Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Eccolo finalmente. Il discolo è tornato, come il figliol prodigo. Balotelli mostra al mondo cosa vuol dire essere Balotelli. Dal colpo di testa a quello di collo, dall’esultanza da Hulk che non fa paura a nessuno, se non ai tedeschi, fino al tenero abbraccio alla madre. In 90 minuti l’antologia di un italiano di colore. Di un centravanti scontroso per vocazione, con la corteccia dura del fuorilegge ed il midollo tenero come quello di ogni ventenne. A Varsavia in campo c’era anche lui, e si è fatto sentire. C’era il ribelle che per una volta tanto riesce a domarsi. A sfogare tutta la rabbia e la carica che ha in corpo nella maniera più bella. In quello che sa fare meglio di qualsiasi altra cosa.
Il ribelle che ha la forza di incazzarsi se lo sostituisci dopo una doppietta da campione, e che per non disconoscere il buon nome che la critica da tempo gli ha cucito addosso, si fa anche ammonire. Lasciandoti in apnea nel pieno della bagarre. Con il respiro sospeso. Mezzo affogato dal tormento che se lo ammoniscono ancora ci lascia in 10 e per lui finisce l’europeo. Oggi non riusciamo proprio ad immaginare una finale senza Balotelli.
Fa gol. Poi ancora e si toglie la maglia. Si toglie la maglia perché glielo impone la gioia. Perché vuol mostrare i muscoli e le spalle, troppe grosse per piegarsi sotto i fischi dei tifosi da stalla. Di quelle bestie razziste, che non possono perdere l’occasione di mostrarsi animali. Giovedì sera in campo c’era Mario Balotelli, c’era la forza buona per gonfiare la rete e riempirla di riscatto. La forza di uno nato in Sicilia nel ’90, nell’anno del mondiale di Totò Schillaci, e che solo dal 2008 , secondo la legge, è figlio d’Italia, di quello stesso tricolore, che Mario si è messo sul groppone per portarlo in finale. Per spegnere in rete il pregiudizio ed il razzismo, dietro le spalle del portiere tedesco, ai margini di un prato verde che ci riempie il televisore ed il cuore. Il cuore di milioni di italiani. Italiani proprio come Mario. La discriminazione è un pallone sgonfio, Balotelli lo ha preso di nuovo a calci. Riempiendo di gioia gli animi e le piazze di un’Italia storpia, affannata sotto i colpi della crisi, di fronte allo spauracchio di quella Germania che da troppo tempo rincorriamo con la foga e l’angoscia dello spread. Per una volta tanto sul prato di Varsavia erano loro a correrci dietro.
Balotelli fino a 18 anni non era Italiano, sempre secondo la legge bigotta, si è dovuto trascinare addosso per tutta l’infanzia l’assurdo marchio di “immigrato”, un immigrato nato a Palermo, abbandonato dai genitori biologici perché nato prematuro, magro, debole e con problemi fisici. Un paradosso se lo guardi oggi scattare cinico e felino su ogni palla, come un condor da aria di rigore. Quel centravanti di ferro che, fino ad ora sbagliando, pensavamo di non avere. Cresciuto amorevolmente da una mamma italiana in una famiglia italiana. La stessa mamma che ieri Mario è corso ad abbracciare. Tenero come un cucciolo, per tanti un meticcio, per noi un italiano puro. Com’è pura la sua cittadinanza intesa come orgoglio, sudore, passione e dedizione. Non come affare di razza, di discendenza genealogica. I pedigree non contano, anzi non esistono se poi ti dimostri tanto italiano da riempire di entusiasmo le piazze di tutto lo stivale, se sei capace di dare vita a caroselli che si spengono solo alle prime luci dell’alba e dai, anche solo per una sera, il motivo per tornare a sorridere a chi vive all’ombra di un container o con la croce della disoccupazione sulle spalle. Il calcio è vero, risolve poco. Ma l’orgoglio e la speranza forse sono un toccasana per un paese che ricerca disperatamente un alibi per tornare a sorridere. E non sempre ci riesce. Poco importa se al di là di ogni merito artistico-calcistico, sei anche tu uno dei tanti amati figli dell’immigrazione. Di quella diaspora forzata, che ha colorato l’Italia con tutti i colori del mondo. Che ci ha insegnato a conoscere culture diverse, ad innamorarcene, ad applaudirne ed abbracciarle. E non è solo per via delle prime abbronzature estive se oggi ci sentiamo tutti un po’ più di colore. Un po’ più Balotelli. Perché l’Italianità non è genetica, non dipende dall’essere figlio di padre italiano. Dipende dall’avercela dentro. Dal sentirla nello stomaco. Ed allora forza Mario. Con la pelle nera ed il cuore azzurro. Azzurro come quello di ognuno di noi.
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