Il Vizzarro.it - quotidiano online
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Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
«La nostra Calabria rammenta con estremo dolore l’anno 1783 epoca del gran Tremuoto, o a dir meglio, dei Tremuoti, che l’hanno sobbissata»*. Queste sono le parole di don Domenico Pisani, che nel voler tramandare ai posteri «i fatti e le vicende più rimarchevoli» di Serra San Bruno, cominciò a scriverne una cronistoria, “La Platea”. Come ogni zolla di terra della Calabria, anche Serra fu colpita dal tremendo terremoto (il 5 e il 7 febbraio) del 1783. Circa 30 persone persero la vita, e vittima del tremendo fenomeno fu anche la Certosa, che dell’originaria struttura si può notare, oltre le mura, la cinquecentesca facciata in granito.
Dopo che l’intera regione tremò, gli abitanti di Serra San Bruno furono costretti ad abbandonare il centro urbano (attuale Terravecchia) e ad erigere abitazioni di fortuna nella zona oltre il ponte, sull’altra sponda del fiume Ancinale. «E perché il luogo più aggevole – scrive don Domenico Pisani – […] era quello al dilà del Ponte, fino allora incolto, e seminato di Spine (da qui il nome Spinetto ndr) perciò buona parte delle famiglie ivi ricorsero, e si alloggiarono nelle proprie baracche».
Tra gli altri, a stabilirsi nell’appena nato villaggio, anche il vicario don Vincenzo Giancotti «Cancelliere della Curia del Convento, perciò a pochi giorni si formò di Tavole la Chiesa nello stesso luogo dove è attualmente e la quale avea aspetto di Chiesa Parrocchiale» e che assunse il nome di Maria SS. Assunta, dato che la vecchia e omonima chiesa, nel centro abitato distrutto, era ridotta in rovina.
Per circa un anno, la nuova Chiesa assunse la caratteristica di Parrocchia, e le funzioni vennero officiate per tutta la popolazione che vi accorreva. I sacerdoti di Serra, «annojati da una parte, e dall’altra affezzionati verso l’antica Chiesa», la riadattarono alla meglio per riprendere l’esercizio delle funzioni. Ad ogni modo, Il vicario Giancotti – che assisteva nella curia della Certosa – preferiva, per la vicinanza col Convento, la nuova chiesa sorta in località Spinetto, tanto da chiederne, fino ad ottenerlo – col favore del priore della Certosa – il regio assenso per il mantenimento della stessa ivi costruita. «Qual Partito siasi suscitato fra le due popolazioni, e qual contrarietà abbia dimostrato la Popolazione di Serra» sono ancora le parole di don Pisani, che rispetto agli eventi succedutisi lascia spazio all’immaginazione. Ma qui, non entriamo nel profondo delle diatribe tra i fedeli sostenitori della nuova parrocchia e coloro i quali volevano far riprendere l’attività religiosa nell’antica chiesa, oramai conosciuta con il titolo di «Chiesa del Purgatorio». Ad ogni modo, è doveroso raccontare un fatto molto curioso e degno di nota, che qui si riporta per intero: «In conseguenza di tale contrarietà si racconta: Che venuto a piantare la novella Chiesa un Regio Ingegniere di cognome Sig: Morèna, tanto non soffrendo vedere un affezionato all’antica, chiamato Francesco Pisano […] prese costui l’Ingegniere Morèna a colpi di mano prima, e poi lo rovesciò a Terra, producendo un corrispond.? tumulto fra quelli d’amb’i Partiti, che eran presenti, dove si facevano i preparativi per la nascente Chiesa».
A questa, corrisposero altre azioni perpetrate per fermare la costruzione della nuova struttura, cattive ma non del tutto ingiustificate, in virtù del fatto che nel regio assenso s’includeva il trasporto di tutti i sacri arredi dall’antica alla nuova chiesa. Tra questi, anche la statua della Madonna dell’Assunta, storia che racconteremo a breve, in occasione dei prossimi festeggiamenti.
Dai singolari eventi storici sopra descritti, nasce l’atavico “conflitto” tra gli abitanti di Terravecchia e quelli di Spinetto, differenza che, con fare scherzoso, ancora oggi viene rimarcata dalle due popolazioni serresi, sempre pronte a sottolineare, ciascuna da parte sua, le negatività degli abitanti viventi al di là e al di qua dell’imparziale fiume Ancinale.
*Le citazioni tra caporali sono qui riportate testualmente
SERRA SAN BRUNO – Fanno scorribande notturne, in pieno giorno e non sono ladri d’appartamento. Potrebbe essere l’inizio di un indovinello se non fosse che la risposa è fin troppo facile e conosciuta dagli abitanti del centro storico del popoloso centro montano: sono i topi! Secondo quanto siamo riusciti ad apprendere pare che ieri sono passati addirittura sulle scarpe di alcuni lavoratori. «Situazione intollerabile» fanno sapere alcuni abitanti di via Silvio Pellico dove proprio ieri un grosso ratto è stato fatto fuori dalla rabbia di qualche proprietario di case. «Abbiamo più volte denunciato la questione in periodi estivi ed ora anche d’inverno, ma non è stata mai risolta». Ora però il vaso è colmo e i cittadini serresi promettono battaglia. Diverse famiglie del centro storico sia di Terravecchia che di Spinetto lamentano l’inattività dell’amministrazione comunale che dovrebbe interessarsi del problema chiedendo l’intervento dell’Asp per la derattizzazione. Tanti i residenti del paese che rischiano di trovarsi con i ratti in casa o in negozio. La storia dei topi, delle fogne e della convivenza con i serresi è una questione annosa. Impossibile eliminare il problema senza un intervento radicale sulla fognatura e su alcuni fossi, da dove probabilmente, i grossi roditori escono in quanto trovano un terreno fertile per la loro proliferazione. Bene. Immaginate un gruppo di turisti che passeggia e incappa in un topo morto, con l’altissimo rischio di schiacciarlo. Non è un bello spettacolo, vero? Ecco, a Serra San Bruno non serve l’immaginazione, perché questo ‘’spettacolo’’, ultimamente, è andato in scena più volte. Insomma, i cittadini lamentano che in pieno centro - ormai da tempo - è possibile vedere ratti in circolazione, oltretutto a pochi metri da tanti esercizi commerciali molto frequentati. Chissà che come la fiaba dei fratelli Grimm, a soccorrere la popolazione non giunga da qualche paese sconosciuto un uomo che, al posto di trappole e disinfestatori, non porti con se un semplice piffero, con buona pace del borgomastro.
(articolo pubblicato su "Il Quotidiano della Calabria")
C’è una lunga linea sottile che trancia da est ad ovest il globo terrestre. Appianata come una livella. Dritta e costante sull’Atlantico. Un filo continuo che collega due mondi, due realtà solo apparentemente distanti. Gemelle per la geografia. Sorelle nella spiritualità. Dall’Europa agli Stati Uniti. Serra San Bruno e San Bruno: un destino inciso nel nome.
"A chi pensava che il Comitato civico Pro-Serre fosse andato in soffitta rispondiamo con un rinnovato e più concreto impegno. Gli attivisti del comitato stanno mettendo in cantiere nuove e più importanti iniziative, che culmineranno l’11 febbraio con uno sciopero generale, a cui tutta la cittadinanza sarà chiamata a partecipare per dare un segnale forte a quella politica che sembra essersi dimenticata di questo territorio. Serra San Bruno conta ben 2 consiglieri regionali, di cui uno di maggioranza che ricopre la carica di presidente della Commissione sanità; la provincia di Vibo Valentia a sua volta conta ben 4 consiglieri regionali ed 1 assessore, ma nonostante ciò sembra un territorio senza alcuna rappresentanza politica.
I tagli previsti dal piano di rientro sembrano voler colpire e affondare le Serre. La media dei posti letto nelle province di Reggio, Cosenza, Crotone e Catanzaro è di circa 2,8pl per 1000 abitanti mentre a Vibo questa media sfiora l’ 1,4pl per 1000 abitanti. Ciò è anomalo soprattutto se si mettono a confronto le province di Crotone e Vibo Valentia, che sono molto simili sia come estensione del territorio che come densità di popolazione. Se poi analizziamo le conseguenze del decreto 106 del Commissario ad acta Scopelliti ci accorgiamo di avere a che fare con dei conti puramente ragionieristici, che non tengono in considerazione le pessime condizioni della viabilità, soprattutto nei mesi invernali, e l’ inesistenza di servizi pubblici di trasporto. Non si è nemmeno tenuto in considerazione l’aumento della migrazione sanitaria verso le altre province della regione, a cui gli utenti saranno costretti a ricorrere per prestazioni che non sono più effettuate nel P.O. di Serra San Bruno. La migrazione verso altre strutture fa salire vertiginosamente la spesa sanitaria. Alla luce di ciò non si può che essere fortemente critici con tali scelte che porterebbero allo smantellamento di un presidio ospedaliero, quale è il “San Bruno” che ha sempre fornito ai cittadini del comprensorio prestazioni sanitarie qualificate. Il Comitato, che sembra ormai in questo comprensorio l’unica forza che tiene accesa la voce della protesta, sente il dovere di lottare per non far morire l’ospedale, perché esso rappresenta l’ultimo baluardo di civiltà ed un’eventuale chiusura segnerebbe il crollo di una cittadina che ormai versa in una situazione a dir poco critica. Al problema dell’ospedale, infatti, si affiancano problemi altrettanto gravi.
La questione rifiuti è giunta ormai ad un punto di non ritorno dopo che l’isola ecologica, situata nella strada statale verso Mongiana, è stata trasformata in una vera e propria discarica. Qui i rifiuti non vengono più differenziati, inoltre per la loro abbondanza, non possono essere neppure stipati negli appositi contenitori ma sono lasciati in maniera indistinta per terra, e così facendo il percolato si infiltra nel terreno avvelenandolo, e nei giorni di pioggia si versa direttamente nel vicino fiume. Tutto questo avviene in un silenzio assordante da parte delle istituzioni e in barba a qualsiasi norma di tutela del territorio e di salute pubblica.
Per quanto riguarda l’acqua sporca che con puntualità sgorga dai rubinetti dei cittadini serresi , sembra non siano iniziate, o per lo meno non abbiano avuto successo, le ricerche che il sindaco avrebbe dovuto “affidare ai boscaioli” della zona così come promesso nei comizi elettorali. E’ da ricordare che, in campagna elettorale, questo comitato aveva proposto un documento ai quattro candidati a sindaco, che prevedeva: la dichiarazione della non rilevanza economica del servizio idrico che avrebbe aperto le porte ad un distacco da So.ri.cal.; la richiesta di rimborso per gli aumenti illegittimi effettuati dalla stessa So.ri.cal.; infine la pubblicazione delle analisi dell’acqua che fino ad oggi sono praticamente sconosciute al popolo serrese. A non firmare quel documento allora fu proprio l’attuale sindaco di Serra San Bruno, che proprio in questi giorni ha rinunciato a tutte le azioni legali già intraprese dal comune contro Sorical in cambio di uno sconto di 30mila euro sui debiti. Il comitato invita i cittadini ad una riflessione attenta su queste problematiche, per non farsi ancora una volta sottomettere dalla rassegnazione, o dal pensare che l’unica speranza possano essere le istituzioni, e perché finalmente tutti scendano in campo a rivendicare il diritto ad un futuro più giusto nel quale la nostra cittadina abbia la dignità che per la sua storia e la sua gente merita".
Davide Schiavello (Comitato Pro-Serre)
SERRA SAN BRUNO – Lento, inesorabile, a volte impercettibile. Un nemico oscuro, subdolo, senza volto, assale alle spalle le comunità ed i paesi delle aree interne della nostra regione. Il territorio montano, con la sua storia, la sua cultura, a volte estremo fortino della memoria e dell’identità rischia lentamente di sparire. A rivelarlo l’impietosa sequenza delle partenze, i cui cicli, da un secolo e mezzo, non sembrano volersi arrestare. Nel corso degli anni è cambiata la destinazione, il mezzo con cui si va via, la tipologia umana, la condizione economica e sociale di chi parte ma anche di chi resta. Ciò che però non muta è lo spirito di chi è costretto a mettersi in marcia, non per volontà, per necessità. Lo sradicamento, tanto mirabilmente descritto da Simon Weill ne “La prima radice”, appare in tutta la sua drammaticità. In anni in cui l’immigrazione viene descritta come il dramma degli altri, in quella fascia di territorio visivamente rappresentata dall’altipiano delle Serre, il fenomeno, tra picchi più o meno alti, è sempre andato avanti, senza sosta. Non è infrequente imbattersi in centri storici ormai spopolati, caratterizzati da porte sprangate, da finestre tristemente serrate. Nei luoghi deputati all’aggregazione spesso si registra l’assenza delle generazioni di mezzo. Le braccia da lavoro o i cervelli partono per tornare magari fugacemente nel solo periodo estivo. Un impoverimento costante, ben descritto da una comparazione dei diversi censimenti. Prendendo come riferimento i dati riferiti a nove comuni della fascia montana, San Nicola da Crissa, Vallelonga, Simbario, Spadola, Brognaturo, Serra San Bruno, Mongiana, Fabrizia e Nardodipace, si osserva immediatamente un drastico calo della popolazione residente. Ove si consideri, infatti, che nel 1861, anno del primo censimento generale della popolazione italiana, gli abitanti ammontavano alla ragguardevole cifra di 27.320, si comprende immediatamente come la scure dell’emigrazione si sia abbattuta impietosamente. Un terremoto di dimensioni vertiginose. I 16.604 abitanti che ancora risiedono nei centri considerati, evidenziano, infatti, un calo di ben 10.716 unità nell’ultimo secolo e mezzo. Una cittadina di dimensioni medio piccole sparita dalla carta geografica. Per avere un’idea del dato è come se un visitatore recandosi a Serra San Bruno, Fabrizia, Brognaturo e Vallellonga trovasse quattro cittadine fantasma, prive di popolazione. La situazione appare ancor più scoraggiante ove si consideri che il progressivo calo dei residenti prosegue ormai dal 1951. Nei nove comuni, oggi, la popolazione è addirittura inferiore di 8283 unità a quella del 1921 quando, a dispetto delle partenze oltreoceano e della Grande guerra, vi dimoravano ancora 24.887 persone. Al termine di un altro conflitto mondiale, nonostante le altissime perdite in termini di vite umane, al censimento del 1951 la popolazione risulta 28.759. Il boom economico con la famosa freccia del Sud, il treno che dall’Italia meridionale scaricava quotidianamente centinaia di braccia da lavoro a Torino e nelle altre città del triangolo industriale, intaccherà dapprima solo relativamente il numero dei residenti, attestatisi nel 1961 a 27.698. Situazione ben diversa vent’anni dopo, quando si registrano quasi diecimila presenze in meno e 17.969 abitanti. Segue una breve quanto effimera ripresa. Nel 1991 la popolazione sale, infatti, a 18.025. Gli anni novanta ed il primo scorcio del nuovo secolo, nonostante i primi flussi migratori in entrata, fanno registrare l’ennesima flessione. Nel 2001 vengono censiti 17.149 abitanti, oggi scesi a poco più di 16.000. In altri termini dal 1991 ad oggi e come se le popolazioni di Spadola, Brognaturo e Simbario fossero svanite nel nulla.
(articolo pubblicato nelle pagine vibonesi de Il Quotidiano della Calabria)
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