Domenica, 28 Febbraio 2021 12:04

La mappa della Dia e lo scacchiere dei clan vibonesi dopo "Rinascita-Scott"

Scritto da Redazione
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Il territorio della provincia di Vibo Valentia «è da sempre zona di riferimento delle cosche che ruotano intorno alla nefasta operatività della famiglia Mancuso di Limbadi, solidamente alleata con omologhe strutture mafiose del Reggino e, in particolare, della Piana di Gioia Tauro». È quanto si legge nell'ultima relazione resa nota dalla Direzione investigativa antimafia, all’interno della quale sono contenuti l’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Dia.

LA CENTRALITÀ DEL CLAN MANCUSO E I RAPPORTI CON LE COSCHE REGGINE - Secondo quanto riportato nel documento, «la recente, complessa inchiesta “Rinascita-Scott” del dicembre 2019 ha delineato e attualizzato lo scacchiere ‘ndranghetista vibonese, dimostrandone l’unitarietà, in Calabria come in ambito nazionale e internazionale, e come l’organizzazione si regga su regole formali e livelli gerarchici e funzionali propri del cosiddetto Crimine di Polsi». Peraltro, e secondo il «cliché sempre più ricorrente che vede taluni professionisti fortemente attratti dai vantaggi offerti dalle consorterie», l’indagine ha fatto luce sul «contributo reso da un noto avvocato penalista, nonché esponente politico, divenuto valido punto di riferimento della criminalità mafiosa. Egli, infatti, grazie al suo rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano del panorama politico-istituzionale, imprenditoriale e delle professioni, aveva instaurato con le cosche Mancuso e Razionale-Fiarè-Gasparro uno stabile rapporto. Il legale è stato descritto in atti come “un Giano bifronte”, accreditato nei circuiti della massoneria deviata e in grado di far relazionare la ‘ndrangheta con società straniere, università, circuiti bancari e con le istituzioni in generale, fungendo da passe-partout dei Mancuso, per il ruolo politico rivestito, per la sua fama professionale e di uomo stimato nelle relazioni sociali». Un vero e proprio «uomo cerniera», che «avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale. Del resto, la relazione tra gli esponenti criminali e l’avvocato ha permesso alle cosche di sfruttare le sue conoscenze con importanti esponenti delle istituzioni e della pubblica amministrazione, di acquisire notizie riservate nell’interesse del sodalizio e di consentire alle consorterie d’infiltrarsi, con decisiva voce in capitolo, in importanti affari e in iniziative imprenditoriali quali speculazioni immobiliari nel ramo turistico-alberghiero, anche mediando con altri imprenditori e operatori economici in ragione delle pretese estorsive della cosca Mancuso». A tal proposito, secondo quanto si legge nella relazione, «di non poca importanza sono risultate le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, tra i quali, un esponente di vertice della famiglia Mancuso “…la cui attendibilità è stata consacrata in sentenze (quali “Gringia”, “Conquista”, “Nemea” e molte altre...) che hanno dato un apporto decisivo sull’ impianto accusatorio dell’indagine…”. L’inchiesta “Rinascita Scott” ha quindi e ancora una volta confermato la centralità della cosca Mancuso, anche nella sua capacità di intessere relazioni con altre matrici mafiose: “… Oltre al ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi - scrivono i magistrati - è chiaramente emersa anche la sua rilevanza a livello extra provinciale, dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali instaurati, tra gli altri, con i De Stefano di Reggio Calabria e i Piromalli di Gioia Tauro, sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di Cosa Nostra, databili all’epoca pre-stragista». Le «segnalate relazioni tra i Mancuso e le cosche della Piana» - così come emerso dall’inchiesta “Rinascita-Scott” - trovano un’«ulteriore conferma nell’attività di contrasto rivolta all’aggressione ai patrimoni illeciti. Come già ricordato nella sezione dedicata al mandamento tirrenico, il 12 marzo 2020 nelle province di Vibo Valentia, Reggio Calabria e Roma, la Guardia di finanza ha eseguito un decreto di confisca di beni del valore stimato in oltre 34 milioni di euro nei confronti di un imprenditore edile vibonese ritenuto contiguo alle cosche Piromalli e Mancuso. Lo svelato rapporto sinallagmatico con le cosche di riferimento, risalente ai primi anni Ottanta, avrebbe sostenuto l’ascesa dell’imprenditore e favorito, contestualmente, gli interessi dei sodalizi mafiosi rafforzandone le capacità operative e di controllo del territorio».

I CLAN OPERATIVI NEL VIBONESE - Tra le cosche censite nel corso dell’inchiesta, oltre ai Mancuso del locale di Limbadi, figurano i La Rosa di Tropea, i Fiarè-Razionale-Gasparro di San Gregorio d’Ippona, i Lo Bianco-Barba e i Camillò-Pardea del locale di Vibo Valentia città, gli Accorinti del locale di Zungri, i Piscopisani del locale di Piscopio, i Bonavota del locale di Sant’Onofrio, i Cracolici tra le ‘ndrine di Filogaso e Maierato, i Soriano di Filandari, Ionadi e San Costantino, i Pititto-Prostamo-Iannello della società di Mileto, i Patania del locale di Stefanaconi e altri gruppi collegati. Oltre ai Lo Bianco, nel capoluogo sono attivi i Mantino-Tripodi, con proiezioni anche fuori regione. A Serra San Bruno, invece, si registra l’egemonia dei Vallelunga (“Viperari”), mentre nei comuni di Soriano e Sorianello risulta operativo il clan Loielo.

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