Venerdì, 02 Ottobre 2015 14:37

Silenzio assoluto sul caso dei rifiuti tossici nelle Serre. Ancora nessun esito ufficiale

Scritto da Salvatore Albanese
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Un quadro a tinte fosche frutto di quarant’anni circa di malaffare, indagini, dubbi, smentite e misteri che sembrano destinati a rimanere tali ancora a lungo. La possibilità che la vicenda dei rifiuti tossici – presumibilmente interrati tra l’Aspromonte e nelle Serre nel corso degli anni ‘80 e ‘90 – possa finalmente venire a galla, si sta lentamente trasformando in una vera e propria illusione.

Sul caso, infatti, è calato il silenzio più assoluto e ancora si resta in attesa della comunicazione dei dati ufficiali scaturiti dalle indagini eseguite a partire dall’autunno scorso. Ciò, nonostante, nel corso dei mesi passati, si fosse rafforzato il presentimento che sarebbero potuti finalmente emergere nuovi particolari in merito a quanto, da sempre, i lavoratori della montagna, i carbonai, i boscaioli, i cacciatori, i cercatori di funghi o i semplici naturalisti appassionati delle nostre zone, raccontano. Paure e timori che riguardano aree “morte” dove la vegetazione cambia radicalmente, gli alberi non crescono più, la neve caduta nel corso dell’inverno non attecchisce. E intanto, mentre la voce popolare ha continuato nel tempo a forgiare «semplici leggende partorite dall’immaginario collettivo», nell’arco di circa un ventennio, i Servizi segreti italiani portavano avanti inchieste top-secret, i cui sviluppi venivano trascritti in dossier indirizzati a ben 6 procure diverse. Da qui decine di faldoni accumulati nel corso degli anni, riguardanti, appunto, il traffico di scorie e sostanze tossiche che – arrivando direttamente dall’est Europa e dal Nord Italia per mano di alcuni dei più cruenti clan di ‘ndrangheta – venivano smaltite direttamente nei boschi dell’entroterra calabrese.  

A portare ufficialmente alla ribalta mediatica la vicenda, era stata la desecretazione del 5 maggio 2014, quando il governo aveva autorizzata la pubblicazione di alcuni dossier marchiati Sismi e Sisde, rimasti segreti fino a quel momento. Tra questi il documento n. 0488_003, in cui, testualmente, è riportato che «i luoghi dove si trovano le discariche, per la maggior parte grotte, sono: Grotteria, Limina, Gambarie, Canolo, Locri, Montebello Jonico (100 fusti), Motta San Giovanni, Serra San Bruno, Stilo, Gioiosa Jonica, Fabrizia». «Le discariche presenti in Calabria sarebbero parecchie – si legge ancora nei carteggi – site, oltre che in zone aspromontane, nella cosiddetta zona delle Serre (Serra San Bruno, Mongiana, ecc.) nonché nel vibonese».

Numerose informative, dunque, in cui vengono meticolosamente riportati i traffici dello smaltimento illegale di rifiuti tossici e radioattivi interrati per anni nel cuore della Calabria. Il contenuto dei documenti desecretati era stato diffuso dalla stampa locale, e migliaia di cittadini, così come i vertici delle amministrazioni comunali avevano chiesto a gran voce di poter avere maggiori ragguagli sul caso. Erano stati dunque avviati diversi incontri, in particolar modo in Prefettura, tra comitati civici, amministratori stessi ed i vertici dell’Arpacal, l’Azienda regionale per la protezione dell’ambiente che nell’autunno successivo, congiuntamente agli uomini del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, aveva avviato il progetto “Miapi”, per il monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate e per l’individuazione di siti contaminati con l’ausilio di dati telerilevati grazie ad un sensore “Airbone” ancorato ad un elicottero geo-radar. Il velivolo, infatti, più volte era stato avvistato nei cieli delle Serre, sull’Aspromonte e sulle coste presumibilmente interessate dall’annessa vicenda delle “navi dei veleni”.

Alcune settimane dopo, la direzione generale dell’Arpacal – così come rivelato dal sindaco di Fabrizia Antonio Minniti, che tra tutti si era dimostrato il più solerte nell’approfondire la vicenda – aveva trasmesso una comunicazione con la quale si rendeva noto che il Ministero dell’Ambiente, con nota prot. 0003137 del 16 marzo 2015, aveva informato la direttrice, dottoressa Sabrina Santagati, che nell’ambito del progetto “Miapi” le attività di ricerca erano state completate e per l’occasione era stato trasmesso un hard disk contenente il data base, in formato shapefile, aggiornato al 28 febbraio 2015 riguardante le anomalie riscontrate nella nostra Regione. Per avere certezze maggiori rispetto all’entità dei fatti si sarebbe dovuto, dunque, attendere ancora per qualche mese. I dati, infatti, sarebbero stati sottoposti ad un’ulteriore elaborazione da parte degli uffici regionali dell’Arpacal. L’unico riscontro – pare rassicurante – era stato comunicato in seguito, assai sommariamente, ad alcuni sindaci del comprensorio da parte dello stesso Nucleo operativo ecologico dei carabinieri che aveva condotto le attività di indagine. Ma, nel concreto, ad oggi, sul portale ufficiale dell’Arpacal, nella sezione afferente proprio al progetto “Miapi” (http://www.arpacal.it/index.php/temi-ambientali?id=113), i dati non sono stati ancora riportati e, di conseguenza, non sono ancora di dominio pubblico.

Un silenzio che risuona cupo e che lascia presagire che in realtà le operazioni di indagine sono ancora in itinere. D’altronde la stessa direttrice generale dell’Arpacal, Sabrina Santagati, intervenendo nell’aprile scorso in diretta telefonica su Rs 98 aveva ribadito il fatto che le ricerche stessero continuando, chiarendo inoltre che «in certe zone, dove per motivi tecnici con l’elicottero non si può arrivare, andremo fisicamente sul terreno con attrezzature altamente sofisticate e faremo dei rilievi a terra, per perlustrare altre aree». Da allora ad oggi, nessuna altra notizia ufficiale è emersa rispetto alla vicenda.

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