Venerdì, 12 Febbraio 2021 15:51

Luigi Bonaventura, il bambino-soldato che ora racconta gli invisibili: «Sparavo già a 10 anni»

Scritto da Redazione
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Nascere all’interno del contesto mafioso, diventare un bambino-soldato, esercitare il potere con la violenza per poi dissociarsi da quella vita che ti ha forgiato, quasi inconsciamente, in un contesto che percepivi come consuetudine e normalità. A raccontare la propria storia a “Detto tra noi”, su Rs98, è stato il collaboratore di giustizia di Crotone Luigi Bonaventura, ex boss della ‘ndrangheta pentito dal 2007.
Ai microfoni di Daniela Maiolo e Sergio Pelaia, con la regia di Bruno Iozzo, Bonaventura è partito dai primi anni ‘70. Appena venuto al mondo il suo ruolo è già segnato: la faida con la famiglia rivale dei Covelli, l’uccisione dello zio quando lui ha poco più di un anno e lo scoppio di una nuova guerra tra famiglie. Indottrinamento, ideologia e faide. Un’infanzia in cui i rapporti parentali si coltivano con lo sguardo attraverso le sbarre e le debolezze si relegano all’inconscio più profondo, perché ostentare forza è il modo per guadagnarsi l’egemonia, l’unica cosa che conta. «L’educazione a quel tipo di vita – ha raccontato Bonaventura – non finiva nemmeno nei momenti di pax perché dovevi essere sempre pronto alla vendetta». Un bambino-soldato, senza possibilità di scelta: «A 10 anni ricordo che ho cominciato a sparare. Poi diventi ragazzo e non comprendi bene cosa ti sta succedendo, vaghi per i quartieri, trovi chi comanda e lo riempi di botte per poi poter dire “qui ora comando io”. Vivi la tua normalità e quella cosa non pensi significhi mafia».

Rispetto poi al percorso che nel 2007 lo ha condotto a dire “no” alla sua vecchia vita, Bonaventura ha risposto: «Sembra facile a parole uscirne ma non si sa mai quando può arrivare quella maturazione, è un processo complesso. Nella sfortuna forse io sono stato un po’ fortunato. Ho avuto un nonno materno che era contrario alle mafie e lui mi ha sempre offerto qualcosa di buono. Cose che più avanti mi hanno portato a sposarmi per vero amore. Così ho cominciato ad accarezzare quei valori che vivevo con mio nonno materno, mentre quello paterno era quasi sempre in prigione».

Il racconto del suo percorso esistenziale ha però incrociato anche l’evoluzione della criminalità organizzata, propensa ad abbandonare le vecchie dinamiche sanguinose per sedere con i cosiddetti “colletti bianchi” e gestire il potere da un’altra prospettiva. «Il salto di qualità – ha commentato il collaboratore di giustizia – arriva con quella che si può definire la “mafia borghese”».

GLI INVISIBILI Bonaventura è stato uno dei primi a deporre al maxiprocesso Rinascita-Scott. E proprio nell’aula bunker di Lamezia delinea la figura di quelli che definisce gli “Invisibili”: «Per fare il salto di qualità, e passare alla “‘ndrangheta borghese”, devi avere cervello ma anche la cattiveria per abbandonare i compagni di un tempo. Gli “invisibili” sono i parenti di secondo e terzo grado che a volte non hanno nemmeno lo stesso cognome della famiglia mafiosa. Sono imprenditori e professionisti e diventano dei collettori ai tavoli della massomafia, dei poteri forti, interloquendo allo stesso tempo con gli “uomini d’onore”. In quella che io chiamo la “mazzijata” l’asso di denari viene coperto da quello di coppe. L’asso di denari rappresenta il tesoro, gli investimenti, dunque nella famiglia c’è chi macina galera e chi invece finisce nell’orbita dei poteri forti».

Le parole di Bonaventura hanno anche portato a sondare le collusioni nel cuore dello Stato. Singole mele marce o sistema consolidato? «Mi piacerebbe dire che si tratti solo di mele marce ma è una situazione degenerata, un sistema ormai collaudato». La presenza dello Stato è molto importante ma non si può negare l’esistenza di una parte «malata».
Riportando la propria esperienza, da uomo che ha vissuto letteralmente due mondi differenti, Bonaventura ha invitato tutti, soprattutto i ragazzi, a non sottostare a una subcultura deviata anche se presente nel contesto familiare e a recidere quella catena di sangue che finisce per portare solo lutti, galera e lacrime.

Restando in tema di criminalità organizzata, ad intervenire ai microfoni di Radio Serra è stato anche Lucio Musolino, giornalista de Il Fatto Quotidiano che durante il programma ha parlato della portata storica della sentenza scaturita dall’inchiesta ‘Ndrangheta stragista, che ha individuato mandanti politici dietro le stragi degli anni 90, e il coinvolgimento dei colletti bianchi nell’inchiesta Gotha in cui, ora, tra i collaboratori di giustizia figura anche un ex assessore ed ex poliziotto, Seby Vecchio.

Clicca qui per ascoltare la registrazione integrale di “Detto tra noi”.

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