Giovedì, 27 Febbraio 2014 13:35

Ricorre oggi il cinquecentenario del ritorno dei certosini a Serra

Scritto da Mimmo Stirparo
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certosino Il 2014 è l’anno, si potrebbe dire, giubilare per San Bruno e la sua città che lo ha sempre amato e venerato, Serra San Bruno custode gelosa della Certosa che accoglie le sacre reliquie del Santo. Infatti, in questo anno di grazia, ricorrono i cinquecento anni della beatificazione del Santo Patriarca ed o cinque secoli del ritorno dei frati certosini nel sacro convento serrese dopo un’assenza di ben quasi quattro secoli.

Il 16 dicembre Leone X con propria Bolla sopprimeva l’abbazia cistercense dopo che nel 1192 la Certosa, come informa un Breve di Celestino III era stata affidata ai Cistercensi di Fossanova per finire, poi, in Commenda agli inizi del XV sec. Al decreto di Leone seguiva l’exequatur del 4 febbraio per cui i Certosini, il 27 febbraio del 1514 riprendevano possesso della loro antica Santa Casa.

Sono due eventi di grande importanza non solo per Serra, per la Calabria ma per il mondo intero alla luce della valenza storico-spirituale del Santo.

Un’anticipazione delle celebrazioni è già avvenuta lo scorso mese di novembre allorquando, durante l’udienza generale del 27, Papa Francesco ha benedetto una sacra icona di san Bruno presentata dal Priore della Certosa serrese e Procuratore generale dell’Ordine don Jacques Dupont, Icona che sarà esposta, durante l’anno nella chiesetta esterna del monastero. La stessa icona, di stile bizantino, solennemente intronizzata lo scorso gennaio è opera dell’iconografa ed eremita di rito greco ortodosso Madre Mirella Muià e rappresenta il congiungimento tra le Chiese di oriente e di occidente in quanto lo stesso san Bruno è stato un forte sostenitore dell’unità dei cristiani.

Le celebrazioni ufficiali prenderanno avvio, il 10 maggio con un convegno, di livello internazionale, sulla figura di Bruno.

Il 9 giugno, lunedì dopo la Pentecoste, giorno che fa memoria del ritrovamento delle venerate ossa, tra il 1502 e il 1508, nella chiesetta del santuario di Santa Maria del Bosco, durante una celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo Metropolita di Catanzaro  – Squillace Mons. Vincenzo Bertolone avverrà la proclamazione del fondatore dei Certosini come compatrono dell’Arcidiocesi assieme a san Vitaliano e sant’Agazio. Il 19 luglio saranno ricordati i 5 secoli di culto approvato da Leone X e riconfermato da Gregorio XV. In quel 19 luglio del 1514, infatti, dal Papa con un “oracolo di viva voce” il nostro Santo veniva beatificato con approvazione del culto all’interno dell’Ordine. Successivamente, con Decreto del 19 dicembre 1622, Gregorio XV deliberava  la canonizzazione estesa a tutta la Chiesa universale.

Da ricordare, ancora, che in questo anno celebrativo ricorrono 20 anni dall’apertura al pubblico di fedeli e studiosi del Museo della Certosa.

Brunone, questo il suo nome originario,è nato a Colonia attorno al 1030 e sin da giovane seguì gli studi secolari prima e teologici poi a Colonia e successivamente a Reims. Qui “fu molto amato e stimato, oltre che negli ambienti ecclesiastici, anche nelle alte sfere laiche intellettuali in cui godeva grande fama di uomo sapiente, giusto, buono e religioso”(A. Rebecchi, Le glorie sconosciute di un Santo nella storia di Calabria – Ed. Rubbettino, 1984).

I suoi primi anni sacerdotali lo videro poeta e saggista e, nonostante la giovane età, Canonico della Cattedrale di Colonia e poi del Capitolo di Reims dove diventò anche  Rettore e Cancelliere della Diocesi nel 1075. L’anno dopo bruno lasciò la città francese per seguire la sua vocazione monastica. Nel frattempo, 1068, diventava arcivescovo di Reims un tal Manasse che aveva acquistato il porporato in maniera simoniaca: conduceva vita scandalosa e depravata, profanava le chiese, vendeva le cariche ecclesiastiche minori e soprattutto non stava certamente dalla parte degli umili. E Bruno non stette a guardare perché combattè sua Manasse che la simonia nei Concili di Autun del 1077 e di Lione del 1080 ma ci fu la reazione vendicativa dell’accusato. Così il nostro Santo tedesco dovette allontanarsi da Reims per poi essere riaccolto da quel Capitolo e da quel popolo in seguito alla destituzione del Manasse. A questo punto, però, Brunone non era più lo stesso o meglio era sempre quel santo uomo di chiesa che non voleva più occuparsi della Curia contaminata come era stata da intrighi ed interessi personali. E qui, nonostante la proposta di una sua elezione alla guida della Diocesi di Reims, si manifestò il suo grande desiderio di sempre: ritirarsi in preghiera in luoghi solitari per stare sempre più vicino a Dio. Per realizzare tale sogno, coi compagni, tali Pietro e Lamberto si ritirò nell’Abbazia benedettina di Molesmes. Ma, scrive ancora Rebecchi, “quella vita monastica non risponde però alle sue esigenze. Accorgendosi di ciò l’Abate del convento, allora san Roberto, offre al nostro Santo un luogo più solitario nella vicina Sèche – Fontane. Ma neanche questa località sembra adattarsi ai suoi bisogni spirituali giacchè spesso è visitato da amici e discepoli ansiosi di rivederlo e conferire con lui. Ma, dopo uno scambio di idee con san Roberto, decide di recarsi ancora più lontano, verso le Alpi, nel Delfinato, ove immense estensioni boschive e montane possono consentirgli una vita più solitaria”.

Assieme a sei compagni arrivò a Grenoble ben accolto dal vescovo Ugone che, qualche notte prima, aveva fatto un sogno abbastanza premonitore: sette stelle erano cadute ai suoi piedi, poi erano ritornate nello spazio e dopo aver vagato per un po’ si erano posate su un magnifico tempio. Ebbene erano proprio i sette pellegrini che chiedevano al vescovo ospitalità e un luogo solitario di alta montagna. Così è stato.  San Bruno e i suoi fedeli compagni si fermarono nella località montana  (977 mt, slm) detta Charteuse circondata da alte conifere e qui fece edificare una chiesetta. Quindi i primi eremiti indossarono l’abito bianco e duro e cominciarono la loro vita di preghiera, silenzio, contemplazione e penitenza. Qui, infatti, si costruiscono un ambiente per la preghiera comune e sette baracche dove ciascuno vive pregando e lavorando: una vita da eremiti con pochi momenti comunitari coma avviene ancora oggi.

È nato così il primo nucleo dell’Ordine Certosino, detto anche Cartusiano dal toponimo della montagna francese. Era l’anno 1084 e ventisette anni dopo la morte del suo fondatore (1101), il tenore di vita di quei primi monaci diventerà Regola scritta dell’Ordine. Ma il loro silenzio non era poi così lontano dal mondo se, come riporta Rebecchi, “la loro fama di religiosi e la loro gloria si diffusero…fino a Roma, sicchè Papa Urbano II, che era stato a Reims discepolo di Bruno…volle il suo antico Maestro presso di sé e lo chiamò alla Corte Papale”.

E Bruno, per obbedienza e con tanta tristezza nel cuore per il silenzio delle montagne francesi abbandonato, raggiunse Roma e il suo discepolo che lo prese a sé come consigliere personale. Erano gli anni di un gravissimo scisma con Urbano II costretto a scendere fino in Calabria assieme a Bruno e qui il Santo Padre offrì la vacante sede arcivescovile di Reggio al Maestro certosino. Ma il monaco tedesco nonostante le sollecitazioni del Papa, non accettò ed anzi, non trovando conformità ai suoi propositi la vita curiale, chiese di potersi allontanare in un luogo di estremo silenzio della regione. Così il Certosino, tra i rilievi aspromontani, arrivò fino a Mileto, allora sede capitale del Conte Ruggero I il Normanno, e da questi gli fu donato un territorio (900mt, slm) tra Stilo e Arena, detto Torre, l’attuale Santa Maria di Serra San Bruno, bagnata dal fiume Ancinale, il greco Ekinar. Qui nacque il primo cenobio certosino in cui Bruno ed i suoi compagni cominciarono a dimorare in semplici rifugi, anzi il Santo per il riposo della notte scelse una piccola grotta scavata naturalmente tra il granito della montagna e per i suoi momenti penitenziali la gelida acqua dell’Ancinale da dove prende origine. È nata così la Certosa di Serra San Bruno, la prima e unica in Italia fondata dal Santo di Colonia. Poi venne, poco più a valle, la sede certosina, quella di oggi, della contrada Santo Stefano, per quei frati che non reggevano la rigidità del clima di Santa Maria.

Da allora, scrive Domenico Agazzo, “sempre pochi e sempre vivi i certosini: a Serra, vicino a Bruno, e altrove, passando attraverso guerre, terremoti, rivoluzioni. Sempre fedeli allo spirito primitivo. Una comunità, ‘mai riformata perché mai deformata’. Come la voleva Bruno, il cui culto è stato approvato da Leone X e confermato da Gregorio XV.”

Il Santo, dopo aver battezzato il primogenito di Ruggero, trovò la morte il 6 ottobre del 1101 tra  gli abeti e l’Ancinale e qui le sue ossa rimasero per alcuni secoli fino a quando, come vuole la tradizione, nel giorno di Pentecoste, tra il 1502 e il 1508, non furono rinvenute dietro l’altare dell’antica chiesetta dedicata alla Vergine del Bosco. Da allora Serra solennizza il suo fondatore e protettore nei giorni della Pentecoste e il dies natalis 6 ottobre.

Attorno alla vita di san Bruno e alla Certosa serrese è vasta la letteratura, una letteratura che va dalle origini ai nostri giorni, una letteratura che è sempre stata e lo sarà nel futuro conforto per generazioni di studiosi, cultori, fedeli e curiosi. E, per concludere, non si può sottacere che Serra San Bruno e la sua Certosa custode delle Sacre Reliquie, hanno avuto il privilegio di essere state visitate nel 1984 da Giovanni Paolo II e nell’ottobre 2011 da Benedetto XVI.

Mimmo Stirparo

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