mini liberaHa sempre parlato di zona grigia, don Ciotti. Lo ha fatto l’ultima volta due giorni fa, a Genova. “Il problema vero – ha detto – è la zona grigia del Paese, perché la forza della mafia non sta dentro, ma fuori dalla mafia, nella zona grigia costituita dalla politica, dal mondo dei professionisti e degli imprenditori”. Secondo don Ciotti, le zone grigie “sono anche nella Chiesa”. C’è una porzione di società, dunque, molto consistente, che fa da cuscinetto, da imbottitura esterna al malaffare, alla criminalità, a ciò che viene comunemente racchiuso nella definizione di mafia. Di zona grigia da colpire, d’altronde, molti magistrati parlano da anni. In Calabria qualcosa, timidamente, comincia a venire alla luce. A squarciare il velo sono stati molti uomini dello Stato coraggiosi, e da ultimo un colonnello dei Ros, Valerio Giardina, che ha condotto le migliori operazioni contro la ‘ndrangheta degli ultimi anni. Ora vedremo se verrà smentito, boicottato, isolato, o se le sue parole, frutto di indagini accurate, serviranno a fare luce su questa famigerata zona grigia. E non si faccia l’errore di pensare che sia un problema di una sola parte politica: la ‘ndrangheta è trasversale, in Calabria sta con chi vince, anzi con chi fa vincere. Ma la zona grigia esiste solo nei contesti metropolitani, o è presente, con un maggiore grado di inabissamento, anche nel profondo della provincia calabrese?

Prendiamo Serra, che domani ospiterà un evento importante, non solo una cerimonia, ma una manifestazione in memoria delle vittime innocenti delle mafie destinata a lasciare il segno. La manifestazione di Libera arriva in un momento particolare, difficile. Serra ha assistito ad un delitto, quello di Pasquale Andreacchi (sequestrato, picchiato selvaggiamente e ucciso con un colpo di pistola in fronte), che, con ogni evidenza, è stato catalogato, un po’ da tutti, come omicidio di serie b. Caso archiviato, nessuno che fa chiasso, un ragazzo massacrato, nessuna giustizia. La zona grigia tace, e chi tace fa parte della zona grigia.

Ma Serra vive un momento particolare anche dal punto di vista politico, ammesso che le questioni a cui si accenna rientrino davvero in questo ambito. Il 29 novembre in Consiglio comunale i vertici dell’amministrazione cittadina hanno affermato che la giunta Rosi è il meglio che si potesse esprimere; meno di un mese dopo, il 22 dicembre, all’improvviso, un assessore che era stato votato a furor di popolo, Bruno Zaffino, viene estromesso dalla giunta con una motivazione banale, solo formale. Nel Consiglio successivo, giovedì 1 marzo, il sindaco comunica l’avvicendamento in giunta, quindi Zaffino prende la parola e dice: “Sindaco, devi avere il coraggio di sviscerare tutta la verità, perché la verità la sai tu, la so io e la sa tutta la maggioranza”. Da allora pesa sulla massima istituzione cittadina un silenzio imbarazzante, inquietante. Anche perché Zaffino era stato cercato, tesserato e candidato. Si aggiunga uno strano annuncio che, col senno di poi, non può che aumentare i dubbi: in una convention elettorale, alla presenza di Scopelliti, l’allora coordinatore provinciale del Pdl Valerio Grillo aveva annunciato che la lista – che poi avrebbe vinto – sarebbe passata al vaglio della prefettura. Invece ciò non è successo, lo ha confermato il prefetto.

Ebbene, quelle parole di Zaffino sono una macchia su tutta la comunità, perché lasciano intendere che dietro la vicenda potrebbe esserci qualcosa di oscuro, di segreto, di inconfessabile. Ma nessuno, dell’amministrazione comunale, da allora ha detto una parola per smentire, per chiarire, per dissipare le nebbie sulla faccenda. E’ tutto molto grigio insomma. Tra l’altro – è un dettaglio che non c’entra nulla, ma che non si può non ricordare, guardando ai temi della manifestazione di domani – il Consiglio comunale, su proposta della minoranza, aveva deciso all’unanimità di affiggere in municipio la targa con la dicitura “Qui la ‘ndrangheta non entra”. Sono passati quasi 4 mesi, e di quella targa neanche l’ombra.

Il Comune ha dato il patrocinio alla manifestazione di Libera, bene: si dia seguito anche alle parole di don Ciotti, si restituisca credibilità alle istituzioni democratiche. Si faccia, in concreto, luce sulle ombre che in molti, troppi, fanno finta di non vedere.

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mini studenti_con_don_ciottiVIBO VALENTIA - Si è scagliato contro l’antimafia delle parole, contro chi pratica “la legalità malleabile”, ma ha anche avuto parole di speranza nei confronti dei tanti giovani raccolti nell’auditorium della scuola di Polizia per la quinta assemblea provinciale dell’associazione antimafia Libera. E lui, don Luigi Ciotti, come sempre non si è affidato alla banalità della retorica di cui spesso si abusa sul tema: “Meno convegni, per piacere”, meno esibizioni vuote e autoassoluzioni gratuite, dunque, e più fatti concreti per sconfiggere il cancro delle mafie. “Il problema non è la 'ndrangheta, il problema siamo noi”. E’ stato inequivocabile don Ciotti, affiancato da don Peppino Fiorillo e dall’avv. Giovanna Fronte, di Libera Vibo. “Siamo noi – ha aggiunto – perché non è possibile che quanti sono legati a doppio mandato a crimini e illegalità riescano a tenere in ostaggio un Paese intero. È 150 anni che parliamo di mafia, tutti parlano di contrasto alla mafie che invece continuano a essere presenti e onnipresenti innestandosi finanche nelle associazioni antimafia, nelle istituzioni e nelle cooperative». Parole dure come pietre, mirate ad intaccare il professionismo dell’antimafia che non contrasta con i fatti l’azione dilagante delle organizzazioni criminali. “Il cambiamento – ha affermato ancora  il fondatore di Libera – ha bisogno della nostra trasparenza innanzitutto. Dobbiamo comprendere che il problema è anche di democrazia, che è fondata su due doni, giustizia e dignità umana, e che però non riuscirà mai a stare in piedi senza la terza stampella: quella della corresponsabilità”. Serve assumersi la responsabilità di agire in prima persona, per sconfiggere quella “malattia mortale che è la rassegnazione”, evitando individualismi e personalismi perché nella lotta alle mafie “non si agisce da navigatori solitari, non è l'io che vince ma il noi”. Al tempo stesso, però, don Ciotti ha inviato i ragazzi presenti, tra cui gli studenti dell’istituto “Einaudi” di Serra (foto), a saper guardare le cose con occhio vigile e critico a “saper distinguere sempre per non confondere”, per non generalizzare. “La speranza qui si chiama opportunità e lavoro. Per questo – ha detto – la speranza o è di tutti o non è tale”. E il prete antimafia ne ha anche per la Chiesa, che deve scuotersi di fronte a questi fenomeni: “Non possiamo stare sui massimi sistemi, meno baci alla Madonna e ai santi e ci sia da fare sporcandosi le mani per creare più giustizia”.

L’incontro di ieri, moderato dal giornalista Pietro Comito, ha visto anche la testimonianza di Matteo Luzza, in rappresentanza delle famiglie vittime della mafia e di Barbara Vinci che, per la prima volta, ha avuto la possibilità di ricordare il padre Bruno Vinci, ucciso il 14 aprile del 1989 a Serra San Bruno all'età di 36 anni. Presenti in sala anche Nicola Addesi e Domenico Augurusa, i cui padri sono rimasti vittima della strage dell'Epifania a Sant'Onofrio. Prima del dibattito con gli studenti, sono intervenuti mons. Fiorillo e l'avv. Fronte, il prefetto Luisa Latella, il procuratore Mario Spagnuolo, il questore Giuseppe Cucchiara – che ha stigmatizzato i manifesti contro l’associazione di don Ciotti con su scritto "Calabria libera senza Libera" affissi e subito rimossi in mattinata – e  i comandanti provinciali di Carabinieri, Capitaneria di Porto, Guardia di finanza, Corpo Forestale, il presidente della Provincia Francesco De Nisi, il sindaco Nicola D'Agostino, il direttore della Scuola di Polizia Salvatore Barilaro, Franco Garufi (Cgil), Giovanni Pileggi (Talità Kum), Luciano Gagliardi (Compresi gli ultimi), Gianni Speranza, sindaco di Lamezia Terme, Mario Romano (Giovani imprenditori) e Francesco Bartone, sindaco di Soriano.

E’ stato infine annunciato che il prossimo 21 marzo Libera celebrerà la giornata della memoria a Serra San Bruno, "centro del Vibonese – ha detto Matteo Luzza, parente di una vittima di mafia – dove per un pelo, a seguito dell'assassinio di Damiano Vallelunga, boss dei Viperari, non è stato proclamato il lutto cittadino. Luogo dove mentre oltre 5mila persone deponevano fiori per l'uomo di 'ndrangheta assassinato, un ragazzo di 18 anni (Pasquale Andreacchi) era scomparso nel silenzio quasi assoluto. E a Serra quest'anno noi vogliamo ricordare un uomo di pace e non di mafia, portando i fiori sulla tomba di Bruno Vinci".

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