Domenica, 08 Novembre 2020 12:55

Il giallo di Ariola. Un omicidio (non di mafia) e la sepoltura nel cimitero della lupara bianca

Scritto da Sergio Pelaia
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Il metodo è quello della ‘ndrangheta, il «contesto» pure, ma il movente no. Non sono molte le certezze che ruotano attorno al macabro ritrovamento avvenuto nei giorni scorsi nei boschi di Ariola di Gerocarne. I pochi elementi che si hanno li ha forniti il procuratore di Vibo, Camillo Falvo, che conosce bene le faide che da anni insanguinano quel territorio. Un cadavere scarnificato, avvolto nel cellophane e seppellito sotto la carcassa di una Fiat 500. Questo hanno trovato gli agenti della Squadra Mobile che, evidentemente, sono andati lì a colpo sicuro. Le «risultanze investigative» che li hanno portati lì potrebbero anche essere le parole di un pentito o una "soffiata", questo non si sa, quel che è certo è che si tratta di un uomo ucciso non molto tempo fa a colpi d’arma da fuoco e poi portato lì, nelle campagne rivelatesi negli anni un cimitero della lupara bianca.

All’ombra del “locale” di Ariola (frazione di Gerocarne che geograficamente è il centro nevralgico di diversi paesi delle Preserre vibonesi), nei decenni si sono fatte la guerra tante famiglie di ‘ndrangheta come i Maiolo, gli Emanuele, i Loielo, i Gallace, i Taverniti. Il comando dell’ala militare della “società” a cavallo del nuovo millennio è passato, non certo pacificamente, dai Loielo agli Emanuele, ma la guerra tra queste due famiglie c’entrerebbe poco con il cadavere ritrovato il 4 novembre. Anche se la ‘ndrangheta ne ha fatti sparire molti, in quei boschi, uccisi a fucilate o a colpi di zappa e poi sotterrati tra i castagni, stavolta non si tratterebbe di un omicidio di mafia. «Il contesto è sempre quello – ha dichiarato Falvo all’Ansa – ma abbiamo motivo di credere che non sia maturato nella faida».

Difficile che possa trattarsi di persone scomparse da luoghi piuttosto distanti come Serra San Bruno, Limbadi o Mileto. Il nome che circola con insistenza è invece quello di Antonino Loielo, potrebbe essere suo il corpo sepolto sotto la 500. Cognome pesante (cugino dei boss Pino e Vincenzo assassinati nel 2002), 53 anni e una famiglia allargata piuttosto numerosa, Antonino, a differenza di alcuni dei suoi figli, non è ritenuto dagli inquirenti una figura di primo piano nella recrudescenza della faida avvenuta negli ultimi anni. Ad ottobre del 2015 qualcuno gli spara e lo ferisce mentre è in auto con la nuova compagna (incinta) e uno dei figli; 15 giorni dopo sparano anche a un altro figlio mentre è in auto assieme ai cugini. Passano alcuni mesi dai due attentati e Antonino svanisce nel nulla. Sparito. Ma nessuno, a quanto pare, ne denuncia la scomparsa. Ora il ritrovamento. E mentre si attende l’unica conferma possibile, quella del Dna, gli inquirenti provano a indagare nella sua vita privata, nel contesto familiare. Chi ha dato indicazioni su dove fosse sepolto quell’uomo, dando addirittura la 500 come punto di riferimento, potrebbe anche sapere perché è stato ucciso.

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