Sabato, 06 Ottobre 2018 09:54

In memoria del dottore Cosmo Monteleone

Scritto da Antonio Cavallaro
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Foto Salvatore Federico Foto Salvatore Federico

Sono tanti i ricordi che si affollano alla mente in questa triste serata. Tra tutti, ve n’è uno che mi pare particolarmente emblematico e adatto a descrivere la statura umana e professionale del dottor Cosmo Monteleone. Era un pomeriggio d’autunno. Ancora studente liceale, ero appena tornato a casa da Serra San Bruno quando sentii squillare il telefono di casa. «Toni’ sei tu? Vieni subito in ambulatorio. Ti devo parlare». Era nel suo stile usare un tono imperioso che non ammetteva repliche.
Percorsi velocemente il centinaio di metri che separava casa mia dall’ambulatorio.
«Alzati la manica». Ubbidii fiducioso. Ancor prima di avere il tempo di realizzare cosa stesse succedendo cominciò a sfregarmi energicamente il luogo dove mi aveva fatto la puntura con un batuffolo di cotone imbevuto d’alcol. Solo lui era capace di fare le iniezioni con quella rapidità che, specie per chi ha sempre avuto come me la fobia degli aghi, aveva l’indubbio vantaggio di non lasciare spazio alla paura.
Mentre mi riabbassavo la manica, facendo attenzione a non staccare il cerottino con il quale, nel frattempo, aveva fissato del cotone asciutto, mi disse: «Ti ho fatto una puntura di immunoglobuline perché c’è in atto un’epidemia di parotite e tu da piccolo non l’hai avuta. Non è un vaccino ma ti proteggerà».
A distanza di molti anni ricordo spesso quell’episodio e lo racconto volentieri perché mi pare un esempio assai significativo di come Monteleone concepisse il suo “mestiere” di medico che consisteva nel “curare” i suoi assistiti. “Curare” inteso non solo come atto terapeutico ma come un prendersi cura, occuparsi e perfino preoccuparsi di loro.
Se si facesse un piccolo sondaggio tra le famiglie di Nardodipace, la comunità nella quale Monteleone ha trascorso quasi completamente la sua esistenza, si raccoglierebbero miriadi di aneddoti simili a quello che ho appena raccontato: veri e propri atti chirurgici operati in condizioni di estrema urgenza, interventi di pronto soccorso spesso nel cuore della notte e persino durante tormente di neve o terribili temporali che, lì sul pianoro di Ciano, specie in inverno non mancano.
Io stesso potrei ancora raccontare del delicato intervento su mia sorella che all’età di tre anni cadde in un braciere acceso e venne soccorsa in una tempestosa notte d’inverno dal dott. Monteleone che seppe agire con prontezza di spirito e grande capacità medica tanto che la bambina non solo ricevette le prime necessarie cure senza essere costretta a un pericoloso quanto lungo viaggio fino al pronto soccorso più vicino – che all’epoca coincideva con quello dell’ospedale di Vibo Valentia – ma venne assistita con amore e professionalità anche nei giorni successivi tanto che, di quella grave ustione, non rimase che un brutto ricordo: nessuna cicatrice, nessuna conseguenza.
A Nardodipace Monteleone vestì gli abiti del chirurgo, del pediatra, del ginecologo, del cardiologo, dell’urologo, del dermatologo… persino quelli dello psicologo e del consulente familiare. Quanti lo ricordano all’interno del documentario di Lombardi Satriani e Maricla Boggio “L’assenza del presente” quando spiega come abbia convinto alcune donne di Ragonà esauste dai troppi parti a usare la pillola, talvolta all’insaputa del marito?
Il valore delle persone spesso si coglie quando queste non ci sono più. Così è stato anche per il dott. Monteleone. Quando, dopo una vita interamente dedicata alla medicina, è andato in pensione, trasferendosi con la moglie a Soverato, Nardodipace ha subito compreso quanto grande fosse la mancanza di una persona di così grande spessore umano e professionale.
Da bambino mi sono sentito ripetere spesso che “tutti sono importanti ma nessuno è indispensabile”. Oggi, diventato adulto, posso affermare senza tema di essere smentito, che si tratta di una grossa bugia. Le piccole comunità sono fatte di individui che hanno un loro significativo peso specifico. Non è vero che si possa fare a meno di chiunque.
Quando Monteleone è andato via, Nardodipace è diventata realmente più povera perché si è trovata privata di una presenza che garantiva la sicurezza e la salvaguardia della salute (che è poi il bene più prezioso che si possieda) dei suoi abitanti.
La vigilia di Capodanno di qualche anno fa – eravamo tornati a Nardodipace per trascorrere le feste di Natale con la mia famiglia d’origine – mio figlio, che all’epoca aveva meno di due anni, cadde in casa dei miei sbattendo il capo su un gradino e procurandosi una vistosa ferita.
Corremmo precipitosamente all’ambulatorio della guardia medica. Il medico di turno si disse subito impotente a intervenire e ci “consigliò” di recarci rapidamente al pronto soccorso di Serra San Bruno.
Fuori infuriava forte la tempesta. Il bambino sanguinava copiosamente.
Seguendo con fatica la strada a causa della pioggia incessante che riduceva di molto la visibilità continuavo a ripetere a mia moglie «Se ci fosse stato Monteleone non sarebbe successo…».
Già,se ci fosse stato Monteleone… Addio Dotto’, diciamo che non avete mai esternato una grande fede, ma sono certo che Dio vi abbia aperto subito le porte del Cielo e vi stia donando il premio della vita eterna per tutto il bene che nella vostra vita avete fatto e seminato. Vostra moglie, la vostra adorata mamma e tutti gli amici che ci hanno e vi hanno preceduto vi aspettano. Da lassù continuate a prendervi cura di noi.

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