nozzagayIl potere degli uffici e della carta timbrata ha oramai preso il sopravvento sulla vita, tanto da minare gli stessi diritti umani. Si continua a parlare di incostituzionalità delle leggi senza rendersi conto che sono gli stessi principi della Costituzione ad essere compromessi, in una Repubblica che potremo oggi definire “antidemocratica” e fondata sulla “burocrazia”. In questo ultimo mese, il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, conscio delle priorità del paese, ha diramato una circolare alle prefetture per annullare le registrazioni dei matrimoni omosessuali. «In caso di inerzia - ha asserito il ministro - si procederà all'annullamento d’ufficio». Oltre alle proteste delle associazioni di parte, molti sindaci hanno alzato la voce per contestare l'assurdo provvedimento. In particolare, il sindaco di Bologna, Virginio Merola, ha definito la circolare di Alfano «stupida e tragicomica». Rosalie Papallo, originaria di Serra San Bruno, vive felicemente in Francia con la sua compagna e in merito alla questione ha voluto rilasciarci un'intervista.

Come ha vissuto e come vive il suo rapporto di coppia all'interno della società, nonostante le cose siano cambiate la gente ancora non riesce ad accettare certe scelte?
È stato difficile all'inizio, specialmente dopo aver vissuto una vita da eterosessuale per tanti anni. Gli amici hanno capito benissimo e forse se l'aspettavano. Invece per mia mamma è stato complicato accettare la situazione, anche se adesso tutto è diventato comprensibile e normale. Per me è stato anche complicato perché non è facile ammettere che forse ti sei sbagliata durante tutti questi anni. Poi subentra anche un po' di vergogna per il fatto che sai di essere giudicata. Adesso, ma sono passati quindici anni ormai, ho meno difficoltà a parlare della mia vita di coppia. La gente che mi sta vicina lo accetta benissimo. Per gli altri, non puoi mai sapere se rappresenta un problema.

Lei è sposata?
Sono sposata da quasi un anno.

Quali sono le differenze e i vantaggi derivanti dal matrimonio per una coppia omosessuale?
Il matrimonio ti dà gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. Sia in fatto di beni, ma anche e soprattutto per poter avere dei bambini. Adesso, per esempio, ho la possibilità di adottare la figlia che abbiamo avuto con la mia compagna (tramite fecondazione eterologa ndr).

Avete avuto difficoltà ad ufficializzare il vostro rapporto?
Non abbiamo avuto nessuna difficoltà. Il sindaco del nostro paese è stato disponibile e molto professionale.

Dunque, il governo francese riconosce le coppie omosessuali?
Il governo francese riconosce le coppie omosessuali. Da tanti anni sono stati istituiti i Pacs, che già garantivano dei diritti, e dall’anno scorso si può anche contrarre il matrimonio.

Ad oggi, uno dei paletti insormontabili è quello dell'adozione. Voi oggi avete una figlia vostra. Come ci siete riusciti?
Noi abbiamo una figlia di tre anni. Il governo francese non ha autorizzato la riproduzione assistita. Dunque siamo state in Belgio dove si può fare, anche se per le coppie straniere è a pagamento. Adesso abbiamo fatto una richiesta al tribunale per l’adozione. Essendo sposate abbiamo anche questo diritto.

Io sono dell'avviso che per un bambino vivere in una famiglia come la vostra o in quella cosiddetta tradizionale sia la stessa cosa, partendo dal presupposto che la sessualità non è una cosa che si sceglie o si può imporre. Molte volte si confonde la sessualità con l'educazione. Qual è il messaggio che vuole lanciare agli italiani?
Nonostante la differenza faccia paura, soprattutto in culture come la nostra, non è una ragione per impedire a della brava gente di vivere e di usufruire degli stessi diritti di tutti i facenti parte di una società. Le coppie omosessuali e i loro bambini esistono e in qualità di persone a loro non si può negare nulla. Bisogna lottare e andare avanti. Nessuno può pretendere di educare un bambino meglio di un altro. L'importante è dargli una famiglia che lo possa amare, che gli possa spiegare le cose e che gli garantisca una vita dignitosa e senza pregiudizi. Ci sono bambini educati in maniera impeccabile che da grandi diventano dei criminali. Chi può dire che la colpa è dei genitori?

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mini IMG_3036Serra San Bruno, che in passato fu uno dei paesi più importanti del vibonese per il grande fiorire delle maestranze locali, è ancora un luogo di persone estremamente sensibili agli antichi mestieri e dedite all’arte e all’artigianato. Ieri – sempre all’interno della manifestazione “La festa del fungo” promossa dalla Pro Loco – il centro storico di Serra è tornato a rivivere come un tempo. Molte abitazioni hanno ospitato una miriade di artigiani, e sono state aperte – alla stregua delle vecchie botteghe – per ospitare le maestranze (provenienti anche da altri comuni) che hanno preso parte al “Sentiero dell'artigiano”. Oggi, nonostante l’acquisto di prodotti a misura di centro commerciale abbia cambiato notevolmente l’approccio della gente con il mercato, tante sono ancora le persone che, rintanate nella propria casa, si dilettano ad esercitare i mestieri tramandati e appresi dai genitori. Tanti anche i giovani che hanno frequentato corsi professionali per entrare nel mondo del lavoro. Proponiamo qui una galleria fotografica degli stand presenti al “Sentiero dell’artigiano”.


(clicca sulle immagini per ingrandirle)

 

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mini announo12Questa sera, come ogni giovedì sera, su La7 dalle ore 21.00 il pallino della diretta televisiva passa in mano alla squadra di Michele Santoro. Dopo la stagione, appena conclusasi, targata Servizio Pubblico, ora tocca ai ragazzi di AnnoUno. Il programma - andato in onda a partire da giovedì 8 maggio, proprio in sostituzione di Servizio Pubblico - diretto da Giulia Innocenzi, apre una interessante “finestra” sulle opinioni, i pareri e le idee della generazione dei ragazzi. Il format, che nel titolo ricorda il fortunato AnnoZero di Santoro, prevede la presenza di due politici in studio a rappresentare due visioni opposte sull’argomento della puntata, con ventiquattro ragazzi ospiti fissi per commentare i temi più caldi dell’attualità e confrontarsi con gli ospiti.

Durante la puntata in onda questa sera, largo spazio sarà lasciato agli elaborati in concorso nella terza edizione del premio per videoreporter emergenti, GenerazioneReporter.

Nella prima fase del concorso, i candidati - di età compresa tra i 18 e i 30 anni - hanno inviato alla redazione di ServizioPubblico un reportage realizzato esclusivamente da loro, della durata massima di 7 minuti. Poi, una commissione formata da Carlo Freccero, Giulia Innocenzi, Peter Gomez, Sandro Ruotolo, Alessandro Renna, Stefano Maria Bianchi, Mauro Ricci, Maddalena Oliva e Giuseppe Vitale ha selezionato i tre finalisti tra le decine di video pervenuti.

Tra i concorrenti in gara Angelo De Luca, 30enne di Vibo Marina, che ha superato la selezione preliminare ed ora è stato scelto tra i tre finalisti. De Luca, come gli altri due video reporter finalisti, ha avuto la possibilità di realizzare dunque un ulteriore reportage girato e montato, però, questa volta, con mezzi tecnici e personale messi a disposizione proprio dalla redazione di ServizioPubblico.

Il giovane giornalista ha deciso di puntare alla prima posizione con un reportage titolato “L’abbicci”, della durata di sette minuti incentrato sul caso Alaco e sulla lotta No Alaco che trova il suo cuore pulsante nell’Associazione Culturale “Il Brigante” di Serra San Bruno e negli attivisti del “Comitato Civico pro Serre”. Il reportage, girato proprio fra la gente ed i luoghi delle Serre, in pochi minuti, è capace di far emergere una spaccato - fedele ai tempi giornalistici, asciutto e diretto - in grado di evidenziare tutto il dissenso e la rabbia nutrito da un territorio che quotidianamente viene vessato e avvelenato da multinazionali e dirigenti politici capaci di lucrare sulla salute di centinaia e centinaia di calabresi. Le speranze di quella stessa gente sono ora affidate al lavoro svolto dalla magistratura nell’ambito del Processo “Acqua Sporca” che dovrebbe aprirsi nelle prossime settimane e che vede tra gli imputati 36 soggetti, alcuni dei quali inquisiti per avvelenamento colposo delle acque. 

I tre reportage prodotti, tra i quali, dunque, "L’abbicci” di Angelo De Luca verranno giudicati attraverso una votazione on-line. Ad esprimersi sarà una giuria popolare - composta dalla "Rete dei Donatori di Servizio Pubblico" e dagli "Abbonati de Il Fatto Quotidiano" - che decreterà il vincitore.

 

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santoro1-640Servizio Pubblico, il programma in onda su La7, diretto da Michele Santoro, ha lanciato la terza edizione del premio per videoreporter emergenti, Generazione Reporter.

L'obiettivo, come per le precedenti edizioni, è quello di promuovere e valorizzare talenti emergenti nell'ambito del giornalismo di inchiesta. In palio quest'anno un contratto di lavoro della durata di 6 mesi con la redazione di Servizio Pubblico e la pubblicazione del video sui siti serviziopubblico.it e ilfattoquotidiano.it., nonché la messa in onda durante una puntata della trasmissione Anno Uno, ideata da Santoro e condotta da Giulia Innocenti proprio su La7.

Nella prima fase, i candidati - di età compresa tra i 18 e i 30 anni - hanno inviato alla redazione di Servizio Pubblico un reportage realizzato esclusivamente da loro, della durata massima di 7 minuti, che raccontasse un aspetto della realtà che fosse di pubblico interesse. Poi, una commissione formata da Carlo Freccero, Giulia Innocenzi, Peter Gomez, Sandro Ruotolo, Alessandro Renna, Stefano Maria Bianchi, Mauro Ricci, Maddalena Oliva e Giuseppe Vitale ha selezionato i tre finalisti tra le decine di video pervenuti.

Tra i concorrenti in gara Angelo De Luca, 30enne di Vibo Marina, che ha superato la selezione preliminare ed ora è stato scelto tra i tre finalisti. Approdato quindi alla fase finale, come gli altri due concorrenti in gara, ha avuto la possibilità di realizzare un ulteriore reportage girato e montato, però, questa volta, con mezzi tecnici e personale messi a disposizione proprio dalla redazione di Servizio Pubblico

De Luca ha deciso quindi di puntare alla prima posizione con un reportage titolato “L’abbicci”, della durata di sette minuti incentrato sul caso Alaco e sulla lotta No Alaco che trova il suo cuore pulsante nell’Associazione Culturale “Il Brigante” di Serra San Bruno e negli attivisti del “Comitato Civico pro Serre”. Il reportage, girato proprio fra la gente ed i luoghi delle Serre, in pochi minuti, è capace di far emergere una spaccato - fedele ai tempi giornalistici, asciutto e diretto - in grado di evidenziare tutto il dissenso e la rabbia nutrito da un territorio che quotidianamente viene vessato e avvelenato da multinazionali e dirigenti politici capaci di lucrare sulla salute di centinaia e centinaia di calabresi. Le speranze di quella stessa gente sono ora affidate al lavoro svolto dalla magistratura nell’ambito del Processo “Acqua Sporca” che dovrebbe aprirsi nelle prossime settimane e che vede tra gli imputati 36 soggetti, alcuni dei quali inquisiti per avvelenamento colposo delle acque.
I tre reportage prodotti, tra i quali, dunque, "L’abbicci” di Angelo De Luca verranno giudicati attraverso una votazione on-line. Ad esprimersi sarà una giuria popolare - composta dalla "Rete dei Donatori di Servizio Pubblico" e dagli "Abbonati de Il Fatto Quotidiano" - che decreterà il vincitore.

Si può prendere visione de “L’abbicci” al seguente link
http://www.serviziopubblico.it/2014/05/labbici-di-angelo-de-luca-2/

 

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mini libro_rubbettinoIn una notte buia e senza luna, dopo un viaggio estenuante e con lo stomaco in subbuglio per il tragitto in corriera lungo la vecchia statale 110 (che, rispetto agli anni in cui è ambientato il romanzo, è persino peggiorata n.d.r.), Bruno Randò fa ritorno a Fabrizia, il paese dal quale era partito tre anni prima in cerca di fortuna. Sono tempi duri. Il fascismo governa il paese e chi come Bruno non ha voglia di chinare la testa non se la passa certo bene. E così che il giovane calabrese è costretto a tornare a bussare alla porta di quel tugurio che aveva lasciato con la bisaccia carica di belle speranze. Insieme a lui Ornella, la giovane moglie del Nord che, impaurita e preoccupata, gli si stringe accanto. L'incontro tra la famiglia d'origine di Bruno e la graziosa signora settentrionale non poteva essere dei peggiori. La madre piange come per un figlio morto, il padre dimostra al giovane tutto il suo astio per quella scelta che gli appare sciagurata. Chi era quella donna? Che voleva da loro? Doveva essere certamente «una ballerina... di quelle che fanno la magia. Robe da romanzi, da far atterrire tutto il paese, da far rivoltare persino i santimorti del Camposanto, uno schifo».
 
Inizia così C'è ancora una stella, romanzo dello scrittore di origini fabriziesi Serafino Maiolo (1911-1964), noto ai più per essere stato il padre di Tiziana Maiolo, dapprima giornalista del Manifesto, poi militante radicale e infine ex deputata di Forza Italia e assessore della giunta Moratti al Comune di Milano; opera che Rubbettino manda in libreria a gennaio con un'originale introduzione dello scrittore Gioacchino Criaco.
 
È un incipit che sorprende, un esempio da manuale di xenofobia intesa nel senso etimologico del termine, di paura dello straniero di chi è diverso da noi. Sono due mondi che si confrontano in modo spietato e crudele. Ornella è bella, colta, raffinata. Di fronte a tanto squallore non può non pensare al suo paese «con i vertici dei sei campanili, i portici allineati sullo stradone principale, il convento dei cappuccini e la bella chiesa di San Lorenzo, disteso nell'ubertosa pianura, in una delle anse del Po, doviziosa di messi di bietole, di quei ciliegi che quando fioriscono, in aprile, a maggio, offrono un colpo d'occhio fiabesco e sembra tutta una serra profumata, uno sterminato paradiso». Come rassegnarsi invece a quella nera miseria che, come spesso accade a chi ha lasciato il proprio paese, nel ricordo di Bruno era invece più vicina a una modesta agiatezza?
 
Ecco che i due pregiudizi si incontrano o, meglio, si scontrano. Ad Ornella tornano in mente le parole delle sue amiche che le dicevano che «i "napoletani" sono sudici, che dalle loro parti non si conosce il sapone e che quando Garibaldi ce l'aveva portato, i "napoletani" se l'erano mangiato». I reciproci stereotipi formano una barriera tra la "forestiera" e i genitori di Bruno, barriera che tuttavia si infrange quando Ornella, stanca, spaventata e depressa comincia a piangere. Ecco allora che la madre di Bruno intuisce che in fondo quella donna non è un'astuta poco di buono, pronta a portare il figlio sulla via della perdizione, e appronta con quel poco che c'è in casa una cena. La giovane donna, dal canto suo, capisce che gli anziani genitori del marito non sono dei selvaggi ma due poveri contadini che hanno sul viso, sulle mani e sulle spalle gli anni di dura fatica nei campi.
 
C'è ancora una stella vide la luce nel 1959 presso l'editore Ceschina di Milano. È il secondo romanzo di Maiolo di ambientazione fabriziese. Il primo, Ciaramaca, è del 1949. Ambedue i romanzi possono essere ascritti a pieno titolo al filone neorealista, seppure C'è ancora una stella vi entri un po' tardivamente. Erano gli anni in cui si scopriva un'Italia marginale, diversa, fino ad allora sconosciuta. Il cinema, la letteratura e l'antropologia si interessavano sempre più alle "indie di quaggiù", come già nel Seicento i gesuiti definivano quella costellazione di piccoli mondi contadini sparsi soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.
 
Quegli anni di lavoro ci hanno regalato una mole altrimenti impensabile di ricostruzioni, filmati, documentari, romanzi e racconti spesso di straordinaria qualità letteraria (si pensi ai "grandi" calabresi, come Perri con i suoi Emigranti, Seminara con Le baracche o al Corrado Alvaro di Gente in Aspromonte per citarne solo qualcuno) e, tuttavia, non sono serviti, in molti casi, a conoscere meglio la realtà ma sono stati funzionali, come ha spiegato di recente Vito Teti in Maledetto Sud alla costruzione di un nuovo stereotipo speculare a quelli che avevano circolato fino ad allora.
 
Al mito del meridionale ozioso, sudicio, infingardo si sostituiva quello del Buon Selvaggio, del meridionale capace di sentimenti sinceri che si contrapponevano a quelli della borghesia del resto d'Italia fatta di opportunismo e falsità. A questa trappola non sfugge nemmeno Maiolo. Il suo è un romanzo in cui Nord e Sud diventano due modi di vivere, di intendere la realtà e i sentimenti umani.
 
Fabrizia, il paese di Bruno, è un paese cupo, un paese "che non sa cantare", nel quale persino la religione sembra risentire degli echi dei lugubri misteri orfici che si celebravano in queste terre in epoca remota. Gli stessi santi appaiono lontani e capricciosi. San Vito la cui effigie viene portata in processione per chiedere la grazia della fine della siccità, risponde alle preghiere dei fedeli con un'alluvione che devasta il paese. Su tutto incombe il senso del fato.
 
Eppure Ornella, con gli occhi del cuore, con quegli stessi sentimenti che le avevano permesso un punto di incontro con i genitori del marito, riesce ad andare oltre quella spessa corazza fatta di secoli di soprusi, disgrazie e ignoranza e, di fronte alla possibilità concreta di lasciare il paese per tornare alla sua vita di prima, sceglie di rimanere accanto al marito, a quella che considera ormai la sua gente. «È meravigliosa questa gente – dirà al suo spasimante del Nord insieme al quale aveva progettato la fuga – ha un cuore grande e se anche soffre, non abbandona la fiducia nella terra e nel cielo».
 
Sbaglierebbe tuttavia il lettore che vedesse nel romanzo di Maiolo unicamente una sorta di Libro Cuore calabrese. Il "paese che non sa cantare" di Maiolo è al tempo stesso luogo di disperazione e di speranza, di tragedia e di nuova vita, oggetto d'odio e di amore. È un paese dal quale gli abitanti sono spesso costretti a fuggire ma ovunque essi vadano c'è sempre una «piccola stella che ogni notte lampeggia sul Monte Pecoraro e li vigila da lontano per le vie del mondo».
 

Antonio Cavallaro (Rubbettino Editore)

 
(articolo pubblicato su ''Il Quotidiano della Calabria'')
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mini rosiRiceviamo e pubblichiamo:

Amministrare con competenza e trasparenza oggi non è un compito molto semplice, soprattutto quando viene affidato dal volere di un popolo che in maniera democratica e libera sceglie una coalizione che ritiene più consona per il bene di un paese o città'. Questo avviene precisamente nelle amministrative del 2011, quando la coalizione del Pdl vince con un netto distacco sulle altre liste civiche che competevano per il palazzo comunale di Serra San Bruno. Tantissima gente aveva riposto fiducia, credendo alle tante promesse "peccaminose" che i grandi politici territoriali fecero. Ne voglio ricordare qualcuna:
- ospedale del futuro, con apertura di nuovi reparti e potenziamento di quelli già esistenti;
- 100 posti di lavoro da offrire ai giovani del territorio per abbattere la disoccupazione giovanile;
- creazione di un turismo ecclesiastico che avrebbe portato un flusso crescente di turisti beneficiando in  termini economici/ finanziari per il territorio.
Mi chiedo come sia possibile che passati due anni tutte queste promesse non siano state attuate e non solo la disoccupazione giovanile nel nostro paese sia galoppante, assistendo ad una quasi desertificazione lavorativa in tutto gli ambiti. L' Ospedale San Bruno rischia addirittura il completo ridimensionamento dei reparti che fino a poco tempo fa erano attivi, dimenticandosi completamente della salute della gente e dei tanti posti di lavoro che vengono occupati nel presidio ospedaliero,creando difficoltà  lavorative alle professionalità mediche e tecnico-infermieristiche. Voglio ricordare che capacità politica vuol dire snellezza non solo in campagna elettorale, promettendo e presentando programmi politici stratosferici, ma vuol dire essere capaci di assumersi le proprie responsabilità e attuare ciò che sia benefico e migliorativo per il paese. Assistiamo ad un degrado che tocca quasi tutti i settori; si pensi che da molto tempo l'amministrazione comunale non è stata in grado di fornire le buste per la raccolta differenziata,costringendo la gente a comprare i sacchetti per poi farci pagare la tarsu comprensiva di buste non forniteci. E come per magia..ultima pubblicità' negativa, dopo l' arrivo della commissione d' accesso inviata  dal prefetto per vigilare sull' attività' amministrativa svoltasi in questi due anni,il sindaco per eludere ciò  che è stato frutto di un lavoro intenso e qualificato dei commissari, s' indigna e addirittura ci ridicolizza d'innanzi ai giornalisti con una conferenza stampa al dir poco scioccante, dove si dice pronto all'automutilazione. Mi chiedo come mai il sindaco e l'amministrazione comunale invece di allestire simpatici "teatrini viventi" in piazza municipio con tendoni da campeggio e varie scenografie per autodiferndersi, non protesti per tutelare la posizione dei lavoratori LSU ed LPU del suo comune, che rischiano il proprio posto di lavoro,invece di punire i suoi lavoratori  per il solo fatto di non essere appartenenti alla sua area politica? Beh che dire...Come dice Dante Alighieri :" ai posteri l ardua sentenza".

Valeria Giancotti
Coordinatore cittadino AD

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Sabato, 18 Maggio 2013 13:30

Arrivaru l'artisti

mini cariatiL’aria a festa: era quello che ci voleva. Sì, occorreva distrarsi dopo mesi passati a patire freddo, incomprensioni e solite discussioni chiusi al caldo di una stufa a pellet sempre accesa. E a ricordarci di quanto il letargo fosse ormai agli sgoccioli ci avevano pensato quei "bravi ragazzi" vestiti da testa di capra. Sì, bisognava uscire fuori, ritornare per le strade e mostrare il volto vero del “Brigante”. Sì, ne avevamo bisogno. Avevamo bisogno di incontrare la nostra Calabria, oggi più che mai, oggi più di ieri. Per lunghi tratti della nostra avventura ci siamo sentiti invincibili, domi. Appagati. Invece abbiamo scoperto per l’ennesima volta che è davvero il silenzio a fare paura. Silenzio nonostante le nostre grida, per l’Alaco innanzitutto, divenuto ormai la nostra ragione di vita. Silenzio. Come quel silenzio che non ti dà pace tanto ti isola dal mondo e dalle verità. Sì, avevamo bisogno di andare via per qualche giorno. Sì, dovevamo raggiungere quei compagni conosciuti e sconosciuti allo stesso momento. Perchè lo sapevamo che c'erano.

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mini mastro_bruno_amatoVorrei continuare il mio percorso tra la gente. Tra la gente di paese, quella semplice e genuina, quelle persone che continuano a conservare il valore delle regole del vivere civile e dell’armonia che dovrebbe essere di nuovo regola di vita. Un paese come lo si identifica? Quando un paese diventa paese? Quando cominciano ad esserci tutti gli elementi principali che, miscelati in un unico impasto, creano una comunità. Il campanile, la Chiesa, naturalmente, specialmente nel meridione, e di fronte la Chiesa la piazza, luogo di incontro, di mercato, dei negozi, di dicerie, di incontri, di baci di adolescenti. Ma un paese si può solamente chiamare tale quando lo si osserva da dentro la “bottega” di un barbiere. E’ un classico: il gilet bianco, i modi gentili, il cavalluccio sul quale ti mettevano a sedere da bimbo, e per aiutare nel lavoro l’artista delle chiome, e per convincere il bambino a starsi fermo. “Stai fermo per la Madonna, finirai per farti tagliare!”. E ogni tanto, l’impaziente genitore molla anche qualche sonoro schiaffone all’irrequieto capellone in attesa di una solenne tosatura. E il paese che mi torna in mente è fatto di bei modi - non di macchine incendiate… -, del ricordo di un genitore che dalla mano ti accompagna da Mastro Bruno. “Buon giorno Mastro Bruno!”. “Buongiorno Professore, come sta la sua Signora? E il bimbo…”. Sorrisi e cortesie nella bottega di Mastro Bruno Amato, che io ho sempre identificato in Figaro, il più famoso “fac totum della città”. Ed alla fine, una bella riga di lato e una caramella prima di scendere da quel cavalluccio che intanto era diventato Furia e dal quale non ti saresti mai alzato anche a costo di farti rapare a zero. E poi il buon odore di quella spruzzatina di acqua di colonia che ti facevano per farti sentire grande e ben ordinato. Da buon serrese, oltre al suo lavoro, Mastro Bruno porta dentro di se sia l’arte dei nostri antenati, sia la fede. E - tra “Bruni”… - amico fraterno di Mastro Bruno Amato è Mastro Bruno Tassone: assieme parlano delle loro serenate e delle loro storie d’amore, quelle della meglio gioventù, quelle di un paese fatto di rapporti umani che non sempre riusciamo a trasferire ai nostri figli, come quei galantuomini che son stati già i nostri genitori.

La sua bottega, al centro del paese, tra Terravecchia e Spinetto, (ora “trasformata” dalla altrettanto brava figlia Santina in una parrucchieria e centro estetico per uomini e donne) è uno di quei punti dove si respira ancora l’ambiente di una volta, carico di storie, di valori, di umanità. Probabilmente dovremmo cercare di riappropriarci della nostra cultura popolare, che guardava di più al paese, alla reale situazione della gente, del proprio vicino. Essere uomini degni. La dignità che non ti permette di propinare acqua velenosa alla gente per soldi, la dignità e la bontà di questi uomini che non permetteva a loro stessi di arricchirsi a dismisura rubando al prossimo e usurpando i diritti del prossimo. Forse, in quelle botteghe, fatte ancora di saluti e di sorrisi, potremmo andare a cercare quell’amore per noi stessi, prima di tutto, l’amore per la nostra storia, le nostre radici. Il senso del bello, mostrato in spose con la chioma piena di fiori e statue di un Santo che forse, offeso per esser stato tradito, avrà girato il suo benevolo sguardo da un’altra parte.

Pubblicato in LO STORTO
mini andreacchi-stillitani
Riceviamo e pubblichiamo
 
 
La politica negli ultimi tempi è cambiata molto. Abbiamo assistito all'uscita di scena di Berlusconi nei panni di presidente del consiglio per dare spazio al cosiddetto governo tecnico che aveva il compito di risanare i conti e di “migliorare” l'immagine dell'Italia, cosa che a quanto pare è avvenuta... Il problema sta nel come! Il presidente del consiglio Mario Monti soprannominato “Super Mario” dai mass media (appellativo che tenta di dare leggerezza e forza allo stesso tempo a un personaggio che in fin dei conti è figlio delle banche e dei poteri forti) ha imposto agli Italiani tasse e tagli in nome dei mercati e dell'Europa. Lo ha fatto ed è stato forte con i deboli e debole con i forti, non c'è stata equità, i commercianti (categoria alla quale appartengo) sono diventati a suo dire gli evasori per eccellenza, si sono toccate in maniera diretta e indiretta le pensioni e gli stipendi, per chi ha la fortuna di prenderlo, poiché anche il mercato del lavoro è crollato, abbiamo assisto a dichiarazioni che additavano i giovani disoccupati come “schizzinosi” o meglio “choosy” per citare il ministro Elsa Fornero, che però non ha problemi a trovare lavoro ai propri figli. Oggi il mio partito ha deciso di legittimare col voto il professore, cosa che non mi trova assolutamente d'accordo, poiché mi sono candidato alle scorse elezioni ho avuto l'opportunità di entrare nelle case e di parlare con la gente, i problemi del popolo non sono i mercati finanziari, i pensieri della maggior parte delle famiglie sono le bollette del gas, dell'energia elettrica, della benzina, del bollo, dell'IMU, delle tasse e infine, ma primo per importanza, di fare la spesa per mangiare.
Fra i valori che dovrebbero identificare l'UDC in primis è spesso menzionata la famiglia, quella di Monti non mi sembra una scelta dettata dai valori che professa questo partito, poiché le famiglie sono state vessate da costui. Se i valori dell'UDC sono mutati i miei non lo sono, e visto che di questi tempi si fa largo uso della parola coerenza, io per coerenza con i miei valori mi dissocio dal partito. Non intendo certo fare una campagna elettorale per Monti. Negli anni ho affrontato insieme a tanta gente delle battaglie che toccano più da vicino il territorio, Serra San Bruno è afflitta oltre che dalle tasse, che la nostra amministrazione non ci risparmia, da problemi sociali che toccano più da vicino la popolazione, come il depauperamento del nostro presidio ospedaliero e l'ormai acclarato problema dell'acqua, problematiche che normalmente affliggono paesi africani meno sviluppati. Battaglie che io ho portato avanti insieme ad altri, per il bene della nostra cittadina e per le quali non ho mai avuto il supporto del partito, l'appoggio indiscusso a Scopelliti nelle scelte in materia di sanità devo confessare che mi ha sempre irritato, penso che un partito debba fare il bene del territorio e non viceversa. Finora ho accettato certe scelte che lo scudo crociato dettava nella speranza di un miglioramento, il quale non è arrivato neanche con l'ingresso di un consigliere provinciale con qualche elemento a seguito, pensavo che un partito “più forte” potesse essere portavoce più efficace per le istanze di questo territorio. Una delusione.
Negli ultimi tempi l'UDC di Serra San Bruno si è trasformato, eravamo in pochi ma buoni e soprattutto leali, le scelte si facevano insieme in maniera collegiale, c'era un progetto politico, si condividevano delle battaglie, si ascoltava la base, eravamo persone venute dal popolo che si battevano per il popolo, oggi invece vedo nei nuovi arrivi solo opportunismo e interesse personale, non si cerca più il modo per portare giovamento al territorio, sfruttando ad esempio il fatto di essere maggioranza alla regione, piuttosto vedo un paio di personaggi che vedono l'approssimarsi della campagna elettorale come una buona occasione per “la cura del proprio orticello”. Persone che se ne infischiano del fatto che la gente fatica ad arrivare a fine mese, ma si sa che, citando un vecchio proverbio serrese, “Lu gurdu non critta mai lu dijunu” (Chi è sazio non ha mai creduto chi è a digiuno). Nel partito ci siamo dovuti prendere coloro i quali sono stati “scaricati” da altri perché scomodi e deleteri, mi sono battuto invano fin dall'inizio perché ciò non avvenisse, ma si sa, il pesce puzza dalla testa.
Ormai sembra di stare su un autobus di linea dove a ogni fermata c'è gente che sale e che scende all'occorrenza.
Un altro problema sconcertante è IL SILENZIO: è strano che un partito che ha preso in carico cinque consiglieri provinciali che fino a poco tempo fa erano in maggioranza, eviti accuratamente di prendere posizione sui recenti avvisi di garanzia emanati nei loro confronti, mi riferisco alle recenti indagini sui fondi antiracket. Naturalmente l'ultima parola spetta sempre alla magistratura, nella quale ho piena fiducia, ma il partito avrebbe dovuto quanto meno sospendere i suddetti ex consiglieri provinciali fino a conclusione delle indagini.
Io faccio politica perché voglio migliorare la società in cui vivo, perché i miei futuri figli possano un giorno ringraziarmi per il contributo che ho dato affinché la loro generazione possa godere di un mondo non perfetto ma migliore.
Nell'UDC lascio amici, con i quali ho condiviso momenti belli e brutti, vittorie e sconfitte, sono certo che un giorno capiranno la mia scelta e la condivideranno, il sentimento di amicizia va al di la della politica, sempre.
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Lunedì, 21 Gennaio 2013 20:47

Le Terre che ballano da sole

mini mormanno“Lu Siettu”. La seduta. In ogni paese, e nel meridione la cosa diventa quasi obbligatoria, c’è un angolo del centro storico eletto dagli anziani indigeni a punto di ritrovo quotidiano. Le facce e i personaggi, in una sorta di equazione che si ripete anche in luoghi molto diversi, sono quasi sempre uguali, e se anche non vi fossero somiglianze somatiche tra i vari personaggi, certamente le assonanze caratteriali, le similitudini antropologiche, aumentano in modo esponenziale. L’impiegato comunale in pensione, l’operaio che ha perso la giornata di lavoro causa maltempo, l’emigrato di ritorno che racconta delle sue avventure e del suo “Klondike”, chi ancora non ha mai lavorato e fa l’opinionista di paese come attività prediletta.

 

Insomma un paese, una micro comunità come tante in Calabria. Lu “siettu” di Mormanno ha una storia. Un muro che costeggia un lato di una chiesa dalla facciata barocca dove gli elementi e i fregi in pietra locale la fanno da padrone. Questo muro era stato preso “di mira” dai commercianti del vicino paese, Laino Borgo, che arrivavano due volte a settimana in quel di Mormanno ad offrire i loro prodotti in cambio di denaro, oppure ancora barattando le proprie mercanzie con altri prodotti dei mormannesi.

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