Mercoledì, 11 Aprile 2012 14:20

Mastru Cuosmu Zaffino, l’ultimo mastro scalpellino.

Scritto da Sergio Gambino
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mini zaffino_buonaChi abbia avuto modo di conoscerlo, non può non ricordarsene. Mastru Cuosmu è quello che si può definire il Mastro serrese per antonomasia, il suo famoso e sempre presente mezzo sigaro stretto tra le labbra sempre sorridenti. Lo scandire del tempo, la musicalità di chi racconta dando il giusto tempo e la giusta ritmica al discorso, sapendo bene quali siano i tempi della vita. Perché, e questo ve lo dico per esperienza personale diretta, lo scalpellare va fatto a ritmo, come in una passata di zampogna. Il battere della mazzetta, o la raspa come se fosse uno “zuco”. Il nostro Mastru Cuosmu poi, è un direttore d’orchestra, e da quel poco che le foto possano rendere omaggio, potete ammirare il pregio e il gusto dell’ultimo scalpellino. L’ultimo dei “ mohicani” di questa oramai mia ossessionante “Mastranza di la Serra”

Allievo del Professore Rispoli; chiamato appunto Professore per la grande maestranza, uno dei migliori mai passati nel corso di generazioni in mille anni di gloriosa carriera. Lavora anche con i Lomoro, altra grande famiglia di artisti della dura pietra serrese. Per me, il punto di riferimento naturale nella conoscenza orale del’arte della pietra, e quando mi avventurai nel farlo ebbi il grande onore di aver ricevuto tanti suoi consigli, che mi furono poi di vitale importanza nel proseguo del mio cammino artis…giano pardon (l’artisti moranu povari, anche se gli artigiani con 400 euro al mese di pensione non cugghjiunianu). Ad esempio , di fondamentale importanza il riconoscere ed individuare la “venatura”, “lu vierzu” di la petra. Mastro Cosimo la conosce e la tratta come se carezzasse una cosa viva, “che è dura, ma poi ad un certo punto, se sbagli si spezza e non perdona”, poi continua, “…quando lavoravamo noi lavoravamo a mano, non c’erano flessibili o corrente elettrica, tutto a mano si faceva, tagliavamo la pietra con i fili d’acciaio e la sabbia”. Mi spiega bene tutto il ciclo di lavorazione della pietra, che “veniva dapprima squadrata con i buchi, in un giorno riuscivamo a farne anche venti (ora un buon percussore li fa in dieci minuti scarsi), poi la spezzavamo, e la preparavamo, quasi pronta, in montagna stessa, per  diminuirne il peso, poi, nelle botteghe, in paese, si faceva la finitura. “

La petra è cuomu lu ‘nzudhu (biscotto alle mandorle serrese).  Altra cosa importante è la costruzione degli attrezzi, la costruzione e la manutenzione. Gli scalpelli, le lime,le raspe, tutti attrezzi costretti a combattere per cosi’ dire con un temibile avversario quale il granito delle serre, quindi soggetti a frequente usura e bisognosi di continua  assistenza. Gli scalpellini avevano bisogno di una vera e propria fucina “da campo” diciamo,e tante cose venivano fatte in montagna. Per il fino, o per gli attrezzi di una certa precisione, ci si rivolgeva ad un'altra grande categoria di artigiani. Uno per tutti, Mastro Rafieli di ‘Ncinni, vero e proprio artista del ferro battuto (ma questa è un’altra storia), al quale Gambino dedicò in sull’Ancinale (ristampato dall’associazione il Brigante) “Requiem per un artigiano”.

“Anzitutto bisogna conoscere la tempra del ferro, che cambia in base al colore del ferro  rovente, che va raffreddato a l momento giusto altrimenti la tempra è troppo dura o troppo dolce. Va trovato, (continua Mastro Cosimo) l’equlibrio giusto, tra la pietra che si utilizza, il tipo di lavoro che va fatto, cioè se di rifinitura o di sgrossatura, e la tempra dell’utensile”

E Cosimo, e questa è cosa importante, trasferisce il suo sapere ai figli, Biagio è suo successore artistico naturale, lavorando a bottega con il Padre praticamente da sempre. E passiamo alla lezione di economia, che, come Mastro Bruno Barillari (suo inseparabile compagno), ogni tanto mi danno. 

“Una volta, caro Sergio, i ragazzi andavano ad imparare l’arte dal mastro, come se andassero a scuola, ed al Mastro gli dovevi portare rispetto, e alle feste comandate portargli il regalo….ora non puoi prendere un discepolo che ti arrestano, e le tasse sono proibitive….”

E già! Come volevasi dimostrare centra in pieno uno dei problemi più seri e meno affrontati. Se partiamo da un discorso di sfruttamento sostenibile delle proprie risorse e dei propri territori, a Serra sarebbe naturale pensare allo sfruttamento della montagna, con le sue materie prime che abbiamo in abbondanza. Legno e granito, per il quale non abbiamo neanche bisogno di grosse spese per il recepimento, perché affiora in superfice, senza bisogno di cave. Poi, di cosa si ha bisogno? Di maestranza nella lavorazione, considerando che ancora brilliamo di luce riflessa, o tramandata. Mi capita di lavorare in Calabria ovunque, e  a chi non mi conosce ancora, gli basta sapere che il mio paese sia Serra per dire “…allura siti bravu!” .

Niente. Nessun amministratore si leva quelle fette di mortadella che gli vengono messe davanti agli occhi al momento della sua elezione. Si pensa al turismo religioso, alla casa del pellegrino. Serra non ha mai avuto sviluppo turistico, nemmeno nel periodo di boom economico e cioè degli anni settanta-ottanta. La mancanza di strade è una corbelleria, chi di voi è mai stato che ne so…a Gubbio. Ci vuole mezz’ora di volo d’aquila per arrivarci, ma vive di turismo. Cosa che a Serra non succederà mai, tranne quel piccolo, seppur importante indotto di qualche giorno d’estate.

Invece di pensare, come nel resto del mondo civile, di produrre beni utilizzando le proprie risorse naturali ed intellettuali come quella di M. Cosimo Zaffino, creando scuole di formazione per i giovani, che a Serra siamo tutti ragionieri, ed avviarli all’arte e al commercio. No. Facciamo corsi per quaranta estetisti. Fino a quando la parte buona della società, assisterà inoperosa al massacro politico fatto da ignoranti e malfattori, continueremo a vedere personaggi nell’ombra…. e al sole…l’isola dei famosi.

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