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Regionalizzazione dell’economia italiana, questione meridionale ed eredità del feudalesimo. Sono questi i temi trattati dallo storico della scienza Francesco Barreca all’interno della rubrica dedicata ai libri nel programma “Detto tra noi”. Ospite consueto di Daniela Maiolo e Sergio Pelaia (regia di Bruno Iozzo), su Rs98 Barreca ha consigliato la lettura del saggio dello storico Giuseppe Cirillo dal titolo “Verso la trama sottile: feudo e protoindustria nel Regno di Napoli”. La trama richiamata nel titolo è quella dei tessuti di lana, ossia della manifattura laniera nel Regno di Napoli, attività imprenditoriale che definisce le caratteristiche tipiche dell’economia del tempo ma riscontrabili ancora oggi.
«Cirillo – ha detto Barreca – attingendo a fondi archivistici pubblici e privati spiega come la peculiarità dell’economia meridionale sia dovuta, in buona parte, al rapporto che questa ebbe con il feudalesimo». Secondo quanto spiegato dallo storico della scienza, furono i feudatari i principali attori del disegno economico del Mezzogiorno. Quando la rendita fondiaria crollava cominciarono a investire in attività proto-industriali come la manifattura della lana.
«Lo fecero – ha spiegato ancora Barreca – perché godevano dei privilegi derivanti dai feudi o ricevuti in regalia e grazie ai quali potevano distorcere il mercato, istituire monopoli e sfruttare la manodopera a basso costo». Un sistema che indirizzò la vita economica del Mezzogiorno verso il protezionismo e investimenti in attività di livello tecnologico medio-basso.
I PRODROMI DEL CAPITALISMO «Si verificò – ha continuato Barreca – la transizione dal feudalesimo al capitalismo nel Mezzogiorno, in quanto l’eversione dalla feudalità avvenne relativamente tardi, durante il periodo napoleonico, tra il 1806 e il 1808, ma non fu accompagnata da efficaci riforme agrarie ed economiche». Dunque, al cessare degli istituti giuridici feudali continuarono comunque ad esistere i vecchi rapporti economico-sociali. Si produssero quindi dei vuoti giuridici, delle “zone grigie”, in cui l’assenza dello Stato lasciava campo aperto alla collusione/collisione favorendo situazioni di extra-legalità.
«A questo punto – è la chiosa finale dello storico della scienza – è facile capire perché la struttura sociale del Mezzogiorno si sia rivelata così permeabile alla criminalità organizzata. Se non si tiene conto di queste premesse diventa difficile inquadrare l’intero fenomeno della ‘ndrangheta».
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