Venerdì, 16 Agosto 2013 13:06

Gli spaghetti dei certosini

Scritto da Sergio Gambino
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mini Certosa_2A  Serra San Bruno Norman Douglas ci arrivò nell’anno 1911, risalendo l’Appennino calabrese da Gioiosa Jonica per una strada dell'epoca - come a dire una strada dell’inferno - pilotato dal solito “esperto” mulattiere. Che fu un viaggio massacrante lo si intende dal tono che lo scrittore usa, corrivo e gravido di disappunto: definisce, infatti, la cittadina “uno dei luoghi più bigotti d’Italia”, appella “rinomata” la cappella di Santa Maria, sfoggia una diretta conoscenza “in merito alle pretese inclinazioni al furto di terra manifestate da quell’ordine religioso”, che è quello dei certosini, e per più approfondite descrizioni del monastero rimanda a vari autori nostrani ed esteri. Lui, il celebrato autore di Old Calabria, a Serra San Bruno, a parte certe curiosità sulla vita borghese dei monaci, c’era venuto per sapere cosa succedesse alla “divina confraternita”, che (tra gli altri) ha fatto anche il voto di non mangiare carne, quando il postale non portava dalla “lontana”  Soverato il quotidiano pesce.

“Eh bien - fu la risposta - nous mangeons des macaroni”.C’è da giurare, perciò, che quel viaggio Norman Douglas l’abbia fatto solo per riportare la battuta, anche se, in effetti, arrivi o no il pesce, spesso i certosini si nutrono di “macaroni” o, più verosimilmente, di spaghetti la cui ricetta è finalmente nota. Sharo Gambino, che su Serra sapeva tutto e ne ha scritto a non finire, assicurava di averla avuta in segreto da un novizio-cuciniere, ma di averne poi fatto dono per amicizia al suo amico trattore Nicola Franco, figlio del famoso gelataio pasticciere Fiorindo, tutt’e due “opranti” a Serra. Per quattro persone, si tritano due acciughe, una diecina di capperi dissalati e due spicchi d’aglio, che, assieme a un peperoncino a ciliegia, piccante, si fanno imbiondire in buon olio d’oliva. Al punto giusto, si versano i pomodori pelati e tagliati a filetti, lasciandoli cuocere a punto giusto. Pochi minuti prima di scolare gli spaghetti (400 grammi), che vanno cotti al dente in acqua leggermente salata, sbriciolare nella salsa 150 grammi di buon tonno, lasciare insaporire e amalgamare, spruzzare infine una manciatina d’origano dell’anno e condire la pasta, che poi, suddivisa, va servita in tegamini di coccio riscaldati. Sharo Gambino, per ovvie ragioni (egli era molto amico ei certosini e - giustamente! - questa amicizia non la voleva “guastare”) ha battezzato, o meglio camuffato, questo piatto, (che è tipicamente invernale, perciò va seguito da un vino molto asciutto, possibilmente di quello che fanno i monaci nella certosa), con l’apocrifa denominazione di “spaghetti alla serrese”. Mi duole il cuore per lui, ma noi li chiameremo col loro sacrosanto nome, “spaghetti alla certosa”, “macaroni à la Chartreuse”. E che diamine! Diamo a Cesare quello che è suo, ma diamo anche ai certosini di Serra quel che è loro, perché il Signore (si sa) ama le cose giuste.

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