Venerdì, 18 Novembre 2022 15:43

C’è un elefante nell’ospedale di montagna

Scritto da Salvatore Albanese
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«Nel Vibonese non ci sono medici». Questa cosa che dicono tutti è un’idiozia bella e buona. In realtà nel Vibonese è pieno di medici, basta andare nelle cliniche private e se ne trovano a bizzeffe. Negli anni si è lavorato scientificamente per smontare il pubblico e favorire il privato e il risultato ora è che quest’ultimo brulica di professionisti, mentre il sistema sanitario pubblico nazionale, quasi ovunque, non attira più nessuno (eccetto nei grossi poli di ricerca universitaria). In particolare i piccoli ospedali marginali di provincia come il San Bruno non possono neanche lontanamente competere con le strutture private: sia in termini di retribuzione, sia di condizioni e carichi di lavoro, sia di ambizioni di carriera, crescita professionale e qualità della vita degli operatori sanitari stessi. Voi cosa scegliereste tra lavorare in un contesto disagiato in un luogo anche difficile da raggiungere o lavorare in un ambiente confortevole, senza beghe interne, con strumentazioni adeguate e dove magari si guadagna il doppio? Una volta si facevano carte false per lavorare nel pubblico, per diventare dirigente medico o primario anche di un reparto di un piccolo presidio come il San Bruno. Oggi invece ci si mantiene a debita distanza come se si trattasse di un lazzaretto destinato al ricovero degli appestati.

L'emergenza che stiamo vivendo è un’emergenza diversa da quelle del passato, ma non per questo meno preoccupante. Prima c’erano dei decreti commissariali o degli atti aziendali che, in funzione delle più spregiudicate spending review e di piani di rientro dai disavanzi sanitari poco sensibili rispetto alle reali necessità dei territori, imponevano ridimensionamenti della spesa sanitaria e di conseguenza il taglio di servizi, reparti, personale e posti letto, a volte addirittura di interi ospedali (basti pensare al famigerato decreto 18 di Scopelliti che, in continuità con il lavoro iniziato da Loiero, ha smantellato quasi definitivamente gli ospedali di Serra, Soveria, Acri e San Giovanni in Fiore, classificandoli “ospedali di montagna” come se fosse una tutela, ma riducendoli in realtà al lumicino). Oggi invece la difficoltà oggettiva è reclutare personale nuovo che semplicemente subentri a quello in uscita. La vecchia generazione di medici sta andando in pensione e non si riesce a sostituirla con le nuove leve. I concorsi banditi vanno deserti, mettono in palio posizioni anche geograficamente poco allettanti per i giovani medici, e se per “sbaglio” qualcuno vi partecipa, vince ma dopo un po' si dimette e se ne va.

Come se non bastasse, tutt'attorno è fiorente, quanto inconcludente e confusionaria, l'attività di polemica social, contraddistinta da un'ossessiva ripetizione delle ovvietà, in cui nessuno o pochi entrano nel merito concreto delle questioni. Poca cognizione dei fatti, tante antipatie personali, dispute tra Guelfi e Ghibellini che comportano solo ulteriori perdite di tempo. È sacrosanto che cittadini e istituzioni si mobilitino, ognuno con i propri strumenti, ma è sbagliato che lo facciano battibeccando a vicenda come i capponi di Renzo. È necessario non sprecare energie inutilmente e tenere presente l’obiettivo reale da perseguire in maniera unitaria: serve più Sanità pubblica, più efficace, più efficiente, che ritorni ad essere attraente soprattutto per i medici più giovani anche nei presidi marginali e di montagna. E questo lo si ottiene solo attraverso una programmazione completamente rivoluzionata, che guardi al privato come servizio accessorio del pubblico e non viceversa, che proponga servizi pensati su misura per le effettive esigenze dei territori, ospedali pubblici in cui si guadagni anche di più del privato, dove le gerarchie siano stabili e definite, dove si riconosca ai manager e ai dirigenti autonomia e indipendenza rispetto alla politica, dove non si ricorra ai gettonisti per coprire i vuoti ma si incrementi il personale dipendente in piena ottemperanza di quanto previsto dalle piante organiche, dove ci sia il rispetto della normativa sull’orario di lavoro ed il riposo obbligatorio tra un turno e l’altro, dove le incombenze burocratiche risultino più snelle.

Al momento abbiamo un elefante nella stanza, anzi nella corsia dell'ospedale, impossibile da ignorare, ma invece continuiamo a fare finta di non vederlo: verso chi o che cosa indirizzare la protesta o la proposta, se le classi dirigenti che continuiamo a sceglierci quando andiamo a votare - siano di centrodestra o di centrosinistra - non hanno alcun interesse nel tutelare e potenziare la Sanità e i servizi pubblici, ne’ nel porre freno alla spaventosa crescita della Sanità privata che proprio tra i rappresentanti politici conta i maggiori imprenditori degli istituti clinici? Di conflitto d'interessi, seriamente, in Italia non se n’è mai discusso.

Se non pretendiamo che tutto questo possa finalmente cambiare, in particolare a noi che sopravviviamo nel "piccolo e nero Calimero" comprensorio delle Serre, non resta che sperare che un bel giorno possa arrivare un milionario pazzo disposto a investire una barca di soldoni nella folle costruzione di un megapoliclinico privato in contrada Papararo.

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