Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
SERRA SAN BRUNO – Un riconoscimento prestigioso, non soltanto per l’autrice, ma che di riflesso e per suo tramite, si estende anche a tutta una nuova di generazione di intellettuali serresi. Una giuria d’indiscusso calibro - composta da giganti del panorama letterario, editoriale e giornalistico nazionale, quali Dacia Maraini, Franco Scaglia e Antonio Debenedetti, solo per citarne alcuni – ha assegnato la “Giara d’Argento” al romanzo secondo classificato “Sette paia di scarpe” di Eliana Iorfida, nell’ambito del Premio Letterario “La Giara” indetto da Rai Eri, giunto quest’anno alla sua seconda edizione, confermandosi ancora una volta una preziosa opportunità di scouting per scrittori esordienti al di sotto dei 39 anni. La archeologa trentaduenne originaria di Serra S. Bruno, - la cui premiazione è avvenuta nello splendido palcoscenico della Valle dei Templi di Agrigento - attraverso quest’opera prima, descrive la vita nel profondo nord-est siriano. «Sette paia di scarpe – si legge nella motivazione del premio - la storia di Ahida e della sua adolescenza sullo sfondo della guerra arabo-israeliana del 2006, ci trasporta in un mondo arcaico, rurale, destinato a metamorfosi profonde, senza tuttavia rinnegare i valori di una tradizione millenaria. Eliana Iorfida, narrandoci la vita del piccolo villaggio nella Jazeera siriana, ci descrive, senza giudizi morali o politici, una società dettata da rigide leggi patriarcali, di cui riconosce i limiti, la durezza, ma anche la forza e l’integrità morale. Di quel mondo ci restituisce i colori, la natura, e un senso profondo di humanitas, di collettività, che ci ricorda la genesi delle nostre radici mediterranee». «Ho dedicato quest’opera al popolo siriano che me l’ha ispirata – ha spiegato l’autrice al Quotidiano - concedendomi il privilegio di conoscere una storia vera, toccante, durante una delle missioni archeologiche cui ho preso parte, tra il 2006 e il 2007, sotto la direzione scientifica del Prof. Buccellati (Università della California). Oggi la Siria sta vivendo un passaggio drammatico della propria storia, che non può lasciarci indifferenti». La scrittrice serrese ha iniziato a scrivere questo romanzo nel 2008, lasciandolo più volte in sospeso per via degli impegni quotidiani, ma senza abbandonarlo del tutto «perché sentivo – ha commentato - che le vicende travagliate dei personaggi erano lì ad aspettarmi, non potevo tradirle. L’autunno scorso ho appreso del concorso RAI e mi sono affrettata a spedirlo alla sede regionale di Cosenza, emozionata nel sottoporlo ad un primo giudizio autorevole ed esigente». Gli autori di riferimento della scrittrice sono tanti, ma in chiusura di questo romanzo «ho voluto citare Corrado Alvaro e il suo importante reportage dalla Turchia degli anni ’30. Alvaro fu tra i primi a cogliere l’omogeneità della tradizione mediterranea, la comunanza del meridione d’Italia coi paesaggi e i volti che popolano la sponda opposta e che io ho stessa ho potuto apprezzare». La scrittrice si è quindi detta felice del traguardo raggiunto e onorata di aver rappresentato la Calabria in una circostanza così importante. «Spero – ha detto in conclusione - che l’opera diventi presto un libro e accompagni i miei futuri lettori in un viaggio avvincente, alla scoperta di un mondo che mi è rimasto nel cuore».
(articolo pubblicato su 'Il Quotidiano della Calabria')
Donna, spesso, è sinonimo di madre, e da uomo, ho sempre avuto gran rispetto per la donna. Rispetto in lei, nella natura che la predispone all’essere madre. Nella letteratura calabrese, nella poesia, la donna, sempre è stata trattata come un essere puro, quasi sacro, mai venendo meno, mai dissacrando questo principio di “santità della donna”. Cosi scriveva mio Sharo Gambino. “Santità intesa come purificazione mediante la maternità, anche quando la maternità è mancata per un difetto della natura o perché non c’è stato il seme a compiere il miracolo eterno della vita”. La donna dunque protagonista della famiglia e della società. Madre sinonimo di amore e di dolcezza. In Calabria, spesso, donne forti, destinate ad un destino che spesso le ghettizza, le rinchiude, le arresta in casa. Alvaro stesso, spesso parla di donna e di destino, nei suoi romanzi. L’opera tutta di Alvaro, quella letteraria, è da considerarsi palcoscenico di umanità, sulla cui ribalta la donna recita sempre un ruolo di primo piano. L’immagine che ho io della donna in questi giorni, purtroppo, è molto più cruda e triste. La descrizione della madre fatta da Ignazio Buttitta in “Lamento per la morte di Turiddu Carnovali”, di quella santità che da emblema di amore diventa odio e rabbia, l’odio di colei che si vede strappato il frutto del suo grembo, il dolore che solo e soltanto una madre può provare. Di nuovo Alvaro. Quella madre che non esita a mutarsi in “fiera” dalle unghie graffianti a lanciare l’anatema contro chi era stato la causa della rovina degli Argirò. “Maledizione a chi dico io. Maledizione a chi ha voluto il male delle creature innocenti. Che li fascino con l’allume di rocca, che vadano mendicando per i forni, che non abbiano pace, che la madre li vada cercando e non li riconosca” Questa madre, queste madri greche nel sentimento, nel volto, nei costumi e negli atteggiamenti, si legano con un filo conduttore lungo secoli a Medea. Non a quella Medea di Seneca, per il quale ella uccide i propri figli per gelosia verso il marito che l’ha abbandonata, ma alla Medea assai meno terribile de “La lunga notte di Medea”, che uccide i suoi figli non sopportando l’idea che essi debbano soffrire la fame o l’oppressione o l’esilio dell’emigrazione, li uccide per salvarli. Un amore talmente forte che arriva quasi alla perversione, ad una cinica interpretazione della realtà che non lascia spiragli e che vede la morte violenta come l’unica soluzione Le madri di ragazzi innocenti, le madri di ragazzi che sono stati inghiottiti dal fascino perverso della mafia, le madri che si sono trovate in mezzo ad una guerra di 'ndrangheta senza sapere come e perché e piangono mariti morti, figli in galera, figli probabili bersagli.”Fino a che si ammazzano tra di loro….” le donne non sono mai “tra di loro”, perché questi famosi “loro” che si ammazzano selvaggiamente sono figli di donne disperate. A loro il mio pensiero. Oggi specialmente alla madre di Filippo, oggi ancora alla madre di Pasquale.
(Enotrio, Onorata Società - Tre donne e un bambino)
Riceviamo e pubblichiamo
Lettera aperta: A Sua Eccellenza Mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo dell’Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace. A Sua Santità, Papa Benedetto XVI - Nelle ultime settimane, nel piccolo borgo di Cardinale (CZ), paese delle Preserre Calabresi, moltissimi parrocchiani, che da sempre sostengono il loro sacerdote, Don Alvaro Galeano Amariles, sono alla ricerca di risposte concrete sui motivi del trasferimento del predetto oblato ad altra comunità e su specifiche domande avanzate dai medesimi.
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