l'ennesimo episodio: sempre un gruppo di ignoti, ha tagliato gli alberi di un giardino poco lontano dal municipio e imbrattato i muri limitrofi con scritte ingiuriose ai danni del sindaco. ''Stiamo lavorando - ha dichiarato Antonio Barile - in una azione amministrativa tesa all'efficienza, al risanamento, al risparmio, al recupero del patrimonio e di servizi che prima erano esternalizzati, con aggravi per le casse comunali. Sono certamente amareggiato, preoccupato anche per le stesse modalita' dell'accaduto che destano apprensione perche' certamente, e' un segnale che c'e' qualcuno che sta agendo intenzionalmente e premeditatamente nei miei confronti e del ruolo che svolgo e che inevitabilmente si ripercuote sulla mia famiglia. Ne' io ne' chi lavora con me nell'azione di governo locale, abbiamo paura, abbiamo preso le nostre precauzioni ma non ci fermiamo, sapendo che stiamo lavorando nell'esclusivo interesse della citta'''

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mini manoscrittoLo storico inglese Christopher Duggan, nel suo saggio “La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 ad oggi", sostiene che il nucleo emotivo su cui si basa l’unità d’Italia sia debole ed inconsistente. Figlio di ambizioni e frustrazioni, di slanci e di sconfitte, vi è stata l’incapacità da parte dello Stato nazionale di risolvere la cosiddetta Questione Meridionale. Per dirla con Sciascia, si parla di questione meridionale grazie all’impegno degli scrittori meridionali, senza le cui denunce essa sarebbe rimasta una “leggenda nera”. Cantore in presa diretta della nascita dello Stato unitario e della Questione Meridionale, dei problemi ad esso connaturati e dei danni che il nuovo governo arrecò al Mezzogiorno ed in particolare alla Calabria, è stato il poeta Mastro Bruno Pelaggi (Serra San Bruno 15 settembre 1837 – 6 gennaio 1912) che visse quasi tutta la sua parabola umana a Serra San Bruno, patria anche dell’amico, più volte ministro, Bruno Chimirri. Il poeta serrese faceva uno dei mestieri più duri, lo scalpellino; aveva imparato la vita alla severa scuola della crudezza e aveva improntato la sua esistenza ai principi morali della giustizia e dell’uguaglianza, assumendo il concetto del bene e del giusto quale regola inflessibile di condotta, che osservò con estrema coerenza, senza timore di scontrarsi con l’ordine costituito e con la moralità del tempo. Esaminando le liriche di Mastro Bruno è possibile rinvenire, in alcuni componimenti, dei concetti e dei principi omogenei. Pur non potendo parlare di pensiero sistematico, in quando il poeta scalpellino non ebbe una cultura letteraria né tantomeno filosofica, è possibile tuttavia parlare di una concezione etico-politica che caratterizza la maggior parte delle sue poesie e che ne fa un acuto osservatore e denunciatore della nascente Questione Meridionale. Non si può parlare di una “poetica politica” come frutto di una coscienza di classe, essa è figlia piuttosto di un “istinto di classe” che nasce dalla consapevolezza che al mondo esistono due categorie di esseri, gli sfruttatori e gli sfruttati, e dalla percezione del poeta serrese di appartenere a quest’ultima. In Mastro Bruno la Questione Meridionale, come rilevato dallo studioso Biagio Pelaia che ha curato “Li Stuori” (nota raccolta dei versi di Pelaggi) fin dalla prima edizione, si manifesta non soltanto come testimonianza diretta, ma soprattutto come vicenda umana personalmente vissuta e sofferta che lo conduce, partendo dalla propria esperienza, a fare delle considerazioni e delle riflessioni più generali ed universali che saranno poi alla base della coscienza meridionalistica. Mentre vi è una serie di otto componimenti interamente dedicati al periodo monarchico-unitario, vi è un frammento costituito da otto quartine dal titolo “Quand’era giuvinottu” in cui il poeta serrese tenta di cogliere, dal suo punto di vista e a posteriori, le differenze tra il regime borbonico e quello unitario, facendo riferimento anche all’attività cospirativa nei confronti del primo.

Quand’era giuvinottu,                                                                                          Quand’ero giovanotto

jio mi ricuordu appena                                                                                            io mi ricordo appena

ca si dicia ca vena                                                                                                   che si diceva venisse

Cientumasi;                                                                                                                           Cientumasi;

di sira, ‘ntra li casi,                                                                                              di sera, dentro  le case,

cu’ certi carvunari,                                                                                                      con certi carbonai,

pimmu ‘ndi dinnu mali                                                                                                  per parlarci male

dilli Borboni                                                                                                                         dei Borboni.

Ch’era ‘nu lazzaroni                                                                                            Che fosse un lazzarone

‘n sigrietu si dicia;                                                                                               segretamente si diceva;

c’ognunu non vulìa                                                                                        perché ognuno non voleva

mu parra forti,                                                                                                          parlare ad alta voce,

picchì a sicura morti                                                                                               perché a sicura morte

jia ‘ncuntru, o carciratu                                                                               andava incontro, o carcerato

e pue cadia malatu                                                                                                   e poi cadeva malato

e si futtia.                                                                                                                            e si scornava.

Tandu non capiscia;                                                                                         Allora non potevo capire;

però (mancu li cani!),                                                                                         però (cosa malagevole!)

cu chist’atri suvrani                                                                                              con questi altri sovrani

si dijuna.                                                                                                                                  si digiuna.

‘N Calabria ormai la luna                                                                                  In Calabria ormai la luna

Va sempi alla mancanza,                                                                                        va sempre a mancare,

e non c’è cchiù spiranza                                                                                        e non c’è più speranza

ca ‘ndargimu.                                                                                                            che ci risolleviamo.

 C’arriedi sempi jimu,                                                                     Poiché andiamo sempre più indietro,

 li mastri e li fatighj;                                                                                sia le maestranze e sia il lavoro;

chissu lu capiscivi                                                                                                        questo l’ho capito

non di mò;                                                                                                                     da molto tempo;

Ca lu Guviernu vò                                                                                                        perché il governo

sulu pimmu ‘ndi spògghja,                                                                                     vuole solo spogliarci,

mu ‘ndi leva la vòggjia                                                                                  facendoci passare la voglia

mu stacimu…                                                                                                               di rimanere qui…

In questo componimento, nei versi iniziali, Mastro Bruno, ricordando uno dei tanti episodi della sua gioventù, riporta un piccolo squarcio dell’attività cospirativa che verosimilmente dovrebbe datarsi intorno al 1848, quando la propaganda antiborbonica era molto intensa. Cientumasi era il cospiratore, quello che oggi sarebbe identificato col termine “terrorista”, uno dei briganti ribelli che all’epoca erano mal sopportati dall’assolutismo borbonico. Dai primi versi traspare la segretezza e la paura dell’attività cospiratrice pre-risorgimentale di cui anche i piccoli centri come Serra San Bruno erano interessati. Di certo il regime borbonico non sopportava critiche o denunce sociali e gli autori erano puniti con il carcere o addirittura con la morte. Il poeta dopo aver descritto quest’attività pone il confronto col regime unitario ed il dato di fatto emergente è sconvolgente. Se durante la monarchia borbonica la libertà, soprattutto quella di espressione e dissenso, era pressoché negata, se il regime assolutistico faceva di tutto per mantenere la Calabria nell’arretratezza sociale e nella conseguente povertà, col nuovo regime sabaudo le classi che potremmo definire proletarie sfiorano la fame e vengono sommerse da nuove tasse per rimpinguare le casse dello Stato piemontese che si era fortemente indebitato e la cui economia era assai inferiore rispetto a quella dello stesso Stato borbonico. E’ noto agli storici come le maestranze artigianali, che spesso erano dei veri e propri artisti, dopo l’unificazione entrarono in un periodo di crisi inarrestabile che ne comportò un lento e inesorabile processo di decadenza fino alla loro scomparsa.

Basta! – Simu ‘Taliani! –                                                                                  Basta! – Siamo Italiani -

Gridamma lu Sissanta.                                                                               Abbiamo gridato il Sessanta.

(Ad Umberto I, vv. 69-70)

Per il cosiddetto meridionalismo classico, la Questione Meridionale consiste nella mancata integrazione economica del Sud nel processo di sviluppo capitalistico a cui era avviato il Nord, mentre per le correnti d’ispirazione marxista questa integrazione in realtà è avvenuta, ma secondo le modalità con cui il capitalismo, nella sua fase avanzata, rende funzionale al suo sviluppo l’economia dei paesi arretrati, annettendoli ed utilizzandoli come serbatoio di manodopera a basso costo e come colonia a cui vendere i prodotti. Le parole di Mastro Bruno sono emblematiche nell’esprimere la passione con cui anche i ceti proletari e più poveri hanno guardato all’unificazione; il passaggio di Garibaldi nella penisola fu infatti motivo di acceso patriottismo anche tra i ceti meno abbienti, che guardavano all’unità come alla promessa di un futuro migliore. L’impresa dei Mille sembrava voler chiamare tutti gli italiani verso una meta comune, superando ogni differenza etnico-localistica. Ma questo non avvenne e dopo l’Unità le divergenze sociali ed economiche riaffiorarono. Con la caduta delle barriere doganali un maggiore flusso di viaggiatori ed uomini di cultura arrivò nel Mezzogiorno e, non conoscendo la realtà sociale e le ragioni dell’arretratezza, si espressero con motivi di disprezzo nei confronti della gente del Sud. A ciò è da aggiungere come improvvisamente il nuovo Stato si trovò a fare fronte ai debiti contratti dallo Stato sabaudo, per risolvere i quali si procedette ad una politica di tassazione più marcata proprio nel meridione. Sul popolo calabrese, dopo l’Unità d’Italia, si abbatté una serie infinita di tasse: la comunale e la provinciale, la tassa di famiglia e quella sul macinato, oltre all'inimmaginabile tassa di successione e all'impensabile leva obbligatoria. La gente del meridione, dopo aver vissuto l’illusione di essere riscattata dall’unità nazionale, dovette rassegnarsi di nuovo e il Mezzogiorno subì un abbandono non soltanto economico ma soprattutto sociale e morale. Cosi Mastro Bruno, esprimendo disperazione e solitudine e identificando l’uomo meridionale sfruttato e deriso dai potenti nonché deluso dagli uomini, scrive al Re:

Picchì hai mu li nascundi                                                                                   Perché devi nascondere

li gridi calabrisi?                                                                                                        i lamenti calabresi?

Non pagamu li spisi                                                                                             Non paghiamo le tasse

‘guali a tutti?                                                                                                                      uguali a tutti?

Ma tu ti ‘ndi strafutti;                                                                                             Ma tu te ne strafotti;

li deputati cchiùi:                                                                                               i deputati ancora di più:

duvi ‘ncappama nui,                                                                                          devo siamo capitati noi,

povar’aggenti!                                                                                                                    Povera gente!

(Ad Umberrto I, vv. 97 – 104)

Ma non avendo nessuna risposta da Umberto I il poeta decide di rivolgere il suo lamento al Padreterno, nella speranza che almeno il cielo si accorga della sofferenza che attanaglia il meridione e la sua provvidenza sconvolga l’ordine terreno basato sulla diseguaglianza:

Non vidi, o Patritiernu,                                                                                      Provvedi, o Padreterno,

lu mundu mu sdarrupi,                                                                                        a distruggere il mondo,

ch’è abitatu di lupi                                                                                              perché è abitato da lupi

e piscicani?                                                                                                                           e pescecani?

(Lettera al Padreterno, vv 1- 4)

A nui ‘ndi scuorticaru                                                                                      A noi ci hanno scorticato

li previti, l’avaru                                                                                                                i preti, l’avaro

e lu Guviernu.                                                                                                                     e il governo.

(Lettera al Padreterno, vv 110 - 112)

In effetti, tra il 1865 ed il 1890 lo Stato unitario spese ingenti somme per l’acquisto di beni ecclesiastici e demaniali, che di fatto impedirono investimenti che avrebbero potuto ottimizzare l’agricoltura meridionale. Il degrado in cui fu lasciato il Mezzogiorno fece sì che l’insicurezza economica dei comuni del sud causasse il rifiuto dei loro amministratori nei confronti di prestiti a condizioni vantaggiose per la costruzione di opere pubbliche, con la conseguenza che  di queste condizioni vantaggiose approfittarono settentrionali intraprendenti che vedevano in questi prestiti una sorta di investimenti redditizi a lunga scadenza. Alla fine Mastro Bruno Pelaggi, deluso ed amareggiato, preso dallo sconforto e sentendo tutte le sue forze svanire, decide di raccontare il suo tribolare alla luna, quale unica e impassibile spettatrice delle sue sofferenze, affidando al suo mutismo il compito di raccoglierle e portarle a riposare con se. Essa è l'interlocutore a cui il poeta serrese rivolge i suoi lamenti, con la consapevolezza di non ottenere mai risposta, poiché essa rappresenta l'infinito, l'eterno e l'immortale, è insomma quello che un uomo non potrà mai essere.

Quantu’agghjuttivi amaru                                                                         Quante amarezze ho ingoiato

‘ntra ‘st’esistenza mia!                                                                                       in questa mia esistenza!

Luna, si non niscia                                                                                              Luna, se non fossi nato

quant’era mieggju!                                                                                                       quant’era meglio!

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mini carmelo_gallicoLa Polizia ha arrestato in Spagna il boss della 'ndrangheta Carmelo Gallico, di 48 anni, capo dell'omonima cosca di Palmi. Gallico si nascondeva in un'abitazione nel centro di Barcellona. L'arresto e' stato eseguito dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e dai Mossos d'Esquadra di Barcellona, con il supporto del Servizio centrale operativo e del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia. Carmelo Gallico era latitante dal 30 novembre scorso, giorno in cui la Dda di Reggio Calabria aveva emesso un provvedimento di fermo a suo carico. Analoghi provvedimenti erano stati emessi anche a carico di altri tre affiliati alla 'ndrangheta, Gesuele Misale, Alfonso Rinaldi e Domenico Nasso, e di un avvocato del Foro di Palmi, Vincenzo Minasi, difensore di Carmelo Gallico. Nei confronti dell'avvocato Minasi, inoltre, era stata eseguita anche un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Milano su richiesta della Dda nell'ambito dell'inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Lombardia. Nel contesto della stessa inchiesta della Dda di Reggio Calabria erano stati perquisiti gli studi degli avvocati Francesco Cardone, del Foro di Palmi, e Giovanni Marafioti, del Foro di Vibo Valentia.

Negli anni in cui era detenuto nel supercarcere di Fossombrone, Gallico fu al centro dell'attenzione delle cronache, questa volta letterarie però, poichè, allora 39enne, si appassionò allo studio della filosofia e della letteratura e una sua recensione vinse un premio che gli valse una menzione sul Corriere della Sera. Appassionato poeta e scrittore, Gallico firmava i suoi scritti in carcere con lo pseudonimo "Erasmus".  

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mini Facciolla-PmIl sostituto procuratore generale Eugenio Facciolla (foto), a conclusione della requisitoria nel processo d'appello per 16 tra politici, funzionari regionali ed imprenditori coinvolti nell' inchiesta Why Not, ha chiesto la condanna degli ex presidenti della Regione Agazio Loiero (1 anno di reclusione), del centrosinistra, e Giuseppe Chiaravalloti (1 anno e 6 mesi), del centrodestra. Il pg ha chiesto la condanna anche di altri sette imputati che erano stati prosciolti dal gup, tra i quali l'ex assessore regionale di centrodestra Gianfranco Luzzo (1 anno e 4 mesi). L'accusa ha anche chiesto l'aumento delle pene inflitte in primo grado a tre imputati tra i quali Antonio Saladino (4 anni e 2 mesi), considerato il principale imputato dell'inchiesta ed ex presidente della Compagnia delle opere della Calabria. Gli altri sette imputati che erano stati assolti in precedenza e per cui è stata richiesta la condanna sono: Nicola Durante, 1 anno e 2 mesi di reclusione; Tommaso Loiero, 8 mesi di reclusione; Franco Nicola Cumino, 8 mesi; Pasquale Anastasi, 10 mesi di reclusione; Giuseppe Fragomeni, 6 mesi; Enza Bruno Bossio, 1 anno e 4 mesi.  

Loiero ha subito diramato una nota stampa sulla vicenda: ''Premesso, come ho sempre detto, il mio estremo rispetto nella sostanza e non per la sola forma, nei confronti della giustizia, intervengo sull'odierna richiesta del sostituto procuratore generale che mi riguarda nel processo d'appello per l'inchiesta Why Not perche' una richiesta di condanna puo' impressionare l'opinione pubblica e sento il dovere di chiarire ai calabresi questa vicenda. La Procura generale - aggiunge Loiero - ha chiesto a mio carico la pena di un anno per il reato di abuso in atti d'ufficio dopo che nel primo grado era stata chiesta, per una serie di reati, l'assoluzione da parte della Procura, poi accolta dal Gup. Oggi resta in piedi questo reato e sento la necessita' di spiegare bene ai calabresi come sono andati i fatti''.
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mini furto-repertorioUn altro furto notturno turba la quiete della cittadina bruniana: la notte scorsa, la solita banda del buco ha messo a segno un altro colpo, l'ennesimo, in pieno centro storico. La vittima, questa volta, è un'anziana signora ottantenne, Z.R., che vive da sola nella sua abitazione, situata su corso Umberto I. Tra mezzanotte e l'una, tre persone a volto coperto si sono introdotte in casa e hanno subito legato al letto l'anziana donna con del nastro adesivo. Dalle prime notizie, non sembra che l'ottantenne abbia subito violenze, a parte l'essere immobilizzata con la forza mentre i ladri gli svaligiavano la casa. Entrati da un'entrata secondaria, i malviventi, dopo essersi impossessati di denaro e gioielli, pare siano andati via dalla porta principale che dà proprio su corso Umberto I. A quell'ora alcuni esercizi pubblici erano ancora aperti, infatti la donna, che è riuscita a lliberarsi da sola dopo che i ladri erano fuggiti, ha lanciato l'allarme rivolgendosi ai titolari di una pizzeria poco distante dalla casa svaligiata. All'arrivo dei carabinieri di Serra, l'anziana signora era in stato confusionale e visibilmente sotto shock. Proprio in queste ore, comunque, i militari della locale Compagnia stanno eseguendo una serie di controlli, soprattutto nel centro storico, mirati proprio ad individuare i responsabili e il bottino del furto di stanotte.

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