mini pasquale_3L'avvocato Giovanna Fronte, legale di fiducia della famiglia di Pasquale Andreacchi - 18enne serrese sequestrato e ucciso nell'ottobre del 2009 - dopo aver depositato ufficialmente l'istanza di riapertura delle indagini - come rivelato in esclusiva dal Vizzarro.it - si rivolge con la missiva che pubblichiamo qui di seguito al Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, ai mezzi di comunicazione locali e nazionali, all'associazione Penelope, chiedendo che sul caso di Pasquale non cali nuovamente il silenzio da parte dell'opinione pubblica.

I Sigg. ANDREACCHI Salvatore e MIRAGLIA Maria Rosa di Serra San Bruno genitori di ANDREACCHI Pasquale scomparso in data 11/10/2009 e deceduto in Serra San Bruno in data imprecisata e comunque successiva a quella della scomparsa , per il tramite del proprio legale di fiducia hanno depositato presso la procura di Vibo Valentia , istanza diretta ad ottenere una richiesta di riapertura delle indagini al fine di fare luce sulla morte del figlio.

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mini copertina_marlaneUna storia di ordinaria ingiustizia, tutta italiana. Anzi… forse la più emblematica storia di ordinaria ingiustizia tutta italiana. Una storia dimenticata o non conosciuta e proprio per questo emblematica. Gli elementi ci sono tutti: una grande azienda, una fabbrica che promette di dar lavoro, futuro e speranze ad una intera popolazione di un  territorio del sud bellissimo, fra i più belli della costa dell’alto tirreno; ma anche imprenditori senza scrupoli, funzionari pubblici accondiscendenti, disposti a coprire, insabbiare, nascondere. E poi ci sono i morti, tanti, troppi! Circa cento secondo la difesa. La difesa, già, di un processo che ha dovuto superare nei suoi tredici anni di istruttoria tre richieste di archiviazione, due o tre procuratori del tribunale, tre o quattro pubblici ministeri. E gli imputati: nomi eccellenti, potenti con la forza e l’arroganza degli impuniti, nomi importanti nel campo economico ed istituzionale a livello nazionale.
E infine le famiglie: quelle degli operai che insieme ai sopravvissuti lottano disperatamente perché questa loro battaglia contro un sistema di ordinaria ingiustizia non resti solo la loro battaglia, ma diventi quella di un intero territorio e di una intera popolazione  che ha pagato, e che continua a pagare, un prezzo altissimo al dio profitto in nome di un diritto, il diritto al lavoro spesso in questa terra negato.
La storia della Marlane e della strage di Praia Mare, del conte Rivetti e della “sua” statua del Cristo a “sua” immagine che domina la costa dando ad essa le spalle, della famiglia Marzotto, ma anche la storia di Luigi Pacchiano ex operaio ammalatosi come i suoi compagni morti sono raccontati in un libro inchiesta dirompente come un macigno, analitico e dettagliato come una futura sentenza, un libro inchiesta  scritto a sei mani dallo stesso Pacchiano, dal giornalista Francesco Cirillo, intervistati dalla brava Giulia Zanfino. 
«Questo gruppetto di lavoratori, soli, aggrediti dai sindacati ufficiali - scrive Cirillo nella prefazione - dai politici tutti, invisi a parte della cittadinanza compreso il sindaco, colpevolizzati di far chiudere la fabbrica con le loro denunce e far perdere il posto di lavoro a centinaia di padri di famiglia, chiedevano a noi un aiuto. E noi ci mettemmo a disposizione».

Il libro verrà presentato dai suoi autori a Lamezia nella serata evento che il Comitato Lametino Acqua Pubblica e l’Associazione Fahrenheit hanno organizzato domenica 29 Gennaio alle ore 17:30 presso la Rua Sao Joao.
L’occasione è quella di conoscere un storia che ci riguarda terribilmente da vicino, più di quanto noi immaginiamo, con la speranza che il grido di dolore di queste persone diventi una pietra miliare nel difficile cammino che porta alla verità e alla giustizia.

Fahrenheit - Associazione Culturale 
Comitato Lametino Acqua Pubblica

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Venerdì, 20 Gennaio 2012 16:04

Quel maniero perso tra i boschi della Lacina

mini simbario_com_bkumbria_1200412457BROGNATURO - «Ci stava 'nu castellu alla Lacina; duvi si dicia ca la terra 'ntrona; e mo lu riduciru a 'na rovina, ma tandu 'nci stacìa 'na gran matrona». Così cantava qualche anno addietro il medico menestrello Bruno Tassone che, in “Lu castellu di la barunissa”, ricordava, quando sui “Piani de la Lacina”, arroccato su un acrocoro che domina la vallata sottostante svettava un maniero ormai diruto ed abbandonato. Un luogo arcano, permeato dal fascino misterioso tipico dei luoghi senza storia e senza tempo. Poche, frammentarie ed inverosimili le notizie che circondano le vicende di un castello edificato in quella che è stata una delle foreste più impervie ed inospitali dell’intera Calabria. Il toponimo “Lacina” secondo taluni deriverebbe da Hera Lacinia, la dea al cui culto sarebbe stato elevato, dai tagliatori di bosco che rifornivano di legname le colonie della magna Grecia, un piccolo tempio rurale. Una tesi suggestiva ma non comprovata da alcuna fonte documentale e con ogni probabilità da derubricare al novero delle favole da focolare. E pur vero che l’area in questione in passato potrebbe aver ospitato una struttura sociale di qualche rilievo. Non è un caso che nelle limitrofe montagne di Cardinale siano stati rinvenuti alcuni reperti riconducibili al neolitico; mentre nella vicina Spadola, fino ai primi anni trenta, erano custoditi due leoni in pietra che, secondo il resoconto fatto dal sacerdote Bruno Maria Pisani in una relazione inserita in “Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato” e pubblicata a Napoli tra il 1853 ed il 1859, servivano a sostenere «l’altare dedicato a Minerva». In una singolare filiazione religiosa, sui luoghi in cui un tempo doveva ergersi il tempio dedicato alla divinità romana oggi sorge una chiesa elevata al culto di Santa Maria sopra Minerva. In ogni caso sulla genesi del piccolo borgo di Brognaturo non si hanno notizie certe, tranne quelle riportate nella citata opera, nella quale si asserisce, che a dare origine al piccolo villaggio siano stati i mandriani ed i guardiani di “porci” dei paesi vicini. Per il sacerdote serrese «L’etimologia del suo nome sembra alludere a questa particolarità; poiché la prima parte del vocabolo, Brogna, nel linguaggio volgare significa quella specie di conchiglia, con cui i porcari chiamano a raccolta le loro mandrie. Avvi però qualche oscura tradizione dell’esistenza di un antico paese posto in cima dei monti, i cui abitanti si sarebbero trasferiti nell’attuale Brognaturo. In un diploma del Conte Ruggiero si fa menzione di una località coincidente a quella di questo paesetto, sotto la denominazione greca di Brondismenon». Seguendo un metodo deduttivo si è portati a pensare che il villaggio greco, di cui parla l’estensore della menzionato relazione, potrebbe essere sorto in prossimità dei piani della “Lacina” dove una rigogliosa radura, in passato può aver ospitato un insediamento di una qualche importanza. In tale contesto troverebbe una logica spiegazione un “castello” edificato sulla sommità di un monte dal quale era possibile dominare la pianura sottostante. L’ipotesi suggestiva, anche in virtù della vicinanza della costa jonica, induce a pensare ad un villaggio sorto per favorire lo sfruttamento forestale ed a difesa del quale potrebbe essere stata schierata una piccola guarnigione. Al di là delle congetture, le poche notizie degne di essere seriamente prese in considerazione fanno risalire la costruzione del primo nucleo in muratura ai primi del ‘500. Di certo vi è che l’ultima proprietaria sia stata Maria Enrichetta Scoppa, baronessa di Badolato, nata a Sant’Andrea, nel 1831, che avrebbe eletto il maniero a propria dimora estiva fino al 1912, anno della sua dipartita. Nonostante sia descritta come donna di profondi sentimenti religiosi, la baronessa o qualche sua lontana antenata sarebbe all’origine di una leggenda che in passato doveva suscitare non poco i pensieri pruriginosi di una comunità tutta dedita alle attività agro-pastorali. Fino a qualche decennio addietro, infatti, si narrava che la nobildonna, alla ricerca di facili ma silenti avventure amorose, fosse solita ospitare nella sua magione aitanti giovani dei paesi vicini destinati, dopo aver goduto dei piaceri della carne, a sparire nelle paludi circostanti. A rendere la storia verosimile la presenza, dove oggi sorge il lago Alaco, di un’estesa torbiera nella quale erano possibile rinvenire diversi fenomeni carsici nei quali, secondo il racconto di vecchi pastori, “poteva sparire un’intera coppia di buoi”. Lasciata la leggenda, di quell’antica residenza, alla quale doveva essere associata una chiesa di cui si è persa ogni traccia, oggi non rimane che un imponente rudere sul quale imperiosi si ergono le caratteristiche torri angolari. Le poche persone che ancora conoscono il sentiero che conduce la castello di tanto in tanto vi fanno ritorno per ammirare il lago sottostante, sul quale sembra specchiarsi l’ennesimo pezzo di storia perduta. 

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Domenica, 08 Gennaio 2012 21:09

Spadola, capannone in fiamme

mini incendio_spadolaSPADOLA - Nonostante la grandine, che in queste ore si sta abbattendo in grande quantità sulle Serre vibonesi, un incendio di grosse dimensioni è divampato stasera in un deposito di materiale edile situato alle porte di Spadola. L'incendio, le cui cause sono ancora tutte da accertare, ha provocato ingenti danni al capannone. Sul posto sono impegnate tutte le squadre di Vigili del Fuoco del distaccamento di Serra San Bruno che stanno domando l'incendio. Sul posto anche i carabinieri della locale Compagnia, agli ordini del capitano Esposito Vangone, cui spetterà il compito di verificare se il rogo abbia avuto o meno origine dolosa. Al momento, comunque, l'ipotesi più accreditata pare essere quella di un fulmine che potrebbe aver provocato l'insorgere delle fiamme. All'interno del fabbricato sono andati in fumo materiali da costruzione, legname, plastica e altro materiale. Le fiamme hanno reso il capannone completamente inagibile poichè il metallo di cui era fatta la struttura si è piegato su se stesso a causa delle alte temperature. E' stato impedito, ad ogni modo, che il rogo si propagasse nei terreni limitrofi.

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mini mastro bruno-cimiteroParole, musica, immagini. Parole sussurate con un nodo in gola; parole urlate ma a denti stretti; parole che fremono e mutano sino a diventare musica, rincorrendosi tra i giochi di ombre e luci che addobbano la sala. Parole, musica e immagini che, ospitate nell’elegante cornice di Palazzo Chimirri, hanno dato vita ad una manifestazione, poliedrica e coinvolgente, dedicata al poeta “Mastru Brunu Pelaggi” in occasione della ricorrenza del primo centenario della sua morte. Un evento completamente autofinanziato, nato dalla sinergia tra l’associzione culturale “Il Brigante” e il Vizzarro.it, il cui obiettivo era quello di omaggiare e far rivivere un artista eclettico e geniale, un uomo tanto umile quanto rivoluzionario, un serrese semplicemente speciale, come pochi altri purtroppo, a cui la cittadina della Certosa ha avuto l’onore di dare i natali.

La due giorni dedicata a Bruno Alfonso Pelaggi, “Mastru  Brunu” per i serresi, è iniziata con un convegno dal titolo “Mastro Bruno e la poesia di protesta”. Il dott. Cesare Pelaia, pronipote del poeta, il prof. Tonino Ceravolo, studioso e storico, e l’antropologo Luigi de Franco, sono i relatori che hanno ripercorso e analizzato la figura personale e letteraria di quello che in molti erroneamente definiscono “il poeta-analfabeta”. Al tavolo dei relatori ha dato il suo prezioso e toccante contributo anche Franco Gambino, fratello del compianto Sharo, la cui storia personale è intimimamente legata a quella della famiglia Pelaggi.

E' stata ripercorsa la storia dell’Unità d’Italia, sono stati raccontati gli anni che hanno forgiato il Mastro Bruno uomo, prima che il poeta che conosciamo. Sono stati fugati alcuni dubbi, primo tra tutti quello che lo voleva analfabeta. E' toccato al prof. Ceravolo spiegare come, ritiratosi stanco al tramonto, dopo aver scolpito il granito per tutto il giorno, il Pelaggi, invece che scriverli di proprio pugno, preferisse dettare i suoi componimenti alla figlia Maria Stella. Due ore intense e ricche di storia, due ore volate via tra cultura popolare, antropologia, letteratura, preziosi ricordi personali e soprattutto, sconfinato amore per la propria terra.

La seconda parte della kermesse ha preso il titolo di “Scarpidhati”, uno spettacolo realizzato dalle Officine Teatrali “Il Brigante”, con musiche del maestro Sergio Di Giorgio (sorprendente polistrumentista, tra i fondatori dei Re Niliu) e del maestro Vittorio Russo (pianoforte), con la partecipazione degli “Autori Appesi”.

Con “Scarpidhati” gli autori - il collettivo di scrittura Ulucci Alì - ripercorrono, come già fatto nel convegno pomeridiano ma con altri strumenti espressivi, la storia della Calabria pre e post Unità d’Italia. Lo fanno dal punto di vista di chi, come Mastro Bruno, quella cupa epoca l’ha vissuta e ce l’ha tramandata attraverso testimonianze, cronache dell’epoca, poesie, musiche e immagini tanto interessanti quanto suggestive. Uno spettacolo entusiasmante e coinvolgente capace di far rivivere ai presenti in sala, la stessa rabbia, la stessa delusione e la stessa sensazione di impotenza, che le genti del tempo nutrivano quotidianamente nei confronti di una storia, quella dell'Unità d'Italia, non certo portatrice di prosperità per le popolazioni del sud.

Quattro attori, nella veste di narratori, tengono il tempo della serata mentre, come in un’altalena di musica e parole, le poesie di Mastro Bruno, si alternano alle note di una musica la cui origine si perde nella notte dei tempi. Nelle “storie” del poeta-scalpellino ognuno degli spettatori si riconosce e nelle umiliazioni che la gente comune era costretta a subire tutti trovano allarmanti similitudini col nostro tempo.

Manifestazione perfettamente riuscita dunque. Sala gremita, posti a sedere tutti occupati ed un bel po’ di gente che pur di assistere si è accontentata di rimanere in piedi. Ad ogni modo, sicuramente, malgrado il successo non c'è stata tutta la gente che avrebbe dovuto esserci.

Cerimonia molto sentita anche stamattina al cimitero di Serra San Bruno, dove il parroco don Gerardo Letizia ha celebrato una messa in suffragio di Bruno Pelaggi, benedicendo l'ossario che ospita il poeta. I bellissimi versi di "Alla Vergine Maria", declamati nello stesso luogo, hanno accompagnato gli ultimi momenti della celebrazione.

Il 6 gennaio del 1912 Serra perdeva uno dei suoi figli migliori e con Serra lo perdeva anche la Calabria ed il meridione tutto. Ieri, 6 gennaio 2012, a ricordare i primi 100 anni della morte di uno dei più grandi artisti che la nostra terra abbia mai avuto, a ricordare uno dei più eccelsi “Mastri di la Serra”, non c’era tutto il paese com’era lecito aspettarsi ma c’erano “soltanto” 250 persone. Che fine ha fatto l’orgoglio serrese? Che fine ha fatto l’amore per una terra ricca di tradizioni  e storia, la nostra storia? Che fine hanno fatto i serresi?

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Martedì, 27 Dicembre 2011 15:25

Il simbolismo rituale del Natale

mini presepeLa ricorrenza più importante della cristianità, quella che celebra la nascita di Cristo, ha origini antiche. La storia rimanda ad un tempo remoto che precede l’avvento del cristianesimo. Una festa periodica di rinnovamento, celebrata a tutte le latitudini per simboleggiare la chiusura di un ciclo annuale e l’inaugurazione di quello successivo. Una tradizione diffusa presso molti popoli pagani faceva coincidere, infatti, con il periodo tra il 15 ed il 25 dicembre il momento più significativo dell’anno. I romani ad esempio tra il 17 ed il 25 celebravano i Saturnalia, i giorni di festa legati all’agricoltura e dedicati al dio Saturno. I Saturnalia precedevano il momento di passaggio e di rinnovamento rappresentato dal solstizio d’inverno. La nascita del nuovo sole rappresentava una tradizione particolarmente diffusa nel nord Europa, dove la celebrazione era legata all’abete, l’albero sempreverde nel quale rifulgono i raggi del sole appena nato. La festività romana che però presenta maggiori affinità con il Natale cristiano e quella del “sol invictus” in onore di Mytra, la divinità alla quale, secondo alcuni studiosi, la tradizione cattolica sarebbe particolarmente debitrice per la filiazione di tutta una serie di riti ed apparati liturgici. La ricorrenza del Natale entra quindi lentamente nella tradizione religiosa cristiana. Una festività che nello spirito di una religione universalista come quella cattolica, con il trascorrere del tempo e la diffusione del verbo di Cristo in tutto il mondo, si arricchisce di nuovi apparati sincretici che racchiudono spesso tradizioni pre cristiane di chiara derivazione pagana. L’agrifoglio, ad esempio, con il quale vengono spesso decorate le abitazioni, rappresenta un’antichissima usanza legata alla credenza che le foglie acuminate avessero il potere di scacciare gli spiriti maligni. Legata alla cultura celtica è invece l’usanza di appendere il vischio sull’uscio di casa. I Druidi, i sacerdoti celtici, oltre ad attribuirgli poteri magici e curativi, sostenevano che i nemici che si incontravano sotto una pianta di vischio dovessero deporre le armi. Per tale motivo si è diffusa la credenza che la sua esposizione garantisca pace e serenità. Molto più recente invece il ricorso alla stella di Natale, introdotta negli Stati Uniti e successivamente in Europa, dal Messico, nel 1825, dall’ambasciatore Joel Robert Poinsett. Tutta italiana, invece, l’usanza del presepe, la cui origine è attribuita dalla tradizione a San Francesco d’Assisi che, nel 1223, nel convento di Greccio, fece celebrare la messa su una mangiatoia adibita ad altare, tra un asino ed un bue vivi al cospetto della gente del villaggio. In seguito i francescani ed i domenicani promossero la costituzione di presepi che lentamente si diffusero in tutt’Italia. Il più antico presepe risale al 1280 ed è quello scolpito da Arnolfo di Cambio e custodito oggi nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma. E’ però tra il sei ed il settecento che il presepe diventa un’autentica forma d’arte arricchendosi di personaggi, angeli e gente comune. Tuttavia anche la tradizione del presepe non è immune da un retaggio molto più antico. Secondo la tradizione etrusca e latina gli antenati defunti venivano rappresentati da statuette di terracotta, i lari, cui veniva assegnata la funzione di vegliare sul buon andamento della famiglia. Intorno al IV secolo il rito venne mutuato da cristiani che alle immagini dei lari sostituirono quelle dei componenti della sacra famiglia. Una festa ricca di simboli e significati, elaborati da culture diverse, che sopravvivono oggi nelle differenze di una tradizione gastronomica che nel periodo natalizio riesce ancora a testimoniare tutti i tratti ed i sapori di un tempo.

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mini dentro_la_certosa_a_sinistra_sciascia_e_a_destra_padre_basilio_caminadaL’antico monastero certosino di Serra San Bruno, nel corso dei suoi mille anni di storia, è stato meta di visitatori illustri. Questo breve excursus tra coloro i quali hanno lasciato testimonianza del loro passaggio nell’amenità dell’eremo certosino, però, vogliamo iniziarlo da chi invece avrebbe desiderato trovarci riparo e a causa di alcune vicissitudini non ha potuto farlo. Si tratta dell’autore del Decamerone, Giovanni Boccaccio. E’ da una lettera del gennaio 1371 indirizzata da Napoli a Niccolò da Montefalcone, scoperta da Sharo Gambino nella Biblioteca di Firenze, che apprendiamo la notizia di una sua possibile visita alla Certosa di Serra San Bruno. Niccolò da Montefalcone, suo amico d’infanzia, era diventato Priore del monastero di Santo Stefano del Bosco, in quel tempo cistercense, e lo aveva invitato presso il suo convento. Niccolò gli aveva prospettato «l'amena solitudine dei boschi» che circondava il monastero, «l'abbondanza dei libri, i limpidi fonti, la santità del luogo e le cose confortevoli e l'abbondanza di ogni cosa e la benignità del clima». Tutto ciò aveva indotto in Boccaccio «non solo il desiderio di vedere» quel luogo, ma anche la volontà di trovarvi dimora e rifugiarvisi «se la necessità lo avesse richiesto». Tuttavia all’improvviso Niccolò, dopo tante affettuosità, silenziosamente esce di scena dalla vita di Boccaccio, ed egli, profondamente deluso, sostiene di essere «povero e i poveri non hanno amici». Ad aprire il registro dei visitatori della Certosa figura il nome di Alcide De Gasperi insieme a quello della moglie Francesca che giunsero a Serra nel marzo del 1953, due anni dopo la disastrosa alluvione avvenuta nel mese di ottobre. La visita a Serra dell’allora Presidente del Consiglio era stata preceduta da quella del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi che qui giunse accompagnato dalla consorte e dal Ministro dei Lavori Pubblici Aldisio. Re Ferdinando di Borbone venne due volte a Serra, il 23 aprile del 1833 e il 16 ottobre 1852, quando s’inginocchiò innanzi la chiesa Matrice e al busto argenteo di San Bruno. Il 24 agosto 1923 a visitare la Certosa ci fu il principe ereditario Umberto II di Savoia accompagnato dal Contrammiraglio Bonaldi e dal marchese della Rocchetta. Il principe, dopo aver partecipato alla messa conventuale, visitò il monastero per poi ripartirsene. Sul finire degli anni ‘60 giunse in Calabria Pierpaolo Pasolini, e anche lui volle visitare il monastero bruniano, accompagnato, tra gli altri, dal regista vibonese Andrea Frezza e dall'avvocato Franco Inzillo. Il regista de “Il vangelo secondo Matteo” dopo aver visitato la Certosa e una cella certosina dove il monaco trascorre per la quasi interezza la parabola della propria esistenza, rimase affascinato dalla vita contemplativa e di clausura del monaci bruniani. Nel 1975, a varcare la porta del millenario monastero fu il celebre scrittore siciliano Leonardo Sciascia (foto: lo scrittore dentro la certosa insieme a padre Basilio Caminada) che giunse alla Certosa di Serra San Bruno seguendo le tracce dello scienziato Ettore Majorana, scomparso nel 1938 e presumibilmente morto suicida. Sciascia si recò presso il convento in cerca di conferme alla sua ipotesi che voleva Majorana monaco certosino, ma non trovò niente che potesse dare conforto alla sua tesi. La visita in Calabria di Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, ebbe inizio il 19 marzo 2001, e si concluse il 23. Il 21 marzo fu caratterizzato dalla storica visita alla Certosa, alla presenza di autorità ecclesiastiche. In quella occasione Bartolomeo I tenne un toccante discorso, a cui fece seguito un caloroso saluto del Priore Dom Jacques Dupont, che volle così accogliere l’illustre ospite. Al termine dell’evento il Patriarca di Costantinopoli fece dono alla comunità monastica certosina di una preziosa lampada votiva conservata gelosamente dai monaci serresi nella Cappella delle reliquie. L’ultima visita degna di nota è stata quella delle Regina del Belgio Paola Ruffo di Calabria per la quale, vista l’assoluta clausura maschile, è valso l’antico privilegio di consentire alle regnanti di varcare la soglia della clausura e visitare il monastero.

Tra gli eventi che resteranno nella storia in maniera indelebile vanno collocate, senza dubbio, le visite di due papi a 27 anni di distanza l’una dall’altra. Giovanni Paolo II, il 5 ottobre 1984, dopo essersi brevemente intrattenuto con la popolazione, ha visitato la comunità certosina e ha firmato il registro del monastero. Importanti furono i discorsi che il Santo Padre tenne a Santa Maria del Bosco, luogo presso il quale San Bruno era solito pregare nel laghetto ancora esistente e dove sono state successivamente trovate le sue ossa e quelle dei suoi compagni. In quella circostanza, il Papa, richiamò il particolare carisma del monaci certosini la cui presenza spirituale costituisce «il cuore di questa Regione». A Serra Giovanni Paolo II ebbe una gradita sorpresa: gli abitanti di Spadola, per riconciliarsi con l’autorità pontificia, gli restituirono simbolicamente, con una pergamena, una pantofola che i loro antenati avrebbero sottratto a Callisto II il 1121 durante la sua visita in Certosa, mentre passava dal loro paesino. E altrettanto calorosa è stata l’accoglienza riservata, il 9 ottobre scorso, a Benedetto XVI, che nel suo viaggio pastorale in Calabria ha inserito la certosa di Serra come unica meta oltre a quella lametina. Carico di significato simbolico, in questa occasione, è stato il momento in cui l’attuale Pontefice ha partecipato insieme ai monaci alla celebrazione dei vespri nella chiesa conventuale. 

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mini s._abramoUrla, fischi, accuse e veleni. Non una giornata esaltante, quella di ieri, per il Consiglio comunale della città capoluogo di regione. Nel tardo pomeriggio è stata approvata, a maggioranza, la delibera con cui si chiede la decadenza del sindaco Michele Traversa. Con questa decisione dovrebbe essere evitato il commissariamento, anche se molti, non solo tra i banchi dell'opposizione, ritengono illegittimo questo atto. D'altra parte, però, è stato proprio il prefetto Antonio Reppucci a spiegare all'Ansa che "quella tracciata dal Consiglio comunale con la delibera in cui si parla di opzione del sindaco è una strada praticabile sotto l’aspetto giuridico". A guidare il Comune fino alle elezioni, quindi, dovrebbe essere l'attuale vicesindaco, Maria Grazia Caporale. Da alcuni cittadini presenti in aula sono arrivati dei fischi durante l'inno nazionale, fischi che hanno fatto solo da preambolo alle urla lanciate in seguito dai consiglieri delle opposte fazioni. L'ormai ex sindaco non si è presentato in aula, ma in compenso c'erano i lavoratori di Ambiente e Servizi S.p.a. - la partecipata che si occupa dei rifiuti a Catanzaro - il cui contratto scade il prossimo 31 dicembre. 

Intanto, da più parti si iniziano ad affilare le armi per l'ormai certa campagna elettorale. I maggiorenti catanzaresi del Pdl, in primis gli assessori regionali Mimmo Tallini e Piero Aiello, pare abbiano già individuato il successore di Traversa, che potrebbe essere proprio Sergio Abramo. L'ex consigliere regionale ed ex sindaco di Catanzaro per un decennio, che attualmente è presidente della Sorical, incassò un consenso bulgaro quando si ricandidò per il secondo mandato, ottenendo oltre il 75% dei voti.

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Sabato, 17 Dicembre 2011 10:07

Passa alla Camera il decreto "salva Italia"

mini Mario_MontiGiornata caotica e di duro lavoro quella che porta la manovra economica del governo Monti, l’ormai famigerato decreto salva-Italia, a passare il primo esame. Nella serata di ieri ottiene il sì definitivo della camera con 402 voti a favore, 75 contrari e 22 astenuti avendo già incassato in mattinata la fiducia dell’aula con 495 sì, 88 no e 4 astenuti. Maggioranza dunque ampiamente confermata anche in serata ma con qualche campanellino d’allarme di troppo. IDV e Lega votano contro, come da programma, con il Carroccio che con un rigurgito di orgoglio operaio si presenta in aula con una depuata in tenuta “da fabbrica” che si pone a difesa della classe sociale a cui apparteneva fino a prima di entrare in parlamento. FLI, UDC e PD votano a favore e Franceschini, capogruppo del PD alla camera, nel suo intervento ricorda alla collega leghista “di esser rimasta al governo negli ultimi tre anni” e comunque “attaccata alle poltrone romane per otto degli ultimi 10 anni”, dimenticando completamente quella classe operaia, oggi tanto ostentata, fino ad assomigliare a tanti “soldatini ubbidienti”. Anche il PDL vota sì ma arriva al voto finale con 70 deputati in meno e facendo registrare 2 no alla fiducia,12 astensioni e non garantendo comunque la fiducia fino alla fine della legislatura. Un sì con riserva insomma in una giornata in cui c’è anche spazio per la replica del Premier Monti alle parole di Berlusconi che ieri l’aveva definito “disperato”.

Il Primo Ministro, che nel suo discorso prima della fiducia aveva affermato che ne va del benessere degli italiani, si è detto soddisfatto, dopo il voto finale, del risultato ottenuto nonostante il governo sia stato battuto sull’ordine del giorno presentato dalla Lega e votato quasi all’unanimità dall’aula. L’odg prevede detrazioni sull’IMU per le famiglie che hanno disabili. Non passano gli ordini del giorno  presentati da IDV e Lega per far pagare l’IMU alla Chiesa mentre viene approvato quello bipartisan PDL-PD che propone di valutare la possibilità di applicare la tassa a quegli immobili usati per scopi commerciali dagli enti ecclesiastici e/o no-profit.

Ora il provvedimento passerà al senato per l’approvazione definitiva prevista per il 23 dicembre.

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Giovedì, 15 Dicembre 2011 20:27

Era calabrese la Marinella di De Andrè

mini deandre"Questa di Marinella è una storia vera / che scivolò nel fiume a priavera / ma il vento che la vide così bella / dal fiume la portò sopra una stella". Chi non ricorda la prima splendida strofa della Canzone di Marinella del cantautore genovese Fabrizio De Andrè, giustamente considerato uno dei massimi poeti italiani del secolo scorso? In molti si saranno chiesti chi fosse e che origini avesse la Marinella amata dal "re senza corona e senza scorta". Ora grazie al volume "Il libro del mondo" di Walter Pistarini, in cui è ricostruita la vicenda, è possibile dare un nome alla protagonista dell'episodio di cronaca realmente accaduto, cantata nella canzone che determinò la sorte artistica del cantautore genovese. "Se una voce miracolosa - disse il cantautore - non avesse interpretato nel 1967 La canzone di Marinella, con tutta probabilità avrei terminato gli studi in legge per dedicarmi all'avvocatura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore e soprattutto a vantaggio dei miei virtuali assistiti". Lo stesso Fabrizio De Andrè raccontava di essersi ispirato ad una notizia di cronaca nera che aveva letto quando era ragazzo e che lo aveva particolarmente colpito. La ricostruzione nel libro di Walter Pistarini si basa su una ricerca condotta dallo psicologo Roberto Argenta - che aveva pubblicato un primo resoconto su "La Stampa" (nella pagine di Asti) del 13 gennaio 2007 - fatta di ore di lavoro in biblioteca. Dalla tenacia del ricercatore era emerso un primo indizio sul fatto di sangue a cui il celebre cantautore si era ispirato per la sua canzone. Si tratta della storia di Maria Boccuzzi, una prostituta di 33 anni che venne ritrovata morta nel 1953 nell'Olona, alla periferia di Milano. La notizia portava il seguente titolo: "Carica di vistosi gioielli all'appuntamento con la morte", ma fin qui la fonte era frammentaria e narrava di una prostituta che dopo aver tentato la carriera di ballerina con il nome d'arte Mary Pirimpò, si era innamorata di un personaggio equivoco ed aveva cominciato a prostituirsi. Questa storia ha trovato successivamente un riscontro certo in un articolo de "La Nuova Stampa" del 30 gennaio 1953 - giorno successivo a quello del ritrovamento del corpo - intitolato "La mondana trovata uccisa nell'Olona", che narra la vicenda così: "Quella di Maria Boccuzzi...è la storia di una vita torbida troppo presto conclusasi. Venuta a Milano con i genitori dal piccolo centro calabrese di Radicena, dov'era nata l'8 ottobre 1920, Maria Boccuzzi abbandonava la famiglia e il modesto lavoro di operaia alla nostra Manifattura tabacchi, per inseguire la chimera  dell'arte scenica. Ma cadde sempre più in basso, fino ad essere fermata una notte dalla squadra buoncostume". Altri dettagli sull'omicidio raccontano: "sei ferite d'arma da fuoco inducono a ritenere che l'assassino anche abbia infierito sulla disgraziata e, deciso a rendere quanto più perfetto il delitto, abbia provveduto a cancellare ogni possibile traccia del suo crimine...s'impadronì di tutti i suoi documenti, tra cui doveva esserci...una polizza di assicurazione sulla vita che garantiva un capitale di 300.000 lire a beneficio degli eredi eventuali". Dalle notizie emerse dalle indagini fatte all'epoca pare che la donna avesse manifestato al suo amante, un ballerino sospettato dell'omicidio, di voler abbandonare quella vita disordinata. Il giovane De Andrè all'epoca dei fatti aveva 13 anni e sicuramente aveva letto queste notizie proprio sulla stampa locale. Radicena è la frazione calabrese dalla cui unione col villaggio di San Martino e Jatrinoli è nato nel 1926 il comune di Taurianova. A proposito di questa storia, in una intervista a Vincenzo Mollica Fabrizio De Andrè disse che l'ispirazione per La Canzone di Marinella gliela aveva fornita "un fatto di cronaca nera che aveva letto a quindici anni su un giornale di provincia. La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte".

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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova

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