Venerdì, 29 Marzo 2013 15:16

Sergio Di Giorgio: la zampogna come mamma

Scritto da Sergio Gambino
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mini una cosa a treRacconta Peppe Ranieri detto “Lu Pulici”, allievo di Bruno Tassone maestro costruttore di zampogne da Serra San Bruno, e a sua volta maestro, o meglio uno dei maestri di zampogna di Sergio Di Giorgio, che il giorno in cui impalmò la sua Clara, con un occhio guardava il prete che celebrava il sacro uffizio e con un altro guardava fuori verso i suoi amici “zampognari” che intanto proprio fuori dalla Chiesa di Briatico accordavano gli strumenti preparandosi alla festa. “La zampogna è la Mamma”, risponde alla mia “giornalistica” domanda “Cos’è la zampogna?”. Di Giorgio comincia il suo percorso artistico e scientifico nella musica, nella ricerca e nello studio della tradizione musicale popolare fondando assieme a Francesco Forgione, Goffredo Plastino, Ettore Castagna il gruppo musicale “Re Niliu”, gruppo al quale  si aggiunsero da subito Danilo Gatto e Salvatore Megna (“The Voice” della canzone calabrese) e altri nel corso dei vent’anni circa di storia. Mimmo Vazzana, Diego Pizzimenti, Mimmo Mellace, Claudio Messineo.

La vicinanza a questo movimento culturale dell’antropologo Gigi De Franco, diede vita ad una serie di eventi  che a distanza di anni, anche se profondamente mutate da come erano state concepite, (Paleariza o Cataforio) continuano ad essere tra le manifestazioni più importanti dedicate alla musica tradizionale. All’attivo del Re Niliu tre indimenticabili lavori: Caravi, Non Suli e nò Luna e Pucambù. Importantissimo è il ruolo che negli anni ottanta e novanta, anni di distruzione e di perdita di identità, anni in cui si è permesso alla malavita di appropriarsi di quel tessuto culturale contadino e operaio, anni in cui ci si vergognava del proprio accento calabrese considerando giusto quello settentrionale, anni in cui gli ultimi suonatori e costruttori della tradizione musicale stavano invecchiando e morendo lasciando all’oblio la loro eredità di saperi tramandati per decine di secoli in modo orale da padre in figlio, da mastro a discepolo, proprio  i quegli anni, a questi ragazzi, andava il merito di aver “salvato il salvabile”.  

La Cooperativa “Satriani” e MedMedia furono in quegli anni produzione di cultura e di documentazione che lasciano un patrimonio di conoscenza inestimabile. Prendiamo ad esempio il caso di Fragomeni, il suonatore e costruttore di lira di Mirto, o Megale, o Don Leo Romeo (Barbitta). Se ora con tutte le critiche che si possano fare ai modi e ai metodi, la lira o la zampogna compare di nuovo tra le mani dei ragazzi calabresi, molto del merito va dato ai “Beatles” di Calabria.  Sergio ora, sta mettendo a frutto la sua mente creativa, e il grande bagaglio di esperienze raccolte in anni di attività e di ricerca fatta di amicizie e di rapporti umani con le persone che studia e osserva, adoperandosi nella liuteria tradiionale. Il lavoro costante di un osservatore che diventa a sua volta parte di quel mondo fatto di amicizie, di saperi, di capre e di formaggi. Pasquale Raffa da Cernatali, il “grande vecchio” della zampogna calabrese e genero di Monteleone, grande suonatore e abilissimo costruttore di zampogna. La ricerca nella costruzione prima della lira, poi della zampogna, che rende in questo momento Sergio il miglior costruttore dello strumento, lo porta a Cernatali, dove punta il suo sguardo attento sul lavoro del costruttore dello Zomaro. Sergio stagiona le sue essenze e riesce ad unire con un equilibrio perfetto la tradizione e la tecnologia, il gusto di suoi maestri riprodotto e migliorato e conservato in modo certosino. La tradizione orale. Punto di riferimento per decine di giovani e meno giovani, che lo cercano chi per imparare lo strumento, chi per chiedere qualche consiglio, o per parlargli. E Sergio da buon maestro dedica un po’ del suo prezioso tempo a tutti. Sornione come quel gatto di casa che non capisci mai se ronfi o faccia le fusa o se stia dormendo o se solo da buon catanzarese verace ti stia prendendo in giro col suo sorriso “musicale”. Sergio in questo momento conserva, mantenendo fede al metodo di trasmissione dei saperi fatto in modo orale, nella sua mente un patrimonio di saperi inestimabile. Questo vuole essere per me un pubblico appello nei suoi confronti per una pubblicazione sul nobile strumento che solo lui è in grado di fare.  La sua licitazione a maestro è popolare e corale, ma purtroppo, come accade sempre in Calabria, come succede per artisti del calibro di Peppe Correale, Nik Spatari, intellettuali del calibro di Nicola Zitara, menti illuminate che le Istituzioni invece di valorizzare, di sfruttare quasi, per trarne vantaggi e di cultura e di economia, lascia in disparte, mettendo ala ribalta o investendo su cose assurde e lontane.  Ma forse è giusto cosi, è giusto che Sergio continui a fare il suo lavoro lontano da quelle luci del successo che ha sempre odiato ed evitato. E’ giusto che continui a mantenere quella rete di valori fatte di cartoline nell’era delle mail, è giusto che continui a carpire quei segreti del legno e a trasformarli in  quei suoni che hanno fatto la storia della musica popolare calabrese e della rivisitazione di questo inestimabile patrimonio culturale. E’ giusto che continui a trasformare il bosso, l’erica, il sambuco, in strumenti che possono competere con le migliori liuterie in tutto il mondo. La tradizione che si nasconde dal progresso per difendersi e allo stesso tempo si mostra in tutta la sua bellezza unendo la scienza al metodo empirico tradizionale. Il laboratorio Di Giorgio è composto da due piccole stanzine stracolme di essenze in stagionatura, canne, utensili, attrezzi piccolissimi, coltelli e coltellini, spaghi, torni, martelli, cassette di patate e calibri di altissima precisione, un avamposto in un rione di Reggio che nella mia ultima visita a Reggio ho visto sepolto dalla spazzatura, che Sergio emigrato in Reggio da Catanzaro guarda dalle finestre del suo laboratorio con tristezza e rassegnazione. Il suo è un centro pulsante di suono e di parole, una realtà che dovrebbe essere considerata patrimonio della Regione Calabria e che, in attesa di una classe politica attenta a queste realtà, rimane patrimonio comune di tutti coloro che hanno sete e voglia di conoscere il meraviglioso ed affascinante mondo della mamma degli strumenti della Calabria.  Mastru Sergio, lu ceramedharu.

(articolo pubblicato su Il Corriere della Calabria n. 89)

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