Martedì, 24 Gennaio 2012 21:35

Bloccati gli svincoli vibonesi della A3

mini foto_tirSORIANO CALABRO  - Continua la protesta partita dalla Sicilia, più di una settimana fa, e che ora interessa gran parte dell'Italia. Gli svincoli vibonesi della A3, Serre, Sant’Onofrio e Pizzo Calabro sono stati bloccati da diversi mezzi provenienti sia dalle grosse aziende come la Derenzo, Tassone, Simonetta, Carnovale e Prestanicola, che da “padroncini”, vale a dire autotrasportatori autonomi titolari di un tir. Nonostante la protesta sia grossa al tal punto da mettere in ginocchio la Calabria, gli scioperanti garantiscono l’accesso in autostrada agli autoveicoli, agli autobus di linea del trasporto pubblico e ai mezzi che distribuiscono derrate alimentari di prima necessità e farmaci.

Le richieste degli autotrasportatori aderenti allo sciopero sono molteplici: si va dagli sgravi sui carburanti ed in particolare sul gasolio, alla pari dignità assicurativa rispetto al nord, dove le assicurazioni costano il 30% in meno, passando per le nuove procedure per le attestazioni e i pagamenti delle multe e la rettifica delle sanzioni che non dovrebbero superare le 990 euro, per finire con la diminuzione del costo del bollo. Queste loro esigenze le affidano a giornali e televisioni e di una cosa sono certi «continueremo lo sciopero ad oltranza fino alla mezzanotte di venerdì in attesa che il governo accolga le nostre richieste».

Pubblicato in ATTUALITÀ

mini sharo_gambinoSERRA SAN BRUNO – Probabilmente in molti scopriranno un Sharo Gambino che non conoscono, un autore che va oltre il Meridionalismo, che è molto più di un giornalista o di un saggista. Scopriranno, quelli che non conoscono a fondo le sue opere, un romanziere di razza cui spetterebbe un posto nel pantheon della grande letteratura del ‘900, un narratore di storie universali. Storie che hanno preso corpo nella voce e nei gesti di Paolo Cutuli, che si sono sdraiate sul tappeto musicale tessuto con sapienza dal contrabbasso di Francesco Peronaci, che hanno rapito in maniera sorprendente l’attenzione degli studenti dell’istituto “Einaudi”, stregati dal reading teatrale “Un uomo ha perduto l’ombra”, realizzato dalla regista Ester Tatangelo per iniziativa del Sistema Bibliotecario Vibonese e dell’assessorato regionale alla Cultura. Frequentando l’istituto diretto da Tonino Ceravolo, i ragazzi serresi hanno imparato a conoscere e ad apprezzare l’opera di Gambino attraverso un concorso interno alla scuola, grazie al quale i libri del “cantore delle piccole cose”, serrese di adozione, vengono studiati e approfonditi. Quest’anno, per il Premio Gambino, sarà la volta di “Sole Nero a Malifà”, uno dei suoi romanzi più celebri, figlio del neorealismo di Alvaro, ambientato nella Ragonà dei primi anni ’50. Proprio da Sole Nero è stato tratto uno dei quattro brani che Cutuli ha interpretato di fronte agli studenti dell’“Einaudi”. Il primo, comico e paradossale, si intitola “La caccia alla mosca”: tratto da una raccolta oggi quasi introvabile (“Gli uccelli nella vigna”), poi inserito in un’altra raccolta destinata alle scuole (“L’ombra di Trentinella”), racconta di una surreale, quasi onirica lotta notturna tra il protagonista e una mosca che gli ronza intorno. Grazie all’abilità scenica di Cutuli, le parole di Gambino si sono materializzate sul palco, anche quando si è proseguito con “Il Ceraulo”, racconto dai rimandi ancestrali, ma anche a sfondo etnografico, incentrato sulla figura dei “Sampaulari”, i domatori di serpenti di una volta. E quindi si è arrivati a Malifà, dove la parabola tragica di Gesuino, un bambino del luogo, conosce momenti di pura tenerezza nel fugace incontro con la dolce coetanea Tera, e con la scoperta, attraverso di lei, di un amore fino ad allora sconosciuto.  Il finale, quindi, con “L’uomo che ha perduto l’ombra”, brano dai contorni pirandelliani, che va ad affrontare uno dei grandi temi della letteratura europea, quello dell’identità, del doppio.

Lo spettacolo, oltre che essere apprezzato dagli studenti, ha avuto il plauso di Franco e di Sergio Gambino, fratello e figlio dello scrittore, che a margine della rappresentazione, rispondendo alle tante domande degli studenti incuriositi, hanno avuto modo di raccontare episodi e curiosità della loro vita quotidiana vissuta accanto all’indimenticato Sharo.

 

(articolo publicato su Il Quotidiano della Calabria)

Pubblicato in CULTURA

mini RiccardiIl ministro all'Integrazione Andrea Riccardi arriva a Rosarno, invitato dal sindaco della città che il 7 gennaio 2010 fu teatro della rivolta degli immigrati e degli scontri tra stranieri e rosarnesi. A due anni da quegli eventi, resta vivo il problema della ghettizzazione, dello sfruttamento, del lavoro nero e sottopagato. Gli immigrati continuano ad arrivare a Rosarno, 1500 all'anno, e alcuni di loro, africani, a due anni dalla rivolta hanno scritto una lettera aperta ai rosarnesi. Per ringraziare dell'ospitalità, dire che i rosarnesi non devono avere paura di loro, e che "dobbiamo parlarci, capirci, e insieme riuscire ad andare avanti". Il ministro Riccardi, stamattina a Rosarno per visitare il campo di accoglienza per gli immigrati in contrada Testa dell'Acqua

Pubblicato in POLITICA

mini SpagnuoloI giudici del tribunale di Vibo Valentia hanno assolto, perche' il fatto non sussiste, quattro imputati coinvolti nell'inchiesta chiamata 'Golden House' accusati di abuso d'ufficio, abusivismo edilizio, e violazione delle ordinanze emesse dopo l'alluvione del 3 luglio del 2006. Si tratta di Giacomo Consoli, ex dirigente comunale del settore urbanistico, gli imprenditori Francesco Mirabello e Pietro Naso, ed il progettista dei lavori Gioele Pelaggi. Dopo quasi sei ore di camera di consiglio è arrivato il verdetto tanto atteso, che scatenato la gioia degli imputati. Si chiude quindi con l'assoluzione degli imputati il processo Golden House. Con le indagini partite tre anni fa, erano stati ipotizzati i reati di abuso in concorso e abusivismo edilizio per tutti, mentre a Consoli veniva inoltre contestato, in qualità di dirigente della ripartizione urbanistica del Comune, l'omessa revoca dei permessi a costruire dopo la pubblicazione dell'ordinanza n. 61 con la quale veniva adottato il piano Versace 2.

Pubblicato in ATTUALITÀ

mini 300px-NardodipaceDi seguito pubblichiamo integralmente il decreto del Presidente della Repubblica con cui è stato sciolto il Consiglio comunale di Nardodipace e la relazione del ministro dell'lnterno Anna Maria Cancellieri contenente le motivazioni del provvedimento.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Considerato che nel comune di Nardodipace (Vibo Valentia), i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 27 e 28 maggio 2007, sussistono forme di ingerenza della criminalita' organizzata, rilevate dai competenti organi investigativi;

Pubblicato in POLITICA
mini TASSONE_RoccoLo scioglimento del Consiglio comunale di Nardodipace è stato disposto dal Presidente della Repubblica il 19 dicembre scorso, mentre l'11 gennaio è arrivata la pubblicazione del decreto presidenziale sulla Gazzetta Ufficiale. Dopo la decisione del Consiglio dei ministri, c'è stato l'immediato insediamento della commissione straordinaria (composta dai viceprefetti Leonardo Guerrieri e Carmelo Musolino e dal dirigente Gino Rotella) che guiderà il comune per i prossimi 18 mesi - prorogabili per ulteriori 6 mesi - fino a quando non si andrà a nuove elezioni e si ristabilirà l'agibilità democratica nell'amministrazione comunale del paese montano. Ad accompagnare il decreto del presidente Napolitano c'è ovviamente la relazione che il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri ha prodotto di fronte al Consiglio dei ministri, che in larga parte dovrebbe rifarsi alle relazioni stilate dalla prefettura di Vibo Valentia. Nella relazione della titolare del Viminale, che è ovviamente alla base dello scioglimento del Consiglio comunale di Nardodipace, vengono messe in evidenza le risultanze investigative della maxioperazione "Crimine", che nel luglio 2010 ha portato in carcere per associazione mafiosa, tra gli altri, anche «il padre e il cugino del vicesindaco pro tempore» Romolo Tassone, successivamente «assessore e responsabile del servizio finanziario». Rocco Tassone (foto), padre del vicesindaco, viene indicato come il «capo indiscusso della locale criminalità», mentre per Damiano Tassone, cugino del vicesindaco, sono stati chiesti 12 anni di reclusione.
Il prefetto di Vibo, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica «integrato dal Procuratore di Vibo e dal Procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro», aveva già redatto una relazione il 29 settembre scorso, evidenziando «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti degli amministratori con la criminalità mafiosa». La stessa «figura del sindaco – si legge ancora nella relazione – si è caratterizzata per lo scarso rispetto delle regole e la volontà di mantenere consolidati rapporti con le cosche». Funzionale a tale «stato di cose», secondo il ministro, si sarebbe rivelato «il mancato rispetto del principio di separazione tra l'attività di indirizzo politico e quella gestionale, atteso che la responsabilità di due dei servizi più rilevanti dell'ente, è stata riservata al sindaco ed all'assessore, già vicesindaco, che ha rivestito tale incarico fino al maggio 2011 e solo a seguito dei rilievi del Prefetto sull'anomala composizione della giunta, in palese violazione» di un decreto del 2000 «è stato revocato dalla carica assessorile, pur conservando la carica di consigliere». Viene rilevato, inoltre, che ci sarebbe stato «contesto generale di illegalità» nel personale del Comune e nell'affidamento degli appalti, con condizionamenti «evidenti» nella stabilizzazione degli Lsu «in numero sproporzionato», nelle assunzioni degli operai forestali, nella gestione «dei lotti boschivi» affidati a ditte «collegate a esponenti della criminalità», nel contratto di gestione dell'asilo nido stipulato con «coniugi e parenti degli amministratori, nonché figli di esponenti della cosca locale», nell'approvvigionamento di prodotti della mensa scolastica «illegittimamente affidato in via diretta» a un operatore del settore «collegato alla cosca locale». Proprio la stabilizzazione dei lavoratori socialemnte utili viene definita dal ministro nella sua relazione «indiscriminata, assistenzialistica e clientelare» e tra l'altro avrebbe causato un aggravio della «condizione di deficitarietà dell'ente». Dalle risultanze del lavoro ispettivo della commissione d'accesso agli atti è stato inoltre evidenziato che alcuni Lsu che sarebbero «legati da assidui rapporti di frequentazione con esponenti della criminalità organizzata, hanno avuto incarichi di diretta collaborazione all'interno dell'ufficio di staff del sindaco», mentre «la scarsa attitudine al rispetto delle regole, funzionale al mantenimento di consolidati rapporti con le cosche, è testimoniata dalla determinazione del primo cittadino di gestire direttamente la gara per il rinnovo del servizio di trasporto pubblico locale eludendo le previsioni del protocollo d'intesa, stipulato da tutti i Comuni della provincia, con il quale è stata istituita la stazione unica appaltante, in modo da estromettere la ditta che, fino al 2009, aveva svolto il servizio e favorire quella che risulterà aggiudicataria della gara. A carico del socio di maggioranza di quest'ultima società – si legge nella relazione – risultano precedenti tra i quali quello di associazione a delinquere».
Pubblicato in POLITICA

mini ministero_giustizia_adn--400x300E' stato pubblicato stamattina, sul sito del Ministero della Giustizia, lo schema di decreto legislativo che prevede la soppressione di 674 uffici del Giudice di Pace in Italia, e tra questi c'è anche quello di Serra San Bruno. Già da tempo era stata paventata la soppressione e si erano mobilitati diversi addetti ai lavori, avvocati soprattutto, per valutare le possibili azioni mirate a contrastare un provvedimento che di certo produrrebbe ulteriori disagi ai cittadini delle Serre, che già assistono impotenti alla spoliazioni di servizio essenziali venuti a mancare sul territorio. Per evitare la chiusura dell'ufficio in questione sarebbe necessario che i comuni interessati si accollassero le spese del mantenimento del servizio, o singolaremente o in consorzio, ma ciò dovrebbe avvenire entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto definitivo dopo il passaggio in Parlamento. Sulla paventata soppressione sono intervenuti subito i consiglieri regionali Nazzareno Salerno (Pdl) e Bruno Censore (Pd) e il consigliere comunale serrese Rosanna Federico (Pd).

 

“La notizia della soppressione di 674 Uffici del Giudice di Pace in Italia e, di riflesso, della chiusura di un considerevole numero di Uffici anche in Calabria - ha dichiarato Salerno - desta preoccupazione, soprattutto perché i provvedimenti che possono prendere gli enti locali per evitare la concretizzazione di questo scenario non sono affatto facili da realizzare, specie in un momento in cui le disponibilità finanziarie sono estremamente limitate. Che si andasse verso questa direzione era noto e l’ulteriore conferma arrivata testimonia che le esigenze di razionalizzazione sono talmente stringenti da non poter essere sempre sopportate. Nel caso di Serra San Bruno - prosegue l'esponente del Pdl - e degli altri paesi che si vengono a trovare in situazioni simili il pericolo si riversa su più fronti visto che i centri montani, già costretti a convivere con disagi determinati dalla posizione geografica e dalle carenze infrastrutturali, vengono ancora una volta sottoposti alla cancellazione dei servizi e a privazioni non secondarie. È evidente che le conseguenze sono rilevanti pure sul piano economico e sociale. Già nei mesi passati, le categorie interessate, unitamente ad alcuni Comuni, si erano mosse per individuare le vie percorribili. In quell’occasione – vale a dire durante l’incontro tenutosi presso la sede degli Uffici del Giudice di Pace all’interno della Comunità montana delle Serre -  avevo colto il rischio a cui si andava incontro e, riferendo le informazioni che avevo acquisito grazie all’impegno di alcuni parlamentari del Pdl, avevo auspicato una convinta sinergia per prendere le necessarie contromisure. Considerata l’emergenza e la ristrettezza dei tempi, è indispensabile - è la conclusione del presidente della Commissione Sanità - uno straordinario senso di responsabilità di tutti i Comuni interessati anche se accollarsi tutti i costi non rappresenta un’impresa agevole. Ma adesso è  essenziale garantire la persistenza e la continuità degli Uffici affrontando a viso aperto un problema terribilmente reale”.

Censore dal canto suo ha fatto sapere che lunedì in Consiglio regionale presenterà un ordine del giorno per impegnare la Giunta regionale ad intervenire presso il Governo e il Ministero della Giustizia per scongiurare la cancellazione di numerosi uffici del Giudice di Pace. L'esponente del Pd si dice contrario all’ipotesi di cancellazione annunciata dal ridimensionamento di tutti gli uffici giudiziari delle sezioni distaccate e previsto dal precedente Governo Berlusconi e portato avanti dall’attuale, che cagionerebbe, solo nella provincia di Vibo Valentia, la soppressione di sei uffici: Nicotera, Arena, Mileto, Pizzo, Serra San Bruno e Soriano Calabro. "La revisione della geografia giudiziaria che, anche in Calabria, comporterà la chiusura di numerosissimi uffici di Giudice di pace si va ad aggiungere ad una lunga serie di altre spoliazioni di uffici e servizi pubblici che continuano a depauperare i territori periferici e più deboli. Per quanto mi riguarda - ha commentato Censore - sono fermamente contrario alla chiusura anche del più piccolo presidio di Giustizia presente sul territorio, per questo auspico che, lunedì prossimo, l’intero Consiglio regionale faccia suo l’ordine del giorno per manifestare contrarietà nei confronti di un provvedimento che risponde soltanto a logiche ragionieristiche e che comporterebbe l’ulteriore allontanamento della giustizia nei confronti del cittadino calabrese».  

"In un momento in cui ci si lamenta circa i tempi della giustizia italiana - ha dichiarato il consigliere comunale Rosanna Federico - è stato pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia lo schema di decreto legislativo recante la revisione delle circoscrizioni giudiziarie che dispone, all’art. 1, la riduzione degli uffici dei Giudici di Pace. Come già accaduto in tema di sanità, ancora una volta, il nostro territorio si vede costretto a difendersi contro un piano di tagli lineari ed indiscriminati portato avanti dai recenti governi nazionali e regionali che, senza tener conto delle peculiarità di ogni zona, hanno operato e continuano ad operare in maniera ragionieristica e sommaria. Appare infatti, tra gli uffici da sopprimere, anche quello del Giudice di Pace di Serra San Bruno che per anni ha svolto con efficienza e serietà le proprie funzioni rispondendo in tempi rapidi alla domanda di giustizia da parte dei cittadini. Il previsto accorpamento all’Ufficio di Vibo Valentia, oltre a creare disagi ai dipendenti e agli operatori del settore, determinerebbe soprattutto per i cittadini un notevole aggravio dei tempi e dei costi per ricevere giustizia. Questa volta però non ci si può nascondere dietro ostacoli insormontabili derivanti da scelte e decisioni altrui da subire passivamente. Il decreto, infatti, dà la possibilità ai comuni, singoli o consorziati, entro un termine di 60 giorni dalla pubblicazione, di richiedere il mantenimento degli Uffici competenti per i rispettivi territori mettendo chiaramente nelle mani delle singole amministrazioni il potere di salvaguardare i servizi essenziali per le proprie comunità. Si ritiene doveroso, quindi, anche a seguito degli impegni assunti in occasione  di un incontro tenutosi sul tema, che il Sindaco di Serra San Bruno, coinvolgendo eventualmente i Sindaci dei Comuni interessati, intraprenda, immediatamente e senza indugio, tutte quelle iniziative che si rendono necessarie, per poter mantenere l’Ufficio di giustizia territoriale e difendere, con esso, i diritti fondamentali della sua comunità che non può accettare di vedersi gradualmente spogliare di servizi ed uffici  indispensabili per la sua stessa sopravvivenza". 

      

 

Pubblicato in POLITICA
Martedì, 10 Gennaio 2012 17:28

In ricordo di Padre Modesto

mini padre_Modesto_dueIl 15 gennaio 2004,  dopo alcuni mesi di sofferenze fisiche, nella Casa Santa Rita di Mesoraca, si è spento Padre Modesto Calabretta  francescano dell’Ordine dei Minori. Se ne è andato pian piano ed in silenzio così come aveva vissuto per poco meno di un  secolo sempre al servizio della Chiesa e soprattutto degli umili e degli ammalati e dovunque  in ogni contrada della Calabria.

Padre Modesto, al secolo Bruno, Calabretta, era nato il 26 novembre 1919 a Serra San Bruno (VV), nel “deserto” della contemplazione scelto nel 1091 da Brunone di Colonia per fondare la sua prima Certosa in Italia. Nel 1932 era entrato nel Collegio Serafico di Pietrafitta (CS) e nel 1935 aveva intrapreso il noviziato nel convento del SS. Ecce Homo di Mesoraca. Compiuti gli studi liceali tra Cosenza e Reggio C., aveva frequentato il Corso di Teologia a Tropea e qui nel 1946, per l’imposizione delle mani di Mons. Felice Cribellati era stato ordinato sacerdote. Negli anni successivi aveva operato come vicerettore, rettore e quindi padre spirituale dei seminaristi nei vari Collegi della Calabria. Per 25 anni era stato Superiore a Bisognano (CS) dove ha restaurato l’antico convento e propagato il culto del Beato Umile della stessa città. La tappa precedente del suo cammino di apostolato era stata Cutro dove vi era rimasto per otto anni  amato e stimato e anche qui aveva rinverdito la fede verso il Crocifisso e fatto restaurare il chiostro e buona parte dell’intero complesso conventuale. Ma soprattutto era stato sempre in mezzo alla gente e agli ammalati che visitava con continuità portando la parola di Cristo e conforto alle famiglie. Sempre a Cutro, dopo gli anni di Bisignano, era stato di nuovo destinato e P. Modesto nonostante la sua avanzata età aveva accettato con francescana obbedienza. Qui, nella città del Crocifisso, il 6 ottobre 1996 aveva celebrato il suo giubileo sacerdotale. In quella circostanza, l’allora Arcivescovo di Crotone Mons. Giuseppe Agostino nel ricordare le tappe significative della missione pastorale di P. Calabretta, si era soffermato sull’importanza del nome “Modesto” assunto al momento di diventare frate francescano. E parafrasando il titolo provocatorio di un film francese “Dio ha bisogno degli uomini”, Mons. Agostino aveva voluto sottolineare come la Chiesa e la Comunità civile abbiano bisogno di uomini buoni e soprattutto di preti buoni e “P. Modesto è sicuramente un prete buono”. Durante questi anni, assieme all’opera di predicatore, aveva operato come visitatore apostolico delle Clarisse di Rossano nominato dalla Santa Sede. Negli ultimi anni era stato nominato vice postulatore della causa di canonizzazione del Beato Umile di Bisignano. Questa è stata la sua ultima grande opera tanto inseguita e portata avanti assieme all’altro vice postulatore Don Luigi Falcone, sacerdote bisignanese e bibliotecario generale della Pontificia Università Lateranense e al Postulatore Generale di tutte le Cause per i Santi francescani P. Luca De Rosa di Napoli.

Questo sogno per P. Modesto si era realizzato il 19 maggio 2002 quando Papa Giovanni Paolo II ha celebrato la santificazione del Beato Umile, un altro Santo per la Calabria, il Santo dei nostri tempi. Quel giorno in Piazza San Pietro P. Modesto era là assieme alla “sua” amata gente di Bisignano.

Un altro desiderio aveva il frate serrese: dare il via al processo di canonizzazione di Fra’ Antonio da Saracena, ma il buon Dio ha deciso diversamente per lui. Poco prima di lasciare questa terra, per desiderio dell’Emerito Arcivescovo Giuseppe Agostino, domenica 13 luglio 2003, nel corso di un solenne pontificale presieduto dal Cardinale Josè Saraiva Martins, Prefetto della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, il nostro “Modesto” era stato insignito della “Croce Pro Ecclesia et Pontifice” per “i meriti acquisiti nel suo ministero svolto per lunghi anni nella Chiesa di Calabria ed in particolare di Bisignano, ma soprattutto, perché, grazie alle sue fatiche, ai suoi pianti, ma anche alla sua tenacia, oggi possiamo onorarci di avere un nuovo Santo calabrese.”

La Comunità francescana di Sant’Umile e tutta la città di Bisignano, con in testa il Sindaco, non hanno dimenticato e riconoscenti lo hanno voluto loro “figlio” per sempre, così come,del resto, P. Modesto aveva sempre desiderato. La sua umilissima esistenza, ora, trova eterno riposo assieme ai “suoi” bisignanesi  che, nel giorno delle esequie lo hanno letteralmente pianto. E il P. Maurizio Dodaro, suo superiore, nel dare l’ultimo saluto, ha ringraziato Iddio “per averci dato questo modesto frate che ha tanto dato e al quale da oggi possiamo rivolgerci come il nuovo santo di Bisignano dopo sant’Umile”. Ed ancora, nell’ambito delle celebrazioni religiose per il Santo di Bisignano, l’Amministrazione comunale gli ha intestato la riqualificata piazza antistante il Santuario. Oggi sulla tomba risalta un messaggio anonimo. “A Padre modesto – Padre amabile, Padre ammirabile, te ne sei andato in silenzio lasciando un vuoto incolmabile. Con te se ne va un grande sacerdote, un uomo piccolo nel corpo, ma grande nell’animo e sinceramente rimpianto. Modesto di nome e di fatto, esempio perfetto di umiltà e civiltà, volto pulito, senza macchia, specchio di santità. Grazie per essere esistito, grazie per le benedizioni sulle nostre case, le nostre famiglie, le nostre vite; grazie per il bene immenso e generoso; hai vissuto per il prossimo e sempre nostro nel Signore. Addio, umile fraticello, sei bello nella luce di Dio poiché luce sei stato sulla terra ed in cielo per l’eternità. Parlerò di te e non mi dimenticherò finché avrò vita.”

Son passati pochi anni dalla scomparsa dell’umile “modesto” frate di Serra San Bruno e son tanti e da ogni regione a chiederne la beatificazione. Gli uomini di buona volontà propongono il loro progetto ma solo il buon Dio sa provvedere!

Pubblicato in CULTURA
Venerdì, 06 Gennaio 2012 01:49

Mastro Bruno Pelaggi, il poeta della protesta

mini busto_mastro_BrunoCon la morte di Bruno Alfonso Pelaggi (“Mastru Brunu”) avvenuta il 6 gennaio 1912, esattamente un secolo fa, scompariva una delle voci più potenti e originali della poesia dialettale in Calabria. Pelaggi era nato a Serra San Bruno il 15 settembre 1837 da Gabriele e Giuseppina Drago e aveva trascorso una vita povera di avvenimenti esteriori, se si eccettuano l’arruolamento a 17 anni nella fanteria borbonica, l’incarico di consigliere comunale nella stessa Serra e, probabilmente, la nomina a giurato in un processo a Catanzaro. Come molti altri serresi del suo tempo, apparteneva al ceto degli artigiani (“Mastranza di la Serra”, li definiva un noto strambotto popolare) avendo lavorato tutta la vita come scalpellino, certamente con una buona conoscenza del mestiere, se è vero che Mastro Bruno fu uno degli artigiani locali che contribuirono, alla fine del XIX secolo, alla ricostruzione della Certosa gravemente danneggiata dal terremoto settecentesco. Il mestiere svolto da Pelaggi, insieme con il fatto che abitualmente dettava i propri componimenti poetici (“li stuori”) alla figlia Maria Stella, contribuirà in modo determinante a coniare il luogo comune di “poeta-analfabeta” – altre volte declinato sotto la forma più descrittiva di “poeta-scalpellino” – che si era impadronito delle tecniche di versificazione grazie a una sorta di “sapienza” istintiva, di intuizione poetica naturale, indipendente da qualsivoglia formazione culturale. Sicuramente, Mastro Bruno non pubblicò mai nulla e le sue poesie si trasmisero in forma orale e mediante manoscritti, non autografi e forse non di unica mano, circostanza che autorizza a parlare di una tradizione per diversi aspetti malsicura. Anche per questo motivo esiste nella storia della letteratura calabrese un problema-Pelaggi – com’è autorevolmente attestato dagli studiosi che hanno avuto modo di occuparsi del poeta (da Umberto Bosco a Pasquale Tuscano, da Pasquino Crupi a Sharo Gambino e Antonio Piromalli) – di cui l’occasione celebrativa deve spingere a indicare sinteticamente le caratteristiche essenziali.

La questione appare evidente quando si analizza lo stato delle fonti, sulle quali le edizioni disponibili delle poesie pelaggiane non aiutano a chiarificare i numerosi dubbi in maniera definitiva. Intanto, se si esclude una raccolta curata da Sharo Gambino nel 1973 che non può considerarsi una vera e propria edizione delle “storie” poetiche di Pelaggi, il lettore può rivolgersi a quattro diverse pubblicazioni: “Le poesie di Mastro Bruno” (a cura di Angelo Pelaia, Catanzaro, Tip. FATA, 1965); “Tutte le poesie” (a cura di Biagio Pelaia, Serra San Bruno, Tipo-Legatoria Mele, 1976); “Poesie” (a cura di Giampiero Nisticò, Chiaravalle Centrale, Edizioni Effe Emme, 1978) e “Li stuori (Le poesie)” (a cura di Biagio Pelaia, Serra San Bruno, T. L. M., 1982). Ma, atteso che tali diverse edizioni si presentano tutte come sillogi complete delle poesie di Mastro Bruno, quel che colpisce subito, già a una prima comparazione, è il differente numero di componimenti raccolti: ventuno nel volume del 1965, venticinque in quello del 1976, rispettivamente ventisei e ventinove nelle ultime due. Vale a dire che dal 1965 al 1982 hanno fatto il loro ingresso nel corpus poetico pelaggiano ben otto nuove composizioni tra poesie e frammenti. Non solo, ma delle medesime poesie si possono, talvolta, notare, tra un’edizione e la successiva, aggiunte di versi e strofe anche in misura significativa. Per esempio, il componimento “La pigghiata di Zzimbariu” nell’edizione curata da Biagio Pelaia nel 1976 consta di 36 versi, che diventano 69 nell’edizione del 1982 dovuta allo stesso curatore. Analogo il “destino” della poesia “Amici di Tibberiu”, che appare per la prima volta nell’edizione Nisticò del 1978, ma con le sole prime sette strofe, alle quali si aggiungono ulteriori diciotto strofe, per un totale di venticinque, nell’edizione Pelaia del 1982. Per non dire delle varianti che è possibile osservare e per le quali può capitare che non si fornisca a loro giustificazione un riscontro documentale, ma, come accade in un verso della poesia “A ‘Mbertu Primu”, ci si limiti a notare che “il concetto si rende meglio” con una nuova espressione che modifica la lectio sino a quel momento trasmessa. Il fatto è che, come si evince dalle suddette edizioni delle poesie pelaggiane, le fonti di questi componimenti si riducono all’incerta tradizione orale e a imprecisati manoscritti intorno ai quali non sussiste l’accordo degli stessi curatori. Basti pensare che Angelo Pelaia, a cui è dovuta la prima edizione dei versi di Mastro Bruno, si riferisce come fonte soltanto a un quaderno scritto nel 1915 (tre anni dopo la morte di Pelaggi) da un’amica della figlia del poeta, mentre Biagio Pelaia, nella premessa alla sua edizione del 1976, dichiara di non condividere tale posizione perché, a suo dire, non sarebbe possibile escludere la grafia della figlia medesima, considerato che di questa non sono pervenuti autografi. Con la conseguenza, in difetto di una tradizione manoscritta sicura sull’intero corpus delle poesie, che i curatori talvolta si affidano esclusivamente, per la ricostruzione del “dettato” del poeta, a ipotesi di tipo logico o a considerazioni di natura linguistica o a interpretazioni motivate dal contesto storico-sociale. D’altra parte, non mancano nemmeno perplessità e interrogativi in merito all’attribuzione di tali poesie, se Giampiero Nisticò ne ha riconosciuto come inequivocabilmente attribuibili a Pelaggi ventidue, ne ha espunto in modo categorico altre tre (tra cui la notissima “Alla Vergini Maria”), mentre ha ammesso tra i componimenti autentici la celebre “Alla luna”, rivelando, però, per il solo fatto di averne discusso, l’esistenza di un “retroterra” problematico riguardo a tale attribuzione. Quel che si può dire con certezza è che la pubblicazione della prima edizione delle poesie ha certamente incoraggiato ulteriori “scoperte”, promuovendo, in qualche modo, anche il “recupero” di una parte della tradizione orale per molto tempo rimasta nell’oblio. Proprio per questo, sembra oramai necessario auspicare un’edizione critica, al momento lontana da venire, che provi a sciogliere i diversi nodi attualmente rimasti irrisolti.Parallelamente, si renderebbe indispensabile una seria ripresa degli studi intorno al poeta, anche per chiarire le controverse questioni critiche e interpretative che scaturiscono dai suoi versi. Prima tra tutte quella relativa al rapporto con il ministro di origini serresi Bruno Chimirri (1842 – 1917), apparso a molti, in particolare nel componimento “Don Bruninu Chimirri e li sirrisi”, esageratamente adulatorio: “Don Bruninu Chimirri è galantuomu, / ca di nudhu giammai si vindicàu. / Vui lu sapiti tutti quant’è buonu / e quant’offesi si dimienticau; / e lu sapiti ch’allu sulu nuomu / l’Italia tutta la frunti ‘nchinau / […] Jio poeta non su’, ca scarpidhìnu, / ma dicu sempi «Viva Don Bruninu!»”. Circostanza che è sembrata ancor più degna di nota se si considera che si tratta del medesimo poeta il quale, con accenti lirici indubbiamente più alti rispetto all’occasionale poesia dedicata al Chimirri, ha dato voce alla condizione storica dei calabresi nei decenni successivi all’unificazione nazionale e nella fase di passaggio tra Otto e Novecento, presentandosi, agli occhi della critica, come autore di una poesia di contestazione che non soffre di timori reverenziali nel prendersela con ministri e deputati o nell’alzare il proprio grido di dolore a Dio (“Non bidi, o Patritiernu, / lu mundu mu sdarrupi, / ch’è abitatu di lupi / e piscicani? / Priestu, mina li mani! / Vidi cuomu mu fai, / càcciandi di ‘sti guai, / manneja aguannu”). Da qui un giudizio critico che vuole Mastro Bruno poeta autentico soprattutto quando è poeta della protesta, riconducendo nella cornice del bozzettismo, della satira arguta e dei componimenti d’occasione quasi tutto il resto della sua produzione poetica. Un giudizio, probabilmente, da riconsiderare con attenzione, non certo per rovesciarlo nel suo contrario, ma per restituire Pelaggi a una dimensione meno unilaterale e più piena, quella della poesia senza ulteriori specificazioni e aggettivi. 

 

(articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria)

Pubblicato in CULTURA
Giovedì, 05 Gennaio 2012 15:01

Niente tasse per chi denuncia il "pizzo"

mini 8708-dattolaLuciopresidentedellaCameradiCommerciodiReggioCalabriaREGGIO CALABRIA - Dalla Camera di Commercio di Reggio Calabria arriva una brillante iniziativa mirata a combattere la 'ndragheta ed in particolare il racket. «Le imprese che non si piegheranno al racket saranno esentate dal pagamento del diritto annuale» rende noto il presidente della Camera di Commercio di Reggio, Lucio Dattola, in una nota - «In pratica imprenditori, commercianti e artigiani vittime di reati di estorsione, corruzione e usura che hanno denunciato i loro aguzzini e hanno collaborato con l’autorità giudiziaria, fornendo elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e/o cattura degli estorsori e usurai, usufruiranno per cinque anni di un contributo annuale come rimborso di quanto dovuto e versato come tassa camerale. E i primi imprenditori a ottenere l’agevolazione saranno Tiberio Bentivoglio, comproprietario assieme alla moglie della “Sanitaria Sant’Elia” di Reggio Calabria, Salvatore d’Amico, titolare dell'"Informatica d’Amico" di Reggio Calabria, e Filippo Cogliandro, chef e proprietario del ristorante "L’Accademia" di Lazzaro (Rc). Sono tre imprenditori reggini simbolo della lotta contro le ’ndrine che impongono il pizzo. Tutti e tre sono stati segnalati da “Libera” e sono promotori di “Reggio libera Reggio. La libertà non ha pizzo”, un’associazione che si oppone al racket e alla ‘ndrangheta». «La Camera di Commercio  – continua Dattola – è dalla parte dei reggini che scelgono la via della legalità. Per questo ha voluto rispondere concretamente all’appello dell’associazione “Libera” di sostenere gli imprenditori che hanno avuto il coraggio di rompere il silenzio, denunciare e costituirsi parte civile nei processi esponendo se stessi e i familiari a rischi e pericoli per riscattare la nostra terra. Il percorso di denuncia e di coerenza è difficile, ma è l’unica strada per smuovere le coscienze in una città dove la maggior parte degli imprenditori afferma di non essere mai stato coinvolto in episodi di racket o di usura». «Secondo l’indagine del 2011 (realizzata da Camera di Commercio di Reggio Calabria, Sos impresa, Istituto Guglielmo Tagliacarne e Istituto Piepoli) sulla presenza e sulla percezione dei fenomeni illegali nella provincia reggina, i comportamenti criminosi ritenuti più gravi sono: le estorsioni e l’usura (62,5%). La maggior parte degli imprenditori intervistati afferma di non essere mai stato coinvolto in episodi di racket (92,5%) o di usura (98,2%). Invece secondo Sos impresa il 70% delle imprese a Reggio Calabria sono coinvolte nel pizzo (audizione Sos impresa alla commissione parlamentare antimafia, 4 maggio 2010) e, secondo il rapporto Eurispes 2011, la provincia reggina è una delle province italiane con il più alto indice di rischio usura (97,1%)». «Continuiamo con fatti concreti a sostenere chi combatte la 'ndrangheta e saremo economicamente vicini alle imprese che si opporranno al racket».

 

 

Pubblicato in ATTUALITÀ

Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova

Reg. n. 4/2012 Tribunale VV

redazione@ilvizzarro.it

Seguici sui social

Associazione "Il Vizzarro”

via chiesa addolorata, n° 8

89822 - Serra San Bruno

© 2017 Il Vizzarro. All Rights Reserved.Design & Development Bruno Greco (Harry)