Domenica, 22 Agosto 2021 10:16

"Fimmini di ruga", un diario di mondi sommersi tra le memorie serresi

Scritto da Bruno Vellone
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La ruga è una casa a cielo aperto. Il vento si rincorre d’inverno, la canicola vi dimora d’estate. Qui, dove il passaggio di un forestiero rappresenta un evento, le rughe formano interminabili gomitoli che si dipanano per tutto il ventre del paese, disegnando inesorabilmente quello straordinario palcoscenico che è il borgo di Serra San Bruno. La cittadina bruniana ha carattere femminile: indomabile, intelligente, operosa e seducente. A ricordarcelo, quasi quotidianamente, sono le enormi mammelle che spuntano nel cuore dei boschi, covoni fumanti di legna accatastata da cui si espande l’odore del carbone che presidia le viscere della montagna.

Rughe e donne incontrano il loro minimo comune denominatore, anzi per meglio dire la loro comune identità, in “Fimmini di ruga”, il libro della psichiatra serrese Giuseppina Vellone che, nonostante la fama nazionale, ama chiamarsi semplicemente “Pinuccia”. Storie di ordinaria umanità scritte a quattro mani con Lorenzo Carpanè, docente dell’Università di Bolzano, edito da Calabria Letteraria Editrice. Il libro è stato presentato nel corso di una manifestazione organizzata dall’associazione culturale “Il Brigante” e appassionatamente moderata dal giornalista Sergio Pelaia alla quale, oltre l’autrice, ha preso parte lo storico e scrittore Tonino Ceravolo che si è soffermato sul concetto di "ruga".

«È un termine polisemico - ha spiegato Ceravolo - in quanto grinza o piega della pelle è generalmente considerata un segno dell’età che avanza, mentre nelle persone più giovani è indice di un atteggiamento riflessivo e concentrato nella meditazione. Nel dialetto calabrese il termine “ruga” indica una strada, di solito abbastanza stretta, che corre tra due fila di case». Corpo e spazio, dunque, la cui somiglianza è «produttrice di identità». In questo senso il libro di Giuseppina Vellone rappresenta innanzitutto «un memoir strettamente personale e insieme un diario di mondi sommersi - ha sottolineato Ceravolo - e l’autrice è, nello stesso tempo, osservatrice “interna” ed “esterna”. Nel primo senso appartiene a quel luogo e ne condivide in misura variabile le coordinate culturali, nel secondo orienta su esso il suo sguardo facendolo interagire con ciò che a quel mondo è estraneo. Una storia di partenza e ritorni, di prossimità e distanze, di spaesamenti e “riappaesamenti” alla fine della quale si capisce che per trovare pienamente un “paese” bisogna “perdersi” e “spaesarsi”».

Dal canto suo, Giuseppina Vellone, ha tracciato i caratteri salienti della sua opera, un reliquiario di ricordi di figure femminili che hanno caratterizzato la sua infanzia e determinato la sua formazione, ognuna di loro le ha donato qualcosa: chi il sapore del pane ripieno con peperonata, chi l’ironia, chi la forza ed il calore. «Sono migrante per amore - ha detto l’autrice ricordando il proprio matrimonio con Vittorio, chirurgo veronese che assapora quotidianamente tradizioni e cultura calabrese - ma come posso torno sempre qui, dove ho vissuto e vive la mia memoria».

Durante la manifestazione sono stati letti alcuni brani ad opera dell'attrice Rita Annecchino.

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