Venerdì, 02 Marzo 2012 21:22

Tav e gli amici degli amici

mini Auto-bruciate-No-Tav-Val-SusaIl velo di omertà e la protezione da ambo i lati, che la politica sta offrendo sull'alta velocità Torino-Lione è un caso rarissimo, specialmente per come è intesa la politica in questi ultimi anni. Plausibile pensare che i nostri cattivi conterranei abbiano messo radici anche in Val di Susa. E la ‘ndrangheta che offre sempre il solito servizio di raccolta voti. E la mala mette mano. Cosa hanno promesso i partiti alla 'ndrangheta? La Tav è un'opera da 22 miliardi di euro.
Negli ultimi giorni in Val di Susa hanno bruciato le auto di alcuni manifestanti (foto). Davvero vogliamo essere così miopi e ingenui da pensare che siano stati incendi accesi dagli stessi No Tav o dalla polizia? E a che scopo? Perino, uno dei leader dei No Tav si vede recapitare a casa questa lettera: «Brutto figlio di puttana, le stalle che abbiamo bruciato erano solo un avvertimento. Ora passeremo ai cristiani: vi veniamo a prendere mentre dormite, vi scanniamo come maiali e vi squagliamo nell'acido». E questo tipo di missive, in Calabria le conosciamo molto bene. Le lotte per la difesa dei territori, si somigliano, come per l’acqua nelle serre, per la terra nella Val di Susa.
Il procuratore di Torino Caselli parla di un «inquietante intreccio tra criminalità organizzata e politica». Incontri al bar, telefonate. Da una parte deputati, consiglieri regionali, funzionari pubblici, dall'altra pluripregiudicati, boss e capi di locale. L'operazione Minotauro portava nelle carceri politici, tra i quali Nevio Coral, già sindaco di centrodestra di Leinì (Torino) per 30 anni e suocero dell'assessore regionale alla Sanità, Caterina Ferrero, del Pdl. 
Ecco, quel piccolo comune – il più occidentale d’Italia – è stato il primo comune al di fuori del Meridione ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose: era il 1995. Ma i lunghi tentacoli della ‘ndrangheta avevano raggiunto la Valle di Susa almeno da quaranta anni: da quando, cioè, a metà degli anni ’50 un giovane muratore originario di Marina di Gioiosa Ionica venne mandato al confino da quelle parti. Si chiamava Rocco Lo Presti, e nel giro di pochi anni assume sempre più la direzione del boom associazione mafiosa edilizia che stava conoscendo la zona, costruendo case, palazzi e residence e riuscendo a reclutare manodopera a basso prezzo. Gioiosa e Siderno in progress. Come al solito. Invece di conoscere Siderno per la sua bellezza, per Peppe Correale, per Peppe Fragomeni, esportiamo malacarne. Maledetti. Ma continuiamo il nostro racconto.Visto che s’era ambientato così bene, Lo Presti consigliò a suo cugino di trasferirsi a Bardonecchia. E così arriva anche Francesco Mazzaferro, titolare di un’impresa di movimento terra che ottiene presto il monopolio del settore nella zona che va da Bardonecchia a Sauze d’Oulx, tanto che nei cantieri, secondo le cronache del tempo, si vedono solo autocarri targati RC. Negli anni, dopo qualche guaio con la giustizia - reclusione a causa di un condanna per omicidio non confermata in appello -, Lo Presti fa subito carriera imprenditoriale, un benefattore capace di dare lavoro a migliaia di persone e di garantire investimenti faraonici. “Ha rappresentato un pezzo della storia economica dell’Alta Valle e della località olimpica”, scrive un giornale locale in occasione della sua morte, avvenuta nel gennaio del 2009. Peccato che pochi giorni prima, però, “zio Rocco” fosse stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Aveva infatti organizzato una vera e propria deportazione. Piaceva agli operai (perché veniva garantito loro un lavoro) e soprattutto ai costruttori (che evitano così grane sindacali e risparmiavano sui contributi). Un rapporto della Commissione parlamentare antimafia, nientemeno che del 1974, evidenziò che “qualcosa di nuovo, qualcosa di strano ha rotto l’equilibrio di sempre. Si sono verificati fenomeni di delinquenza organizzata con caratteristiche del mondo mafioso: massicci casi di intermediazione, collocazione abusiva, sfruttamento e decurtazione salariale, racket”, e stimò che quasi l’80% della forza lavoro venisse reclutata attraverso canali illegali.E in Rosarno intanto ci si scandalizza perché Coca Cola acquistava arance dai negrieri rosarnesi.Quei poveri ragazzi, schiavi come nel Mississipi. La tecnica mafiosa dello schiavismo è sempre quella. Perché una ‘ndrina calabrese riesce ad attecchire in maniera così profonda in una regione straniera? Semplicemente perché è in grado di gestire in maniera efficiente il mondo del lavoro locale, fatto di appalti e di controllo della manodopera. E di lavoro, in quegli anni, nei pressi di Bardonecchia ce n’è tantissimo: ottomila alloggi, per 1 milione e 20mila metri cubi di cemento, vengono tirati su alla fine degli anni ’60, senza considerare tutte le costruzioni abusive (stimabili in 2 mila unità). E poi quelli sono gli anni della costruzione del traforo del Frejus: un investimento da 170 miliardi di vecchie lire di allora (una situazione non diversa da quella che la Val di Susa sta conoscendo oggi). Quest’improvvisa espansione edilizia portò all’esaurimento della manodopera locale e all’impossibilità, da parte delle piccole aziende di Bardonecchia, di intraprendere i lavori. Ed è qui che entra in gioco la ‘ndrangheta: molte imprese cominciano ad arrivare dalla Calabria, su consiglio di Lo Presti e di Mazzaferro, e si gettano a capofitto sugli appalti, divenendone i padroni assoluti. In un verbale steso nel 1987 dagli ispettori inviati dal prefetto di Torino si legge: “tra la cittadinanza di Bardonecchia è diffusa l’opinione che per intraprendere in quel luogo una qualunque attività commerciale sia necessario il parere favorevole del Lo Presti”. Si ficia Sindacu. Unità d’Italia, all’incontrario. I Savoia grandi criminali hanno invaso la Calabria. Ora i grandi criminali calabresi colonizzano il Piemonte. E attaccano i compagni con la stessa subdola tecnica che attaccano noi. Ma dai territori dobbiamo ripartire, senza mollare, perché se perdono una volta sola, cominceranno a perdere sempre.

Pubblicato in LO STORTO

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