Martedì, 21 Luglio 2020 12:35

L’impero della cosca di Filadelfia: dai villaggi ai boschi fino ai fondi post Covid

Scritto da Redazione
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È vastissimo il campo d’indagine dell’operazione “Imponimento” portata a termine oggi contro le articolazioni locali ed estere della cosca Anello-Fruci, radicata a Filadelfia e in tutta l’area dell’Angitolano, al confine tra Vibonese e Lametino (qui i nomi delle persone arrestate). A coordinare l’indagine, oltre al procuratore Nicola Gratteri, sono stati l’aggiunto Vincenzo Capomolla e il sostituto Antonio De Bernardo, che hanno lavorato a stretto contatto con la Procura della Confederazione Elvetica nell’ambito di una Squadra Investigativa Comune (Joint Investigation Team) costituita a L’Aia, in Olanda.

Sequestro da 169 milioni, sigilli a tre villaggi. Il risultato è di 75 fermati (158 in totale gli indagati) e un sequestro preventivo d’urgenza di beni immobili, aziende, società, beni mobili registrati, rapporti bancari, riconducibili ai principali indagati, per un valore stimato in oltre 169 milioni di euro. Si tratta di un complesso patrimoniale, ubicato perlopiù in Calabria, costituito da 124 terreni, 116 fabbricati, 26 società, 19 ditte individuali, 84 automezzi, 2 moto e diversi rapporti bancari e finanziari, detenuto sia direttamente che attraverso prestanome, il cui valore è risultato sproporzionato rispetto alle capacità economico-reddituali dei rispettivi titolari. Tra i beni sequestrati anche tre noti villaggi turistici, tra i più grandi della Calabria, ubicati nelle zone di Parghelia (VV), Pizzo Calabro (VV) e Curinga (CZ) che secondo la Dda sarebbero stati a disposizione della cosca Anello-Fruci.

I rapporti con gli altri clan nel racconto di 29 pentiti. Nell’indagine sono state utilizzate le dichiarazioni di ben 29 collaboratori di giustizia, che hanno consentito di delineare i profili della cosca quale organismo in grado di muoversi anche ben oltre il proprio territorio di competenza e dotato di un esteso patrimonio materiale ed umano che gli ha permesso di essere presente sui contesti più diversificati, così come di interloquire con gli altri clan. Il capo della cosca è Rocco Anello, già detenuto, affiancato al vertice dal fratello Tommaso, da Giuseppe e da Vincenzino Fruci. I loro rapporti sarebbero estesi a tutte le maggiori cosche di ‘ndrangheta del territorio di competenza della Dda di Catanzaro: i Mancuso di Limbadi, i Bonavota di Sant’Onofrio, i Tripodi di Vibo Marina, i Lo Bianco di Vibo Valentia, gli Accorinti di Zungri, gli Iozzo-Chiefari di Chiaravalle Centrale, i Bruno di Vallefiorita, esponenti della consorteria dei Trapasso di San Leonardo di Cutro. Ma gli Anello-Fruci vantano legami anche con le cosche della provincia di Reggio Calabria (come i Pesce di Rosarno e gli Alvaro di Sinopoli) e operanti in Sicilia. Le indagini hanno documentato, peraltro, diversi summit mafiosi, tra i capi del clan di Filadelfia ed esponenti dei Mancuso, dei Tripodi e dei Lo Bianco. Incontri, secondo la Dda, che servivano a chiarire disguidi o incomprensioni riguardanti, tra gli altri, l’affidamento dei lavori nei settori di influenza dell’organizzazione criminale, «quale – scrivono gli inquirenti – lo sfruttamento delle risorse boschive, ovvero pretese dei gruppi criminali dei Lo Bianco e dei Tripodi nei confronti di un imprenditore del settore turistico, Facciolo Antonio, ritenuto organico alla consorteria Anello».

Gli affari nel turismo e le accuse a Stillitani. Molteplici i settori su cui la cosca esercitava il totale controllo. A partire da quello turistico, attraverso una profonda infiltrazione all’interno di alcune delle più importanti realtà della fascia tirrenica del territorio di azione, rispetto alle quali alcuni imprenditori del settore (come i fratelli Emanuele e Francescantonio Stillitani, quest’ultimo ex assessore regionale), accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbero «rafforzato la sfera di influenza» della cosca, rendendosi «parte attiva in condotte estorsive e favorendo la gestione dei servizi e delle forniture dei villaggi in capo alla cosca stessa, traendone i relativi benefici sia in termini di protezione mafiosa che di tipo economico; forniture, guardiania e servizi connessi all’attività erano a gestione esclusiva della cosca».

Gli interessi sui boschi delle Preserre e la complicità di tecnici e amministratori comunali. Gli interessi della cosca erano rivolti al remunerativo settore dei tagli boschivi nella zona a cavallo tra le Preserre vibonesi e catanzaresi. In tale settore la cosca, «attraverso – scrive ancora la Dda – l’imprenditore di riferimento, Monteleone Nicola Antonio, organico alla consorteria e uomo di fiducia del capo cosca Anello Rocco, aveva creato un collaudato meccanismo collusivo di rotazione nell’aggiudicazione delle gare relative agli appalti boschivi, tra gli imprenditori di riferimento delle cosche dei territori limitrofi, Iozzo di Chiaravalle e Bruno di Vallefiorita, per definire la spartizione dei boschi stessi». Tale «meccanismo mafioso», posto in essere «attraverso turbative d’asta e illecita concorrenza sleale» avrebbe goduto «dell’appoggio di amministratori e tecnici comunali». Monteleone, secondo la Dda, era in grado di «muoversi all’interno degli uffici comunali determinando tempistiche e fasi di gara a piacimento della cosca».

Gli affari in Svizzera. Il legame di Rocco Anello con la Svizzera, sede di investimenti e traffici illeciti della cosca di Filadelfia, è di lunga data. I principali referenti degli Anello-Fruci in territorio elvetico sarebbero, stando alle ipotesi accusatorie, Carmelo Masdea (uomo soprattutto vicino a Tommaso Anello), Marco Galati e Fiore Francesco Masdea, che avrebbero curato gli affari «provvedendo al comparto armi e gestione attività economiche, riscuotendo soldi (le cosiddette “potature”) e trasportando, in contanti, ingenti somme di denaro verso Filadelfia».

Supermercati, edifici pubblici e villaggi: il monopolio su ruspe e calcestruzzo. Le imprese riconducibili a Rocco Anello avrebbero esercitato il monopolio «per le opere di movimento terra sui cantieri del territorio di competenza per la costruzione di supermercati, edifici pubblici, strutture turistico-alberghiere». Il boss, grazie al suo capillare controllo del territorio, sarebbe riuscito a intervenire su questi settori «anche prima dell’avvio dei lavori, definendo tempistiche e prezzi dei lavori e addirittura, in un caso, e godendo del favore del committente, organizzando la fase dello smaltimento dei materiali tossici di risulta, che venivano illecitamente sversati in aree naturalistiche protette, cagionando una significativa compromissione del suolo e del sottosuolo. La cosca secondo la Dda «imponeva alle aziende operanti nel proprio territorio di rifornirsi presso l’impianto di calcestruzzo riconducibile ad un altro fedelissimo, Daniele Prestanicola»

Prestanome e professionisti per acquisizioni immobiliari “pulite”. Terreni, capannoni, immobili di pregio e interi compendi immobiliari, anche con il concorso di professionisti, e di figure dirigenziali all’interno dei Comuni, sarebbero diventati di proprietà di Rocco Anello attraverso l’intestazione fittizia a terzi. Ciò avrebbe permesso alla cosca, unitamente ad episodi di autoriciclaggio registrati, di acquisire un patrimonio sempre crescente e al riparo da eventuali “aggressioni” patrimoniali da parte dell’Autorità giudiziaria.

I fondi post Covid, il Reddito di cittadinanza e le truffe Inail. «Il meccanismo collaudato predisposto e attuato dal sodale Bellissimo Nazzareno, con il concorso di un dipendente dell’Inail, e in alcune occasioni anche con l’intervento di altri esponenti della cosca (Monteleone Nicola Antonio e Anello Francescantonio) si concretizzava – scrivono gli inquirenti – mediante la commissione di una serie sistematica di delitti funzionali a conseguire l’indennizzo per supposti incidenti sul lavoro dei quali veniva creata l’apparenza, anche tramite false assunzioni, o comunque per ottenere il riconoscimento di indennità in misura superiore a quella spettante. Connesso a ciò anche la consumazione di delitti di estorsioni nei confronti dei percettori che non volevano consegnare loro la parte di denaro pattuita». Nel corso dell’inchiesta si è anche scoperto che due imprese, riconducibili ad altrettanti indagati destinatari del fermo, hanno avuto accesso al “Fondo centrale di garanzia PMI”, misura di sostegno statale per l’accesso agevolato al credito, rivolto sia alle piccole e medie imprese che alle persone fisiche, la cui attività imprenditoriale era stata danneggiata dall’emergenza Covid-19; una di tali imprese è anche oggetto di provvedimento di sequestro d’urgenza. È emerso, inoltre, che tre indagati destinatari del fermo avevano ottenuto misure di sostegno del reddito, nella forma del “Reddito di Cittadinanza” (RdC), la misura di contrasto alla povertà, finalizzata al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale, della quale uno risultava aver beneficiato quale diretto richiedente e, negli altri due casi, ne avevano beneficiato quali componenti di un nucleo familiare.

Il riciclaggio di automezzi, le armi e la droga. La cosca si dedicava con altrettanta spregiudicatezza al riciclaggio di automezzi rubati o anche solo parti di essi. «Con un’attenzione quasi spasmodica al “mercato” e alla disponibilità dei mezzi di volta in volta di interesse, gli accoliti – ricostruiscono gli investigatori – si mostravano in grado di operare anche personalmente, dal punto di vista meccanico, sugli automezzi, manomettendo all’occorrenza i telai in modo da renderli irrintracciabili. Un vero e proprio arsenale è stato poi rinvenuto e sequestrato: fucili, carabine, kalashnikov, pistole di diversi calibri e munizionamento. Le indagini condotte hanno fatto emergere come il traffico di armi venisse svolto anche oltre confine, in Svizzera. L’attività di indagine ha, altresì, evidenziato la operatività di una specifica organizzazione riconducibile agli esponenti di vertice della cosca, dedita alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati ingenti quantitativi di sostanza stupefacente: quattro piantagioni di marijuana per un totale di circa 6000 piante, 65 kg circa della medesima sostanza già essiccata e pronta per essere immessa sul mercato; è emersa, altresì, l’opera di l’approvvigionamento di eroina nella provincia di Foggia.

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