Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Come si sono evolute e come sono cambiate le mafie (‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra) negli ultimi anni, a seguito degli arresti eccellenti, che ne hanno decapitato i vertici? Esistono ancora i boss o il fenomeno mafioso si è frammentato in mille realtà locali che controllano solo piccole parti del territorio? O, viceversa, è diventato globale, allungando i suoi tentacoli ben al di là dell’Italia? E chi sono oggi i capi delle cosche? Quesiti, questi, ai quali si è cercato di rispondere nell’ultimo libro di Pietro Comito - giornalista de ‘Il Quotidiano della Calabria’ tra i maggiori conoscitori della ‘ndrangheta calabrese - Vincenzo Ceruso, collaboratore di AddioPizzo ed autore di numerosi articoli sulla mafia per varie testate, e Bruno De Stefano, giornalista che ha seguito la cronaca nera e giudiziaria per diverse testate, dal titolo ‘I Nuovi Boss’, edito da Newton Compton Editori, già in tutte le edicole d’ Italia a partire da Gennaio. Nonostante i durissimi colpi assestati dallo Stato, con gli arresti del Gotha criminale (da Riina a Provenzano, da “Sandokan” ai capi sanlucoti), la malavita organizzata non è da considerare sconfitta, anzi. Spostando i propri affari lontano dai riflettori, infatti, i moderni padrini hanno creato un cortocircuito forse più pericoloso delle sanguinose mattanze per le strade: una nuova criminalità meno visibile, ma ancora più minacciosa, in cui l’alta finanza, la politica e il malaffare si fondono in un fatale, indissolubile intreccio.
Ricotta calda con pane raffermo, aragoste e capocollo. Combinazioni forse insolite ma che raccontano molto di quel mondo fatto di valori arcaici tipici del mondo contadino e di feticci del lusso su cui la ndrangheta costruisce la propria immagine. Non esiste certo un codice alimentare mafioso che preveda determinati cibi o ne proibisca altri ma all’interno di quelle che sono le abitudini alimentari dei capibastone emergono chiaramente i due aspetti che caratterizzano le mafie oggi: il rispetto della tradizione (che si evince anche dalla sopravvivenza dei riti di affiliazione) e l’aspetto internazionale che le mafie sono riuscite a conquistare.
Quello che però conta di più non è tanto quello che si mangia ma l’aspetto conviviale. Cene e banchetti sono momenti fondamentali per stringere alleanze, studiare strategie. I matrimoni, così come accadeva nelle famiglie nobiliari di un tempo, possono diventare occasioni consolidare rapporti tra clan, così come i battesimi e le cresime forniscono l’occasione per creare parentele “spirituali” che si trasformano a loro volta in nuovi patti, in nuove alleanze. Tutto a tavola. E’ la tavola il vero foglio bianco su cui si scrivono i contratti delle mafie.
A parlarci di questi aspetti e a raccontarcene i risvolti non solo antropologici ma anche storici e culinari è Gianfranco Manfredi, giornalista esperto in eno-gastronomia, nel primo volume del documentatissimo “Atlante delle mafie” edito da Rubbettino e lanciato in questi giorni in libreria.
L’atlante curato da Enzo Ciconte, Francesco Forgione e Isaia Sales è suddiviso in tre volumi la cui pubblicazione verrà completata nell’arco di tre anni. Il primo volume tocca già argomenti di grande interesse e attualità: dalla storia della Camorra, al rapporto tra mafie e Chiesa, dai giudici antimafia allo scandalo calciopoli.
Il volume
A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? L’Atlante delle mafie prova a rispondere a queste due domande. Partendo dalla messa in discussione dal paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia. Se un fenomeno, nato in Sicilia nell’Ottocento, ha avuto una così lunga durata, affrancandosi dalle condizioni storiche e territoriali che ne resero possibile la sua originaria espansione e proiettandosi così agevolmente nella contemporaneità (divenendo addirittura un modello vincente per tutte le violenze private del globo) non è utile continuare a descriverlo solo come un originale prodotto siciliano. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata. Con questa ottica, l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata. Esse vengono sintetizzate in cinque caratteristiche: culturali, politiche, economiche, ideologiche e ordinamentali. Secondo i curatori, si può ritenere mafia la “violenza di relazioni”, cioè una violenza in grado di stabilire contatti, rapporti, e cointeressenze con coloro che detengono il potere ufficiale, sia politico, economico e religioso, che formalmente dovrebbero reprimerla e tenerla a distanza. Perciò viene contestato ampiamente il luogo comune delle mafie come antistato, come antisistema. È stato proprio questo luogo comune a tenere per anni in ombra il vero motivo del successo delle mafie. Mentre alcune forme di violenza e di contestazione armata del potere costituito si sono manifestate contro le leggi e contro la visione unitaria dello Stato (il brigantaggio nell’Ottocento, le rivendicazioni etniche-territoriali e il terrorismo politico nel Novecento) e perciò alla fine sono state sconfitte, le mafie hanno usato una violenza non di contrapposizione, non di scontro frontale, ma di integrazione, interna cioè alla politica e al potere ufficiale. Dunque, per mafia si deve intendere una violenza di relazione e di integrazione. In questa loro caratteristica consiste la ragione del loro perdurante successo.
Antonio Cavallaro
Ufficio Stampa RUBBETTINO EDITORE
Riceviamo e pubblichiamo:
I Coordinamenti di Cosenza, Vibo Valentia e Lamezia di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie esprimono la loro assoluta ed incondizionata solidarietà a Francesca Viscone, autrice (tra le altre cose) di pregiatissime riflessioni sul fenomeno della ‘ndrangheta a Claudio La Camera, coordinatore del Museo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria per le vili e volgari intimidazioni ricevute da Francesco Sbano e Domenico Siclari nei cui confronti è stato prontamente depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Evidentemente turbati e infastiditi dalle attività educative svolte negli ultimi anni, che mirano, tra le altre cose, a smascherare l’uso strumentale che i mafiosi hanno fatto della musica popolare, smitizzando i capi mafia e la viltà dei loro gesti, il sedicente autore ed il sedicente suo manager-produttore del cd. “i canti di malavita”– come può leggersi nell’esposto – hanno dato in escandescenza riservando a Francesca Viscone il solito epiteto che gli uomini a corto di idee riservano alle donne. Se per questi due signori la riproposizione mediatica degli pseudo valori mafiosi è attività finanche lucrosa, per noi di Libera e per tutti quelli che come Viscone si impegnano quotidianamente per la legalità e contro tutte le mafie valgono ben altri valori che hanno a che fare con la emancipazione sociale di questa terra a partire dalla demistificazione del sostrato culturale che alimenta la cosiddetta “onorata società”.
Oggi, 21 marzo, primo giorno di primavera, Serra San Bruno scenderà in piazza con Libera per la XVII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Un giorno importante dunque per la cittadina bruniana, che si appresta a vivere un momento di condivisione e di speranza nella battaglia per la legalità e contro le mafie. Il coordinamento provinciale di Libera ha voluto organizzare la giornata proprio a Serra per dare un segnale forte di memoria, di impegno e di testimonianza per tutte quelle persone innocenti cadute per mano mafiosa. Il corteo si radunerà stamattina alle 9 davanti alla Caserma dei Carabinieri; alle 9:30 è prevista la partenza della manifestazione che sfilerà su corso Umberto I; alle 10:30 inizierà la celebrazione di preghiera. Durante il corteo saranno letti i nomi delle vittime innocenti della mafia.
VIBO VALENTIA - Si è scagliato contro l’antimafia delle parole, contro chi pratica “la legalità malleabile”, ma ha anche avuto parole di speranza nei confronti dei tanti giovani raccolti nell’auditorium della scuola di Polizia per la quinta assemblea provinciale dell’associazione antimafia Libera. E lui, don Luigi Ciotti, come sempre non si è affidato alla banalità della retorica di cui spesso si abusa sul tema: “Meno convegni, per piacere”, meno esibizioni vuote e autoassoluzioni gratuite, dunque, e più fatti concreti per sconfiggere il cancro delle mafie. “Il problema non è la 'ndrangheta, il problema siamo noi”. E’ stato inequivocabile don Ciotti, affiancato da don Peppino Fiorillo e dall’avv. Giovanna Fronte, di Libera Vibo. “Siamo noi – ha aggiunto – perché non è possibile che quanti sono legati a doppio mandato a crimini e illegalità riescano a tenere in ostaggio un Paese intero. È 150 anni che parliamo di mafia, tutti parlano di contrasto alla mafie che invece continuano a essere presenti e onnipresenti innestandosi finanche nelle associazioni antimafia, nelle istituzioni e nelle cooperative». Parole dure come pietre, mirate ad intaccare il professionismo dell’antimafia che non contrasta con i fatti l’azione dilagante delle organizzazioni criminali. “Il cambiamento – ha affermato ancora il fondatore di Libera – ha bisogno della nostra trasparenza innanzitutto. Dobbiamo comprendere che il problema è anche di democrazia, che è fondata su due doni, giustizia e dignità umana, e che però non riuscirà mai a stare in piedi senza la terza stampella: quella della corresponsabilità”. Serve assumersi la responsabilità di agire in prima persona, per sconfiggere quella “malattia mortale che è la rassegnazione”, evitando individualismi e personalismi perché nella lotta alle mafie “non si agisce da navigatori solitari, non è l'io che vince ma il noi”. Al tempo stesso, però, don Ciotti ha inviato i ragazzi presenti, tra cui gli studenti dell’istituto “Einaudi” di Serra (foto), a saper guardare le cose con occhio vigile e critico a “saper distinguere sempre per non confondere”, per non generalizzare. “La speranza qui si chiama opportunità e lavoro. Per questo – ha detto – la speranza o è di tutti o non è tale”. E il prete antimafia ne ha anche per la Chiesa, che deve scuotersi di fronte a questi fenomeni: “Non possiamo stare sui massimi sistemi, meno baci alla Madonna e ai santi e ci sia da fare sporcandosi le mani per creare più giustizia”.
L’incontro di ieri, moderato dal giornalista Pietro Comito, ha visto anche la testimonianza di Matteo Luzza, in rappresentanza delle famiglie vittime della mafia e di Barbara Vinci che, per la prima volta, ha avuto la possibilità di ricordare il padre Bruno Vinci, ucciso il 14 aprile del 1989 a Serra San Bruno all'età di 36 anni. Presenti in sala anche Nicola Addesi e Domenico Augurusa, i cui padri sono rimasti vittima della strage dell'Epifania a Sant'Onofrio. Prima del dibattito con gli studenti, sono intervenuti mons. Fiorillo e l'avv. Fronte, il prefetto Luisa Latella, il procuratore Mario Spagnuolo, il questore Giuseppe Cucchiara – che ha stigmatizzato i manifesti contro l’associazione di don Ciotti con su scritto "Calabria libera senza Libera" affissi e subito rimossi in mattinata – e i comandanti provinciali di Carabinieri, Capitaneria di Porto, Guardia di finanza, Corpo Forestale, il presidente della Provincia Francesco De Nisi, il sindaco Nicola D'Agostino, il direttore della Scuola di Polizia Salvatore Barilaro, Franco Garufi (Cgil), Giovanni Pileggi (Talità Kum), Luciano Gagliardi (Compresi gli ultimi), Gianni Speranza, sindaco di Lamezia Terme, Mario Romano (Giovani imprenditori) e Francesco Bartone, sindaco di Soriano.
E’ stato infine annunciato che il prossimo 21 marzo Libera celebrerà la giornata della memoria a Serra San Bruno, "centro del Vibonese – ha detto Matteo Luzza, parente di una vittima di mafia – dove per un pelo, a seguito dell'assassinio di Damiano Vallelunga, boss dei Viperari, non è stato proclamato il lutto cittadino. Luogo dove mentre oltre 5mila persone deponevano fiori per l'uomo di 'ndrangheta assassinato, un ragazzo di 18 anni (Pasquale Andreacchi) era scomparso nel silenzio quasi assoluto. E a Serra quest'anno noi vogliamo ricordare un uomo di pace e non di mafia, portando i fiori sulla tomba di Bruno Vinci".
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