Sabato, 23 Luglio 2022 08:41

Se l’intelligenza artificiale si occupa di Giustizia

Scritto da Bruno Greco
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Datemi un algoritmo e vi solleverò il mondo. La massima di Archimede potrebbe benissimo essere usata ai giorni nostri sostituendo un semplice sostantivo. E forse più di una leva è stato l'algoritmo a sollevare il mondo, o meglio a capovolgerlo da capo a piedi, trasponendo la socialità quasi completamente nel mondo digitale. Non bisogna fare lunghi percorsi a ritroso nella Storia per rendersi conto di quanto potesse essere fantascienza l'utilizzo di un motore di ricerca, un incontro in rete, lo smart-working, ecc. Gli algoritmi hanno trasformato, e per certi versi facilitato, le nostre vite tant'è che la loro efficacia nel risolvere problemi ha coinvolto pure la giurisprudenza. Può sembrare fantascienza ma in realtà è da molto che il digitale tenta di “monopolizzare” anche la Giustizia.
Un'analisi scientifica rispetto al tema è stata fatta dall'avvocato cassazionista, nonché docente universitario, Giovanni Pasceri con il suo libro "La predittività delle decisioni - La funzione giurisprudenziale e la responsabilità delle parti nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale" (Giuffrè Francis Lefebvre edizioni). Un lavoro (la cui prefazione è stata firmata dal giurista Guido Alpa) che all'avvocato originario di Capistrano è valso l'inserimento nell'Islc (Information society law center) del dipartimento “Cesare Beccaria” dell'Università di Milano.  

Un software può determinare una sentenza?

Per quanto riguarda il vecchio continente a stuzzicare l’interesse dei giuristi sarebbe stata la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017, recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica. Nello specifico l’intelligenza artificiale viene definita come «in grado di apprendere e prendere decisioni in modo autonomo e indipendente dall’uomo». Può essere, dunque, che la grande capacità di immagazzinare informazioni da parte di un agente intelligente possa essere sufficiente a sostituire l’uomo in ambito giurisprudenziale? Pur essendo agli albori non si può più negare l’oramai consueto utilizzo di sistemi predittivi nella pratica giuridica. Gli Usa sono stati tra i primi ad utilizzare dei software come sistemi predittivi che però hanno la pecca di basarsi esclusivamente su probabilità statistiche. Un aspetto non proprio recante principi di trasparenza e obbiettività, che produce notevoli effetti discriminatori. Già nel 1972 la disparità di condanna (sentencing disparity) era stata stigmatizzata dal giudice Marvin Frankel nel saggio “Criminal sentences: law without order”. Sotto accusa il tranello delle generalizzazioni empiriche e dei fattori di condizionamento economico-sociale portatori di discriminazione. Nonostante le evidenti carenze di questi sistemi anche l’Europa ha adottato software simili a quelli americani e stati come Francia, Regno Unito, Austria e altri ne fanno uso. Per quanto riguarda invece l’esperienza italiana non esiste alcun concreto progetto volto alla costruzione di una giustizia predittiva basata sull’intelligenza artificiale anche se “embrioni” di sistemi vengono di volta in volta usati anche da singoli tribunali. Per un uso oculato nel settore Giustizia la Commissione europea ha adottato la “Carta etica sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e negli ambiti connessi”.

Nonostante i promettenti passi in avanti della tecnologia e gli approcci sempre più frequenti da parte degli Stati, nel suo lavoro l’avvocato Giovanni Pasceri mette in evidenza come la matematica non possa mai sostituire il naturalismo biologico o l’atto linguistico in sé. Un sistema predittivo, per quanto “intelligente”, difficilmente potrebbe comprendere l’accezione delle parole in base al contesto o interpretare la legge che in mancanza dell’essere umano non diventerà mai diritto. 

Il paradosso di Russel

L’autore ci spiega, attraverso il “Paradosso di Russel”, come affidarsi completamente alla matematica non sia poi la cosa più giusta da fare: «L’affidamento al sapere matematico come modello logistico del sapere – ha spiegato Pasceri – è stato messo in dubbio dal matematico Bertrand Russell il quale con il suo “paradosso” ha determinato la crisi delle tradizionali qualità di cui godeva la matematica e allo stesso tempo ha dimostrato la relatività della logica matematica rispetto al mondo reale. Russel giunse affermare che il paradosso è intrinseco nella lingua naturale, così come nella matematica. Per tali ragioni, il ragionamento è esso stesso luogo di errori comuni. La possibilità che in un ragionamento logico possa coesistere una contraddizione, fa venir meno la rigorosità del pensiero matematico. Ciò conduce al fatto che se la logica e la matematica, fondamenti dei sistemi intelligenti, sono soggetti a contraddizioni, allora anche l’intelligenza artificiale non può esserne immune. Il paradosso può essere così sintetizzato: “L’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a sé stessi appartiene a sé stesso se e solo se non appartiene a sé stesso”. La proposizione è un’antinomia – ha continuato – in quanto auto-contraddittoria sia nel caso che fosse vera, sia nel caso che risultasse falsa. Allo stesso tempo è un “paradosso” in quanto esprime una conclusione logica. Esistono infatti insiemi che contengono sé stessi come elementi (come ad esempio l’insieme di tutti i concetti astratti è a sua volta un concetto astratto) e allo stesso tempo esistono insiemi che non contengono sé stessi come elementi (si pensi ad esempio all’insieme di tutti i numeri reali che a sua volta non costituisce un numero reale). Di conseguenza, l’agente intelligente, nel caso in cui provasse a definire logicamente “il sapere”, si troverebbe ad elaborare dati linguistici-informatici logici (dati input) ma darebbe un risultato output che seppur valido è comunque illogico o contraddittorio».

Il diritto è un opinione

Dunque, parafrasando Salvatore Satta «se la forza della matematica è quella di non essere un’opinione, la forza del diritto è invece proprio quella di essere un’opinione, per questo occorre la collaborazione di tanta gente cioè di tante opinioni, per creare il diritto […].». Un lavoro, quello di Pasceri, che oltre a farsi critica di quel «quadro fantasioso» che è l’intelligenza artificiale applicata alla giurisprudenza guarda con occhio dubbioso anche ai sistemi common law (come quello inglese), basati su sentenze precedenti, in quanto ogni processo è un caso a sé e la figura dell’essere umano, con tutte le sue peculiarità biologiche, è assolutamente fondamentale e insostituibile.

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