Avrebbe già iniziato a vuotare il sacco su una delle consorterie mafiose più potenti dell’intero panorama criminale calabrese e non solo Emanuele Mancuso, 30 anni, esponente dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi, figlio di Pantaleone (alias l’ “Ingegnere”) - il boss catturato nell’agosto del 2014 a Puerto Iguazù, in Brasile, mentre cercava di attraversare il confine con l’Argentina - e nipote di esponenti come Giuseppe Mancuso, Diego, Salvatore e Rosaria (quest’ultima considerata la mandante dell’autobomba che il 9 aprile scorso costò la vita a Matteo Vinci).

Il giovane, infatti - in carcere dal marzo scorso, quando rimase coinvolto nell’operazione “Nemea” contro il clan Soriano di Filandari - secondo quanto riportato dalla Gazzetta del Sud, avrebbe deciso di collaborare con la Dda.

Al di là di quella che potrebbe essere la portata delle sue dichiarazioni a fare più rumore sarebbe il fatto che, nella famiglia Mancuso, nessuno finora si è mai pentito. In questo contesto, dunque, la decisione del 30enne sarebbe di enorme portata. Dopo il pentimento di Raffaele Moscato e quello dell'ex boss emergente di Vibo Andrea Mantella, la collaborazione di Emanuele Mancuso sarebbe un altro asso nella manica per la Dda, diretta dal procuratore Nicola Gratteri, la cui attenzione - attraverso il lavoro di tre sostituti procuratori - è puntata anche sul Vibonese e sulle sue dinamiche criminali e diverse inchieste l'hanno dimostrato. Un asso nella manica per la Dda e, al tempo stesso, un siluro nel fianco della potente cosca che ora trema, lacerata al suo interno dagli attriti esistenti tra le varie articolazioni.

Al momento, comunque, dalla Dda non trapela assolutamente nulla su una presunta decisione di Emanuele Mancuso di collaborazione con la giustizia.