Venerdì, 06 Maggio 2022 07:06

«Viva la benemerita!»

Scritto da Valentino Santagati
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Peppino Donato, foto di Francesco Macrì Peppino Donato, foto di Francesco Macrì

Un ulteriore omaggio a Giuseppe Donato, che abbiamo perso nei giorni scorsi: il racconto di un episodio di cui era stato protagonista, già pubblicato nel volume “Ad esempio a me piace… Un viaggio in Calabria”, curato da Marco Ambrosi per la Rubbettino (2009).

Giuseppe Donato, venuto al mondo nel 1930 in una località di campagna del comune di Chiaravalle Centrale, in provincia di Catanzaro, è un eccellente e appassionato esecutore dei repertori vocali di tradizione orale della sua zona. Il padre Giovanni e i suoi fratelli, il cui prestigio di cantaturi e omini di spassu travalicava ampiamente il circondario, erano contadini muniti di una sudata piccola proprietà, e insieme a loro Peppino Donato ha cantato e lavorato fino al 1949. A diciannove anni diventa dipendente dell’Arma nei secoli fedele, che servirà per un trentennio, e comincia a costruirsi una personalità forte e originale senza rinnegare nessuno dei passaggi del suo percorso biografico. Peppino è uomo di mondo (è stato a Chiaravalle consigliere comunale, responsabile della Pro Loco e dirigente della squadra di calcio), amante dell’agricoltura e della caccia (la campagna di Poparace, che circonda la sua piccola casa natale, lo vede tutti i giorni impegnato in attività contadinesche) e neanche da carabiniere ha mai smesso di cantare e suonare la chitarra battente. Negli ultimi sette è diventato senz’altro il più disinvolto ed esuberante dei musicisti popolari che porto con me nei contesti più adatti a far conoscere e apprezzare la loro arte.

Bruno Citino, foto di Francesco Macrì

Il 6 dicembre del 2001 io, Peppino, Bruno Citino (straordinario polistrumentista popolare delle Serre calabresi) e Piero Crucitti (anche lui polistrumentista, giovane e valido, di Cataforio, frazione di Reggio Calabria) eravamo a Urbino, ospiti dell’associazione culturale “Il vento” che aveva organizzato un doppio incontro con la musica tradizionale calabrese. Dei giovani universitari dell’associazione ricordo le generose convinzioni di sinistra e l’idea che la cultura dei contadini oppressi fosse colma di potenzialità eversive e capace di esprimere una coerente opposizione nei confronti della cultura ufficiale. Fu dunque inevitabile che i discorsi del seminario pomeridiano, svoltosi in una Sala del Maniscalco per nulla gremita ma lo stesso partecipe e accesa, scivolassero sul brigantaggio e sull’occupazione delle terre. Dovete sapere a questo punto che le gesta dei briganti calabresi di tutte le epoche, emblemi della lotta contro lo Stato per l’affermazione dei valori propri delle comunità contadine, avvincono Peppino Donato e non hanno segreti per lui; perciò nell’occasione si sentì invitato a nozze: la parola briganti che rimbalzava senza posa nella sala gli fece imbracciare la chitarra battente per eseguire un canto attribuito alla risentita vena poetica di Giuseppe Musolino e carico di odio nei confronti degli sbirri responsabili della sua rovina. La canzone si chiudeva con due distici anti-carabiniere di ampia diffusione in Calabria:

carogna ca serviti lu cuvernu

chi strisci russi e li ruobbi di pannu

ma si pe sorte cangia lu cuvernu

li strisci vi li tagghiu parm’a parmu.

I presenti avevano appena finito di spellarsi le mani in un applauso prolungato e riconoscente quando feci una battuta che solo Bruno, Piero e Peppino potevano capire: “E se lo dice don Peppino che se ne intende – dissi con un tono che forse risentiva dell’entusiasmo collettivo – devono essere carogne veramente”. Peppino si rese conto tutt’a un tratto che lo schieramento pro briganti da cui era circondato non condivideva fino in fondo i sentimenti suoi e cominciò a rivolgersi con decisione al ristretto ma caloroso uditorio che pendeva dalle sue labbra: “A me l’Arma ha dato un’istruzione, un’educazione, a me l’Arma ha dato il pane, – rivendicò Peppino – viva la Benemerita!”, concluse con la stessa voce potente che utilizza quando canta. Gli studenti, ignorando le vicende personali e il sincretismo di Giuseppe Donato, rimasero di sasso e per qualche secondo l’imbarazzo si impadronì della sala e degli organizzatori. Soltanto la presenza di spirito di un ragazzo non manicheo, che ricominciò a gridargli bravooo! a squarciagola applaudendo e fu immediatamente appoggiato da noi calabresi e poi dagli altri, riconsegnò Peppino al tripudio generale.

In seguitò si parlò dei contadini in divisa che spararono su altri contadini per difendere infami interessi e qualcuno ricordò Pasolini e la poesia su Valle Giulia.

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