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Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
L'ex magistrato, Vincenzo Giuseppe Giglio, è stato condannato a 4 anni e 7 mesi di carcere nel processo sulla cosiddetta 'zona grigia' della 'ndrangheta. Giglio, ex Presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria, venne arrestato e poi sospeso dal Csm, nel novembre 2011, con le accuse di corruzione, rivelazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento aggravato per avere agevolato l'attività del clan Valle-Lampada, operante in particolare in Lombardia. Nella stessa inchiesta è stato condannato a 8 anni e 4 mesi l’ex Consigliere regionale del Pdl Franco Morelli per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e rivelazione del segreto d'ufficio.
Inoltre i giudici dell’ottava sezione penale di Milano hanno disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per lo stesso Morelli, mentre Giglio è stato interdetto per 5 anni.Il tribunale, quindi, accogliendo l'impianto accusatorio del procuratore aggiunto Ilda Boccassini ha emesso altre sette condanne: 16 anni per il boss Giulio Lampada; 9 anni e 6 mesi per Leonardo Valle; 8 anni per Vincenzo Giglio (cugino del giudice); 4 anni e 6 mesi per Francesco Lampada; 7 anni per Raffaele Firminio; 3 anni e 3 mesi per Maria Valle; 5 anni e 3 mesi per l'ex militare della guardia di finanza Luigi Mongelli, mentre altri 3 finanzieri sono stati assolti con revoca delle misure cautelari.
Secondo l'accusa, il magistrato Giglio si sarebbe rivolto al consigliere Morelli per ‘indirizzare’ la nomina della moglie, Alessandra Sarlo, a commissario della Asl di Vibo Valentia ed, in cambio, Morelli avrebbe chiesto e ottenuto notizie riservate su indagini in corso. Entrambi risultavano in rapporto con Giulio Lampada, leader della gestione di slot machine e videopoker in molti locali pubblici di Milano. Nel corso del processo era stato ascoltato anche il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, che secondo alcune intercettazioni avrebbe incontrato Giulio Lampada a Roma proprio nei giorni della campagna elettorale.
La farsa del "Decreto liste pulite" è risultata alla fine un provvedimento virtuoso da parte del Governo Monti. In sostanza, nessun politico (passato e presente) che ha avuto problemi con la Giustizia rientra nella morsa del Decreto. Infatti, il testo che prevede i criteri di incandidabilità riporta che saranno esclusi coloro che hanno subìto «condanne definitive a più di due anni per delitti di allarme sociale (mafia e terrorismo) e contro la Pubblica Amministrazione (corruzione, concussione, peculato), nonché chi è stato condannato a più di due anni per delitti non colposi per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a 4 anni, (stalking, voto di scambio, aggiotaggio, reati fiscali, ecc.)».
Una mossa studiata a tavolino, come se prima della stesura del testo, parlamentari e senatori abbiano confessato le loro condanne per rientrare nei termini di legge. Anche Berlusconi ne esce pulito. Un plauso per il Governo Monti!
«Auspico ? sottolineava infatti la presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio Giulia Bongiorno ? che i partiti si dimostrino ancora più rigorosi della legge approvata, prevedendo regole e limiti ben più stringenti sulle candidature».Il consigliere regionale Antonio Rappoccio (appartenente al gruppo 'Insieme per la Calabria-Scopelliti presidente', in quota Pri) è stato rinviato a giudizio dal Gup di Reggio Silvana Grasso con l'accusa di corruzione elettorale. Rappoccio, che sarà a processo dal 29 marzo prossimo, è accusato di aver raggirato molte persone ideando dei concorsi fantasma attraverso cui avrebbe chiesto il sostegno elettorale ai partecipanti, ai quali veniva consegnata una scheda che poi loro restituivano compilata con i dati personali e anche l'indicazione della sezione e del seggio in cui avrebbero votato. La sede delle fantomatiche cooperative create da Rappoccio per mettere in piedi la truffa era proprio la segreteria reggina dell'esponente repubblicano. L'indagine è partita dalle denunce di Aurelio Chizzoniti, ex presidente del consiglio comunale di Reggio, che si è costituito parte civile, cosa che invece non ha fatto la Regione Calabria. Nel processo saranno decisive alcune testimonianze di persone che ruotavano nell'entourage di Rappoccio e che stanno rivelando ai magistrati il sistema ideato dal consigliere regionale per approfittare della crisi occupazionale ed estorcere il consenso a chi partecipava ai concorsi fantasma.
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