Se decine di persone passano perplesse sotto al balcone del Brigante, chiedendoci “ma che c’entra la bandiera No-Tav?”, vuol dire che siamo molto più indietro del previsto. Anzi dello sperato. Allora urge porre dei riferimenti precisi. Assegnare ad ogni ‘i’ il proprio puntino. Chiarire il perché di un concetto vecchio quanto il mondo: la solidarietà e la vicinanza a chi si oppone con tutte le proprie forze alla distruzione del territorio in cui vive. Alla devastazione di una comunità. Di se stesso. Quella contro la Tav è una battaglia che ci interessa molto più da vicino di quanto si possa pensare. Anzi di quanto fino ad ora è stato pensato. Una battaglia contro una violenza che in Calabria conosciamo bene. Una violenza che da noi non si chiama Tav. Che indossa abiti di colore apparentemente diverso, ma puzza dello stesso identico marcio. Una lotta che ha mille altri nomi, ma che si pone in continuità con quella dei No-Tav. Che riflette ed agisce su questioni aperte, come la 'ndrangheta, il ponte sullo Stretto, le navi dei veleni, la Marlane, il dissesto idrogeologico, la sanità che non è più sanità, l’acqua pubblica, quella sporca della diga Alaco, i faccendieri della Sorical o i commissariamenti d’oro della gestione rifiuti.