Domenica, 11 Dicembre 2022 09:30

Il Comitato serrese dei primi del ‘900 e la protesta per le tasse sui terreni

Scritto da Redazione
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Il manifesto del 1907 ritrovato nell'archivio comunale di Serra San Bruno Il manifesto del 1907 ritrovato nell'archivio comunale di Serra San Bruno

È un manifesto di 115 anni fa ma, a leggerlo oggi, risulta sorprendentemente attuale. Non solo per i parallelismi che ognuno potrà vederci traendone personali conclusioni, ma anche per i toni, per l’appello alla protesta unitaria che si tenta di veicolare tra la cittadinanza divisa, allora come oggi, tra opposte fazioni. Datato 15 febbraio 1907 e nascosto fra le carte recuperate di recente su impulso dell’attuale amministrazione comunale di Serra San Bruno, l’avviso alla cittadinanza è firmato da un «Comitato permanente di agitazione». Si parla, in effetti, di una protesta «già iniziata nella nostra Provincia» (all’epoca era la Calabria Ulteriore Seconda) per ottenere «la riduzione del 60% dell’imposta erariale sui terreni».

Nel 1905 c’era stato un terribile terremoto («557 vittime prevalentemente nel promontorio di Capo Vaticano, dove furono riportati danni fino all’XI grado della scala Mercalli») e un altro sisma devasterà lo Stretto e mezza regione nel 1908. Dopo quella sciagura i cittadini delle Serre non chiedevano interventi eccezionali o particolari deroghe normative, bensì la semplice applicazione di due leggi: la n. 255 del 25 giugno 1906 (“legge per le Calabrie”) e la n. 383 del 15 luglio 1906 (“legge pel Mezzogiorno”). Si chiedeva inoltre «un’adeguata diminuzione dell’esorbitante sovrimposta provinciale». Sia la legge per le Calabrie che quella per il Mezzogiorno prevedevano una riduzione del 30% delle imposte sui terreni, così i cittadini della Calabria Ulteriore Seconda pretendevano che si cumulassero in un «abbuono» del 60% delle tasse.

Sembrano rivendicazioni sacrosante e, a riprova, vale la pena riportare testualmente ciò che si legge nel manifesto custodito nell’archivio comunale presso la biblioteca “Enzo Vellone”: «Di fronte ad una causa così giusta, il nostro Mandamento non deve ancora offrire lo spettacolo poco edificante di una deplorevole e ostinata apatia; e, poiché il Comitato è già per tale obietto qui costituito, vi invitiamo ad accorrere numerosi al pubblico comizio» indetto per il successivo 17 febbraio alle ore 10 in Piazza Margherita (l’attuale piazza Azaria Tedeschi). L’accorata conclusione del manifesto è ancora più eloquente: «Cittadini! Cessino in questo momento solenne le ire e le discordie di parte, ed uniamoci tutti sotto la guida di un unico ideale che oggi deve unire e affratellare: la tutela dei nostri diritti».

Il presidente del Comitato era Giuseppe Maria Pisani sr., il quale, nello stesso giorno della pubblicazione del manifesto, comunicava al sindaco dell’epoca, Luigi Filippo Chimirri, di aver ricevuto l’incarico di guidare il sodalizio civico, invitandolo a intervenire al pubblico comizio. Qualche giorno prima, il 10 febbraio, era arrivata al primo cittadino serrese una lettera da Soverato con cui si auspicava che, a sua volta, si unisse «al grande comizio» di protesta convocato per il 13 successivo nella cittadina jonica. Lo stesso sindaco, fratello del Bruno Chimirri che era stato tra gli ispiratori della “legge per le Calabrie”, già ministro e all’epoca parlamentare, non era rimasto con le mani in mano e si era rivolto, in quelle stesse settimane, sia al «Marchese Lucifero» che al «Presidente Ministri» invocando l’applicazione di quella legge «finora dimenticata» e rimasta «parola morta».

Erano i tempi del governo Giolitti III e si era dunque nel pieno della “questione meridionale”. Nelle province del vecchio Regno di Napoli era stato bruscamente sovrapposto, dopo l’Unità, il sistema fiscale piemontese, modellato intorno alle esigenze di una società protoindustriale già avviata verso l’imprenditoria capitalista, mentre il Sud si reggeva su strutture sociali di tipo feudale e rurale. Si intervenne con “leggi speciali” come quella per la Calabria del 1906 ma i risultati furono quelli che furono.

Lo dimostrano le comunicazioni che nelle settimane successive arrivavano al Comune di Serra dalla Prefettura. Il 28 febbraio si precisava che «sulla quistione del 30 o del 60% di riduzione dell’imposta erariale dei terreni» il Ministero delle Finanze, appreso che «tra i contribuenti di codesta Provincia sono sorte agitazioni», non aveva mancato di far notare «l’infondatezza di tale pretesa; ma, poiché le agitazioni non sono cessate, e deplorevolmente in qualche comune hanno ecceduto i limiti della pacifica richiesta», aveva ritenuto opportuno richiamare la genesi della legge per le Calabrie «per chiarire meglio l’assoluta mancanza di legittimità nella pretesa e nelle agitazioni suddette».

Nelle missive veniva dunque ripercorso l’iter dei provvedimenti presentati in parlamento dopo il terremoto. Ne emergeva, secondo il Ministero, che l’abbuono del 30% era stato proposto ed accolto «invece» e «non in aggiunta» di altri ipotizzati che riguardavano il «nuovo catasto». Il prefetto dunque era del parere che «la persistenza nella agitazione» fosse «assolutamente fuori luogo e che essa» non servisse «ad altro che a mantenere turbata la vita cittadina con probabilità di disordini che non giovano affatto alla causa dei contribuenti». Si confidava, quindi, che il sindaco mettesse in campo «tutta la sua personale ed autorevole cooperazione per convincere tutti che ogni ulteriore protesta per ottenere dal potere esecutivo la riduzione del 60% è inutile».

Una circolare successiva, datata 2 marzo 1907, aggiungeva ulteriori elementi e pareva chiudere il caso. Si evinceva che ci fosse stata una discussione alla Camera dopo varie interpellanze «per la mancata o inesatta applicazione della legge sulle Calabrie». E ne era emerso, sempre secondo il prefetto, che doveva «ritenersi destituita di fondamento» l’idea della riduzione del 60% anziché del 30%». Dunque, la «logica conseguenza» era che, «anzitutto, deve cessare perché non ha più ragione d’essere l’agitazione».

Le conseguenze, paventate come un minaccioso sottotesto, sarebbero come sempre ricadute sulla popolazione: «Una ulteriore resistenza passiva – scriveva il prefetto al sindaco di Serra – traducentesi nel non pagamento delle imposte, oltre che illegale è fors’anche immorale, perché implicherebbe dispregio alle leggi vigenti, si traduce in un danno grave per lo Stato e per gli esattori, in un danno ancora più grave pei Comuni ma in un danno gravissimo pei contribuenti sui quali ricadrebbero tutte le conseguenze e degli atti esecutivi e più dell’accumularsi delle rate: occorre che tutti si convincano di ciò». Dalle carte non si evince quale esito ebbero le proteste del Comitato di 115 anni fa, ma i toni usati dai rappresentanti del governo dell’epoca nelle comunicazioni al sindaco lo lasciano presagire senza lasciare grandi margini di dubbio.

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