Era il sette gennaio del 1925, quando, in Vazzano, Fortunata Barba moglie di Antonio Gambino, mio nonno, dava alla luce il suo terzo figlio maschio. I primi due figli erano morti, come del resto avveniva nella maggior parte delle famiglie di estrazione proletaria, di un male allora considerato letale. La gastroenterite. Eligio, il primo ed Eligio il secondo. Antonio decise allora di cambiare nome, un po’ così, forse per scaramanzia. Decise però di caratterizzare il nome del suo “nuovo” primogenito con una bella H. Nasceva dunque ottantotto anni fa Sharo Gambino. Sharo, nonostante lo stratagemma del nuovo nome, si beccò anche lui la sua bella dissenterite. Antonio imprecava, prendendosela col destino crudele, disconoscendo le multinazionali del farmaco. Miglior destino toccò a Sharo, che visse. Con quell’acca dapprima persa: nel periodo fascista non era possibile dare ai bambini nomi non prettamente italiani, e Antonio dovette riportare la sua bella H a casa.
Raccontò poi di questa consonante perduta a Saro giovinotto, il quale se ne riappropriò per poi diventare il Sharo giornalista. Acca che poi spesso fa cambiare il suo nome in Sciaro, (tanti lo chiamano così) e ricordo che lui si consolava accostando questa cosa a quanto accade a Emilio Salgari “…non so perché mi chiamino Sàlgari mentre io mi chiamo Salgàri….”. Acca che io fortunatamente potei trasferire a Sharo jr in eredità dal più famoso nonno senza limiti “anagrafici”. “Tante cose invidio a Sharo Gambino (disse una volta Otello Profazio) ma la cosa che gli invidio di più è l’acca….solo che se l’avessi io diventerei un Hotel”. Oggi avrebbe compiuto ottantotto anni, anche se spesso, Sharo si invecchiava di nove mesi, considerando la sua nascita al momento del concepimento perché “non vedo per quale motivo non dovrei considerare i nove mesi più felici della mia vita, quelli trascorsi nel grembo di mia Madre”. L’attaccamento a sua Madre, forse questo lo portava a considerare quei nove mesi i mesi più belli. La sua foto la tenne per tutta la vita accanto alla sua macchina da scrivere, e ancora è là in questo momento. Lo studio che il nostro collettivo di scrittura, Ulucci Alì, ha cominciato sulla rivalutazione e sul recupero e mantenimento della tradizione culturale di Serra San Bruno, cominciando dal Pelaggi, che moriva il 6 gennaio 1912 (combinazione della sorte) e del quale abbiamo chiuso il Centenario sabato scorso, con una serata dedicata ai nostri autori, continua con Gambino e non si fermerà a loro due, perché l’arte serrese è in continuo fermento e in continua evoluzione. Sento il bisogno di ringraziare, con questo mio breve scritto, quanti, con le loro azioni culturali, mantengono vivo il ricordo della cultura serrese, così che chi ci amministra se ne ricordi per tempo, magari dodici anni prima del centenario della nascita di Gambino, visto che per il più sfortunato Mastro Bruno ce ne si è ricordati, plagio in testa, con trecentosessantacinque giorni di ritardo. Oppure, chissà, fini conoscitori di Sharo, hanno applicato al contrario la “legge” dei nove mesi, e con uno scarto legale di altri novanta giorni, ci hanno azzeccato anche questa volta. Auguri Papà.
(Sharo Gambino, autoritratto, 1955)