Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Ieri mattina, nei locali della Sala Giunta del Comune di Serra San Bruno, il direttore editoriale Domenico Calvetta e il Caporedattore Gerardo Drago hanno incontrato una nutrita rappresentanza di giornalisti per presentare ufficialmente il nuovo sito internet della rivista “Santa Maria del Bosco”. Il nuovo progetto viene lanciato proprio nel fatidico anno del decimo anniversario di quella che è «senza dubbio alcuno, la realtà editoriale più longeva di tutto il territorio provinciale». La rivista “Santa Maria del Bosco” aveva esordito infatti nel marzo 2004, fortemente voluta da Don John Betancur e fondata da una redazione d’eccezione che ha annoverato nel tempo anche i compianti Silvano Onda, Sharo Gambino, Vinicio Gambino, Brunello De Stefano Manno e Angelo Rizzo (già direttore responsabile a cui oggi è succeduto Gaetano Mazzarella).
Fin da subito il direttore Calvetta ha voluto ringraziare tutti i collaboratori attuali come Franco Gambino, Maurizio Onda, Tonino Ceravolo, Rosina Andreacchi e Carmen De Paola appartenenti al gruppo storico della rivista, nonché le “nuove leve” Annalisa Calvetta e Marco Primerano, collaboratori solo anagraficamente più acerbi.
“Santa Maria del Bosco” è una rivista bimestrale capace, nonostante le innumerevoli difficoltà – soprattutto economiche – di tagliare quindi l’importante traguardo sancito dal raggiungimento del primo decennio di pubblicazioni. Un contenitore di informazione, attualità, cultura e riferimenti storici, «capace di conciliarsi alla perfezione con le tendenze culturali del serrese» ed in genere di tutti i cittadini del nostro comprensorio. Fondamentale, negli anni, è stata la collaborazione con altri enti, associazioni e scuole che hanno contribuito considerevolmente alla crescita della testata. «Soprattutto - ha sottolineato il Caporedattore Gerardo Drago - indispensabile è l’apporto che riceviamo dai corrispondenti dall’estero, tra cui Luca Calvetta (da Parigi), Nicola Samà (dal Kenya) o Ciccio Pisani “di li Guierri” (da Montreal)». Un giornale, quindi, che diviene strumento socio-culturale a disposizione della collettività locale e non solo, proprio perché è intenzione della redazione riuscire a fornire sempre più una rivista capace di entrare nel circuito nazionale ed internazionale, che possa arrivare – in particolar modo – agli emigrati serresi. È proprio per mantenere saldi i contatti con chi è stato costretto negli anni ad abbandonare il territorio natio, si è quindi pensato di arrivare alla realizzazione di un sito internet, fruibile a tutti e di facile consultazione, capace di promuovere i contenuti del giornale ad un’utenza di lettori dislocata in ogni angolo del mondo. «“Santa Maria del Bosco” – ha spiegato Calvetta – diviene un sito web, un ponte virtuale capace di raggiungere concretamente tutti i lettori ancora sentimentalmente radicati al nostro territorio».
Il nuovo sito - ideato e curato dal webmaster Marco Calvetta - si presenta quindi come un portale dinamico che riporta nelle informazioni già visibili nella home, i flash di alcuni articoli pubblicati in passato ed i fatti in evidenza considerati di maggior rilievo. All’interno dello stesso sito vengono anche indicati i punti di distribuzione del giornale cartaceo, presso cui i numerosi lettori potranno rivolgersi per acquistare le copie dell’ultimo numero in uscita. Il portale internet dà anche largo spazio alle origini del giornale. Una rivista capace nel tempo di conquistarsi la ribalta internazionale, come ad esempio, nel caso della pubblicazione inedita del compianto Silvano Onda (nato a Serra, ma importante storico e docente a Venezia) che nel 2007 proprio dalle pagine della rivista (ed in seguito ripreso dall’Osservatorio Romano in un articolo redatto da Carlo Pedretti, ordinario di Storia dell’Arte dell’Università di Los Angeles e massimo esperto mondiale di studi Leonardiani) lanciò la clamorosa scoperta secondo cui la facciata dell’antica Certosa di Serra, fu realizzata su un disegno originale di Leonardo Da Vinci.
Fondamentale per la redazione è inoltre il coinvolgimento attivo del lettore, tanto che sul nuovo portale sono state inserite ben due apposite sezioni – ‘Collabora con noi’ e ‘La parola ai Lettori’ – in modo da permettere a chiunque di inviare - all’attenzione dei responsabili redazionali - scritti, poesie, foto o contributi vari. Un’iniziativa interessantissima, quindi, capace di portare nelle case di tutti i serresi sparsi nel mondo – ma anche di potenziali visitatori, turisti e ricercatori – informazioni, risorse, personaggi, storie e conoscenze caratteristiche del nostro territorio, per poter usufruire di un vero e proprio «serbatoio dei ricordi e di notizie storiche e per non perdere la memoria del passato», così come sottolineato proprio ieri mattina da Maurizio Onda. Un progetto longevo e serio, più unico che raro, «in un territorio ormai spoglio di ogni riferimento culturale – ha spiegato invece Gerardo Drago - dove realtà importanti nel tempo sono venute meno». Eloquente a tal proposito, aggiungiamo noi, l’assenza del sindaco invitato a presenziare all’evento.
L'icona di San Bruno, benedetta da Papa Francesco di recente, sarà solennemente intronizzata nella cappella esterna della Certosa proprio sabato prossimo alle ore 11.00. I visitatori potranno prenderne visione per tutto il 2014. Proprio dell’importante avvenimento si occuperà la prossima puntata di On the news, sabato prossimo a partire dalle ore 10.00 sulle frequenze di Rs98. In studio il direttore del Museo della Certosa, Fabio Tassone, mentre l'inviata speciale di On the news, Maria Grazia Franzè, curerà le interviste in diretta telefonica. Nella seconda ora, a grande richiesta, continua lo speciale "Congreghe e Diocesi", in studio tre ex Priori. Come sempre i radioascoltatori potranno partecipare in diretta con telefonate ed SMS.
SPADOLA - Nella notte ignoti hanno imbrattato diversi muri del centro abitato di Spadola con scritte offensive ed insulti a danno del parroco Don Bruno La Rizza. In uno degli sfregi, addirittura, il sacerdote della Parrocchia di S. Maria Sopra Minerva (nonché rettore del Santuario regionale di Santa Maria del Bosco a Serra San Bruno), viene etichettato come “mafioso”. Una vicenda controversa quindi per il piccolo centro abitato delle Serre vibonesi separato dal solo fiume Ancinale dalla dirimpettaia Brognaturo, dove nel corso della scorsa settimana – probabilmente un’altra ‘mano verniciatrice’ – sempre utilizzando lo spray nero, aveva cancellato il nome della cittadina sulla segnaletica stradale che porta dalla stessa Brognaturo fino ai paesi della ionica catanzarese. Un atto vandalico, quindi, che non lede soltanto la figura dello storico parroco, ma il buon nome di tutta la cittadinanza.
I codici della ’ndrangheta ignorano differenziazioni di genere, e non certo perché rispettosi delle pari opportunità: la presenza delle donne, semplicemente, non è contemplata e il loro silenzio mansueto – nonostante l’imprevedibilità della natura femminina «cantata» da tanta tradizione popolare – è presupposto dentro e fuori la famiglia-cosca. È un dato culturale, consegnato da un mondo contadino di poche parole che alle donne affidava la casa e precludeva la polis. Tuttavia qualche codice non rinuncia a richiamare il concetto, fornendo veri e propri consigli di bon ton: «La donna di un affiliato non manifesta mai curiosità sulle discussioni o attività del suo uomo ma tacitamente si adegua al proprio ruolo» La ’ndrangheta, però, prevede anche il riconoscimento di benefit, come l’assegnazione del titolo di «sorella d’omertà», l’unico che il mondo maschile e maschilista della criminalità organizzata calabrese conceda in via ufficiale alle esponenti dell’altro sesso. Il messaggio è chiaro: la caratteristica più importante di una donna di ’ndrangheta, non importa quanto sia scaltra, spietata o a quali importanti compiti dirigenziali sia stata cooptata, resta il silenzio. Nel dettaglio: non proferire parola quando le scelgono il marito, stare zitta durante gli interrogatori di Carabinieri e Polizia, restare muta di fronte alle decisioni di morte degli «omini».
Infrangendo il silenzio assegnato dalla tradizione e preteso dalle cosche, combattendo paura e pudore, raccogliendo, non in misura uguale, disprezzo e solidarietà, in Calabria ci sono donne che hanno parlato. Madri, figlie, sorelle che negli ultimi trent’anni hanno socializzato il dolore, per socializzare l’ingiustizia, rimanendo spesso sole o isolate e pagando, in troppe, un prezzo altissimo. Vittime di ’ndrangheta che, senza vittimistica rassegnazione, hanno trasformato la ricerca privata di giustizia in una battaglia collettiva di civiltà, «il pathos della tragedia in ethos della democrazia»
Le prime infrazioni arrivano negli anni Ottanta. Marianna Rombolà, a cui hanno ammazzato il marito a pochi metri dal portone di casa, nel 1988 decide di confidare nella giustizia dei tribunali: alcuni concittadini di Gioia Tauro le spediranno lettere di solidarietà, ma senza firma; hanno un nome e un cognome, invece, i tantissimi che le levano il saluto. E poi ci sono due «forestiere» – una ragazza innamorata e una madre disperata– che la Calabria la incrociano per loro sventura, donne cresciute stando zitte solo quando non avevano niente da dire. Il 22 febbraio 1981 Rossella Casini comunica al padre che sta per partire da Palmi e tornare a casa, a Firenze. Non ci arriverà mai.
La giovane fiorentina è stata uccisa e fatta a pezzi per avere spinto alla collaborazione il fidanzato calabrese, coinvolto in una sanguinosa faida. Per la ’ndrangheta Rossella era un’infame. Quando nel 1989 la «nordica» Angela Casella si rivolge alle donne di Ciminà, chiedendo aiuto e solidarietà per il figlio Cesare,sequestrato da Pavia, trova chi le ribatte un po’ stizzita: «Che ti dobbiamo fare, noi?». Di tragedie, nel paese aspromontano con oltre quaranta morti di faida, le donne ne avevano sopportate per vent’anni, tenendo la bocca chiusa e stando al loro posto: sotto il velo del lutto, pensando alla vendetta, se facevano parte delle famiglie coinvolte, o dietro le imposte, in attesa della prossima vittima, se ne erano estranee. In entrambi i casi, in silenzio. Qualcosa comincia a scricchiolare. La cappa si incrina, impercettibilmente, e dalla fessura rifluiscono parole. Nasce nel 1989 il comitato Donne contro la mafia e, quattro anni dopo la «missione» di Angela Casella, sarà la figlia di un sequestrato calabrese, Deborah Cartisano, ad animare il comitato Pro Bovalino Libera, promuovendo una catena del digiuno e trascinando in Calabria il capo della Polizia e la Commissione parlamentare antimafia. In quegli stessi giorni davanti al Tribunale di Reggio Calabria staziona un’altra donna che ha deciso di portare in piazza la sua battaglia contro il clan Mammoliti: si chiama Teresa Cordopatri, ha visto il fratello ammazzato sotto i suoi occhi, ed è calabrese.
Storie che diventano segnali. Come quella, dirompente, degli undici commercianti di Cittanova che nel 1991 hanno denunciato, presentandosi insieme in commissariato, le richieste di mazzetta dei Facchineri. Saranno due ragazze poco più che ventenni – Maria Concetta Chiaro e Maria Teresa Morano – a dare voce e volto alla loro ribellione. La strada è aperta, insomma. Ma resterà non abbastanza battuta. Le voci faticano a diventare coro. Quando non sono le minacce, le querele o, peggio, la morte, arrivano l’alone di scandalo, le accuse di esibizionismo e il fastidio mal dissimulato ad accogliere chi ha deciso di parlare chiaro, magari come la maestra Liliana Esposito Carbone, con la foto del figlio ammazzato perennemente al collo. Perché, in Calabria, la donna che parla lancia una doppia sfida: punta l’indice contro i «nemici» ma anche verso un mondo che tace. Diventa, insomma, un atto d’accusa ambulante che disturba sul piano criminale e imbarazza su quello sociale. E allora ecco scattare i vecchi e consolidati meccanismi di difesa e delegittimazione: Teresa Cordopatri è «buttana» per gli uomini dei Mammoliti, e «pazza» per i loro avvocati. Rossella Casini «era brava ma tornava tardi la sera». Liliana Carbone l’ha resa pazza il dolore. La tendenza vale, naturalmente, anche per le donne di ’ndrangheta che hanno scantonato: Concetta Managò era «imbottita di psicofarmaci», Lea Garofalo era «fuori controllo», Concetta Cacciola era «depressa psichica», Rosa Ferraro è «pazza perché parla troppo» e a Giuseppina Pesce «serve lo psichiatra». Proprio quello della fragilità emotiva femminile, sbandierata come «prova contro», come inconveniente di genere che priverebbe di valore scelte e parole, è un tema che vedremo ritornare costantemente: depresse, instabili, pazze – come la Cassandra dolente e furiosa di Christa Wolf – lo saranno considerate un po’ tutte, le ribelli che parlano.
«Oggi le donne calabresi piangono ancora chiuse in casa», dice Marianna Rombolà. Negli ultimi anni, invece, da certe case le donne hanno scelto di uscire, facendosi nemiche di «famiglia». Collaboratrici di giustizia come Giuseppina Pesce, cresciuta all’interno della cosca più potente di Rosarno, e Rosa Ferraro. Testimoni come Lea Garofalo, il cui esempio di coraggio risplende oggi nella figlia Denise, o come Maria Concetta Cacciola e Tita Buccafusca che, ritornate sui propri passi, hanno preferito l’acido a una vita tra quattro mura «onorate». Una scelta di rottura, la loro, che ha infranto muri considerati impenetrabili e potrebbe addirittura abbatterli, se diventasse contagiosa. La condizione è che la loro voce non risuoni solo nelle aule dei tribunali e che ad ascoltarla non ci siano solo i magistrati.
Io parlo raccoglie e ricostruisce alcune di queste storie, intrecciate con gli ultimi trent’anni di storia criminale calabrese e con il cammino di una terra perennemente in cerca di voce e parole.
(dall'Introduzione dell'Autrice)
SERRA SAN BRUNO - Erano da poco passate le 19 dell’ 11 ottobre di tre anni fa. Pasquale Andreacchi, dopo essersi ritirato dal maneggio in compagnia del padre Salvatore, esce per comprare le sigarette ad un distributore poco distante dalla propria abitazione. Purtroppo, però, non fa più ritorno. La mattina seguente, la madre Maria Rosa non vedendo Pasquale a letto, si preoccupa e così inizia il tam-tam di telefonate a parenti e amici per capire se qualcuno lo avesse visto. Non avendo notizie, i familiari del gigante buono, amante dei cavalli, si recano presso il commissariato di Polizia per sporgere denuncia. Dopo una serie di attività investigative, è emerso che Pasquale avrebbe avuto dei problemi con un pregiudicato della zona per la compravendita di un cavallo non pagato.
Quale dolore più grande per un genitore scoprire che il proprio figlio è stato ucciso in un modo così barbaro. Lo sanno bene Salvatore e Maria Rosa. Lo sanno bene perchè, ormai, è da più di tre anni che Pasquale non c'è più. E la sua mancanza si sente. Si sente nel quotidiano. Si avverte ogni qualvolta Salvatore e Maria Rosa entrano in casa e non vedono quel ragazzo buono alto due metri. Si avverte nella vita di tutti i giorni, insomma. Loro, però, hanno una forza nel reagire quasi inusuale. Nonostante siano perfettamente consapevoli del fatto che l'assassino di Pasquale è libero. Un omicidio impunito. Salvatore e Maria Rosa, però, non intendono mollare.
Esattamente centocinquant’anni fa, il 22 gennaio del 1863, in virtù del Regio Decreto numero 1140 il Comune di Serra nella Calabria Ulteriore Seconda assumeva ufficialmente il nome di “Serra San Bruno”. Il Regio Decreto, firmato dal “Re galantuomo” Vittorio Emanuele II, accoglieva e ratificava la deliberazione approvata l’11 novembre 1862 dal consiglio comunale serrese guidato dal sindaco Luigi Damiani. Il cambio di nome era stato sollecitato dal Ministero dell’Interno: in seguito all’Unità d’Italia, infatti, molti comuni si ritrovarono a condividere la medesima denominazione. Per evitare ambiguità, il 30 giugno del 1862 il Ministero suggerì ai comuni che versavano in tale situazione “se non di cangiare affatto la attuale denominazione, farvi almeno qualche aggiunta che desumere si potrebbe dalla speciale situazione topografica secondo che il comune si trova nel monte o nel piano, al mare, o sovra un fiume o un torrente”.
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