Domenica, 14 Marzo 2021 10:21

Il primo parlamentare delle Serre e la genesi dell'idea della Trasversale

Scritto da Tonino Ceravolo
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Il centosessantesimo anniversario della proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861) può essere l’occasione per ricordare come nella storia “grande” del periodo post-risorgimentale si inserisca la storia, ovviamente molto più piccola, del Collegio elettorale di Serra San Bruno, che prese l’avvio già con l’VIII legislatura del Regno (18 febbraio 1861 – 7 settembre 1865), la prima del nuovo Stato unitario. Il Collegio era, all’epoca, uno dei 443 collegi uninominali a doppio turno dislocati nel territorio nazionale e conobbe una prima fase che durò sino alla XIV legislatura (26 maggio 1880 – 2 ottobre 1882), fu soppresso dalla XV legislatura sino alla XVII, venne ricostituito per altre sette legislature e dal 1919 cessò la propria esistenza. Protagonista assoluto della storia del collegio fu Bruno Chimirri, che, con la sola eccezione delle legislature XV, XVI e XVII nelle quali si presentò con successo nel collegio di Catanzaro, ne fu il deputato a partire dalla legislatura XIII e fino alla XXIII (24 marzo 1909 – 29 settembre 1913), ricevendo poi la nomina a senatore del Regno con decreto del 16 ottobre 1913, ma occorre anche richiamare gli altri suoi rappresentanti quali Vincenzo Paparo, Patrizio Corapi, Gaetano Loffredo di Cassibile e Luigi di Francia, il suo ultimo parlamentare nella XXIV legislatura.  

Primo deputato del collegio fu Vito Doria, avvocato presso il foro di Catanzaro, nato a San Vito sullo Jonio nel novembre del 1812. In una sua opera dedicata ai parlamentari del Regno d’Italia, Aristide Calani ne tracciò un profilo da quale emerge con chiarezza il ruolo ricoperto da Doria nei moti insurrezionali ottocenteschi: “I sentimenti liberali ed italiani del Doria non tardarono ad attirare sopra di lui la malevola attenzione del governo, il quale non lasciò di manifestargli con mille piccole avanie e col confinarlo in Catanzaro, negandogli passaporto, la propria avversione. Sorto il 1848, il nostro protagonista figurò nella rivoluzione in qualità di commissario civile, onde organizzare la resistenza contro il governo borbonico, ridiventato assoluto e più che mai tirannico, dopo l’iniquo attentato del 15 maggio. Insieme agli avvocati Barba e Salerno, appartenne al comitato insurrezionale, e per quanto gli fu possibile si adoperò a mantenere nelle Calabrie quella generosa protesta armala mano. Ma spenta alfine la rivoluzione, il Doria venne sottoposto a cinque processi, fu costretto alla fuga ed a tenersi ascoso per 46 mesi, condannato ai ferri in contumacia, finché nel 1852 fu compreso con molti altri in un decreto d’abolizione dell’azione penale. Arrestato di nuovo nel 1854, sotto pretesto ch’egli cercasse di provocare un movimento insurrezionale, fu per oltre due mesi in prigione. Spuntato alfine il dì della liberazione del reame dal giogo borbonico, il Doria fu nel 1860 uno dei primi compagni del pro-dittatore Greco, cooperando insieme a lui alla grande opera dell’unificazione d’Italia”.

Nei suoi interventi parlamentari assunse un particolare rilievo il problema delle strade della regione, che emerse una prima volta già nella seduta della Camera dell’8 maggio 1861, quando Doria si fece portavoce della richiesta di sei consigli comunali per la costruzione di una strada rotabile da Chiaravalle a Catanzaro e che assunse i toni di una circostanziata denuncia il 3 marzo del 1863 allorché egli volle segnalare la mancanza di collegamenti stradali nelle province meridionali, individuando senza incertezze le responsabilità del precedente governo borbonico, che dell’isolamento delle popolazioni si era servito come di uno strumento politico per la loro sottomissione. Con un’idea anticipatrice di quanto si sarebbe faticosamente e parzialmente cominciato a realizzare nel secolo successivo, Doria auspicava una strada che congiungesse lo Jonio e il Tirreno attraverso la “cresta delle montagne”, per gli incalcolabili vantaggi che ne sarebbero derivati per i “rilevanti mandamenti di Arena, Soriano, Serra, Chiaravalle, Gasparina e Squillace” e anche per ragioni “strategico-militari” visto che, “a cavaliere sulle montagne di Serra”, si sarebbe potuto facilmente controllare il territorio. Da quest’ultimo punto di vista, anche un celeberrimo episodio della storia d’Italia nel Risorgimento forniva, a dire di Doria, una conferma esemplare dell’importanza dell’arteria viaria auspicata: “Nel disgraziato incidente, ch’ebbe doloroso fine ad Aspromonte, qualora le truppe del Governo avessero avuto contro, non un buon patriota, ma un nemico, si sarebbero trovate in isfavorevole posizione. Essendo molti gli sbocchi che si dovean custodire, fu necessità di sparpagliarle sovra Tiriolo, Maide e Monteleone sul Tirreno, e Catanzaro e molti altri punti sul Ionio. Che ne sarebbe avvenuto ? Che le si sarebbero potute combattere alla spicciolata ed in dettaglio, prima che gli sparsi drappelli si fossero potuti riunire. Se al contrario la strada in disame fosse esistita, bastava che il grosso dell’armata difenditrice si fosse postata a cavaliere sulle montagne di Serra, e semplici avamposti ai lati, spiando le mosse decise del nemico, ci avrebbero dato agio ad assalirlo compatti, grossi, trionfanti”. Anche servendosi della forza argomentativa di un controfattuale, Doria sosteneva l’indispensabilità di una strada che oggi, oltre un secolo e mezzo dopo, attende ancora di essere completata.

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