Il Vizzarro.it - quotidiano online
Direttore responsabile: Bruno Greco
Redazione: Salvatore Albanese, Alessandro De Padova
Reg. n. 4/2012 Tribunale VV
Sarà il Gruppo folcloristico musico teatrale “Città di Chiaravalle”, sabato 10 con la commedia “Qui gatta ci cova”, a chiudere la stagione artistica, promossa Comune di Chiaravalle, Assessorato alla Cultura, e all’allestimento della quale ha collaborato assieme all’Associazione culturale “Tempo Nuovo” e all’Associazione culturale “Dinamicamente”.
Volge al termine così un cartellone ricco e variegato, voluto per coinvolgere differenti target di spettatori, che ha spaziato dalla prosa, alla musica passando dalla classica alla proposizione di brani cult di successo internazionale, dal varietà, alla magia, alla prosa, al teatro impegnato, al teatro in vernacolo che dà respiro alle tradizioni locali.
Un cartellone che ha registrato il patrocinio della Provincia di Catanzaro, del Consorzio di Metanizzazione delle Preserre, con i Comuni di Argusto, Brognaturo, Cardinale, Capistrano, Cenadi, Centrache, Gagliato, Monterosso, Olivadi, Palermiti, Petrizzi, Polia, Torre Ruggiero, San Nicola da Crissa, San Vito sullo Ionio, Simbario, Spadola e Vallelonga.
Concluderà in bellezza dunque il Gruppo folcloristico musico teatrale “Città di Chiaravalle” (Gfmt), una realtà che da quattro decenni si fa testimone e interprete di costumi ed usi del territorio locale, e più ampiamente regionale.
Con la regia di Salvatore Russo, sabato 10 maggio alle ore 21 presso il Teatro “Impero”, porterà in scena la rappresentazione in tre atti “Gatta ci cova” dell’autore siciliano Antonio Russo Giusti. Una pièce che può a pieno titolo considerarsi uno dei capolavori del teatro in vernacolo. Ambientata nella Sicilia rurale del primo ‘900, ma riproposta calandola nel contesto calabrese, narra la storia di don Ciccio, padrone di una bella e operosa masseria, il quale, anche a causa di un incidente accadutogli da bambino, alterna momenti di infantile ingenuità ad altri di sottile arguzia contadina. Uomo buono e generoso, ha a cuore la terra avuta in eredità dalla madre, intende difenderne il possesso non tanto per sé, quanto per assicurare serenità e lavoro ai suoi dipendenti e per continuare le opere assistenziali e benefiche, intraprese seguendo gli insegnamenti materni. A lui si contrappone la sorellastra Antonia, donna avida e senza scrupoli, perfida e calcolatrice, decisa a tutti i costi a impadronirsi dei beni del fratello. Ci si trova insomma alla classica eterna lotta tra il buono ed il cattivo, tra il bene ed il male e i due contendenti si affidano all’unico strumento che sembra poter stabilire una verità imparziale: la legge!
Ma, come troppo spesso accade, la giustizia umana si perde dietro una serie di cavilli e sotterfugi, di lungaggini e burocrazie e finisce per allontanarsi dalla reale essenza dei fatti e delle cose. Per fortuna, ed è questa la vera morale della storia, c’è un’altra giustizia, la si chiama “fato”, “provvidenza” o “volontà divina”, capace di intervenire e ristabilire una volta per tutte la verità e il diritto.
Sono interpreti della rappresentazione: Massimo Hauber, Simona Gigliotti, Valentina Maida, Antonietta Caruso, Carmelo Principe, Loredana Capano, Giuseppe Sestito, Pino Daniele, Toto Sestito, Luigia Procopio, Gaspare Mazzara, Ciccio Maida, Roberto Servello, Mario Suppa e Salvatore Russo.
Per informazioni e prenotazioni si può contattare il Gruppo folcloristico musico teatrale “Città di Chiaravalle” ai numero 3291249136 e 3473453525, rivolgersi all’Associazione “tempo nuovo” chiamando allo 0967/92186, si può ancora visitare il sito www.teatrotemponuovo.it
Un concerto pianistico di spessore, con il precedente appuntamento, ha regalato al pubblico del Teatro “Impero” l’esibizione del musicista Stefano Spitali. Proveniente dal capoluogo lombardo, Spitali ha trascorso qualche tempo fa un periodo di vacanze nella cittadina preserrese, colpito dall’ospitalità ha deciso di offrire un suo spettacolo che è stato inserito in cartellone.
L’artista, diplomato presso il conservatorio “Verdi” di Como, vanta un’intensa carriera concertistica, in veste di solista e camerista, che lo ha condotto anche nel 2009 ad esibirsi presso l’Universidad Nacional de Bogotà in Colombia.
Da Bach a Beethoven, da Chopin a Liszt, facendo richiamo a testi poetici e miti antichi, si è snodato il viaggio musicale ed emozionale proposto dal maestro Spitale.
D’estate Serra sembra più linda del solito. Lucidata dal vento, splende folgorata dai raggi del sole come la faccia scintillante di una moneta d’argento. Una lastra di granito rovente. Mentre la montagna intorno respira e ti guarda sorniona. In silenzio. Fotogrammi per l’inizio di un film che ritorna e porta con se sillabe di memoria. Nitide e brevi. A torso nudo senza maglia sul balcone, le ginocchia sbucciate di un bambino, la catena di una bicicletta, il fiume in secca, un pallone, il profumo delle polpette fritte a mezzogiorno che filtra dalle finestre e ti investe le narici. Le delizia. Le inebria. Schegge preziose con dentro un piccolo alito di estate, un sapore di quiete. Minimi ingredienti di libertà. Piccoli approdi dentro i quali avvengono misteriosi passaggi. Qualcosa che poi, negli anni ritrovi per magia, con una malinconia dolce, un fiotto di tenerezza. Dentro ogni estate sta un amore, un’amicizia sbocciata, un ritorno e a volte, purtroppo, anche un distacco. Dentro ogni estate sta un volto. Almeno uno. L’estate di due anni fa ebbe il volto ruvido e vissuto di un avvocato reggino. I capelli lunghi raccolti da un elastico dietro la nuca, la barba disordinata, gli occhi torbidi e vispi. La voce da citofono, fioca e cadenzata. Le parole giuste, le idee fresche e brillanti, profumate come una rivoluzione. Si vestiva male, ma non lo sapeva.
Si chiamava Ciccio Svelo. L’avvocato Ciccio Svelo. Si, si chiamava, perché poi l’estate successiva fu sempre sua, ma con un sapore diverso. Molto diverso. Il sapore del distacco. Dell’addio che non ti aspetti, perché a quel punto non lo avresti mai immaginato. Troppi progetti in sospeso, tanti traguardi da raggiungere. Rimasti a metà come disegni da colorare. Eppure se n’è andato. E’ morto il 24 luglio scorso. Lo sentivo familiare quanto un vecchio compagno di banco, nonostante l’avessi conosciuto per un solo anno. Troppo poco. Sbucato fuori all’improvviso, con la stessa imprevedibilità se n’è andato. Nel silenzio della sua casa di campagna, portandosi dietro tutto quello che aveva. La sua storia preziosa e simbolica, romantica e temeraria. Ma allo stesso tempo lasciandoci molto, anzi troppo. Tanto quanto basta per continuare a costruire, a resistere, a ribellarsi. Lo trovarono dopo due giorni, il 26, come oggi. Steso sul divano, circondato dalla solitudine che amava costruirsi intorno e con le immagini del tv-color accesso che gli scorrevano riflesse sugli occhiali come i titoli di coda di una vita disordinata ma intensa. Ciccio era uno di quelli che la Calabria la rendeva bella, giusta ed onesta. Uno di quelli che lotta e non si arrende mai. Un esempio. Per tutti.
Sento ancora sul collo lo schiaffo che mi diede quando gli dissi che un po’ mi preoccupavano le minacce di querela del sindaco che aveva sguazzato nella questione Alaco, il lago malato. Lo sento sulla nuca. Lo sento ridere a crepapelle, perché come diceva lui, a Serra gli avevamo insegnato due cosa: “a ridere e a mangiare”. E rimaneva estasiato dalle cene maratona del Brigante: “Non ho mai visto delle persone mangiare con tanta assiduità e costanza!”. Si era innamorato di Serra e Serra lo amava. Io lo avevo conosciuto dopo una manifestazione ai piedi della diga Alaco, del collettivo per l’acqua pubblica. Apparve sornione come in un sogno, con i suoi modi bizzarri, calibrati su un cuore sproporzionato. “Ma chi è mò questo?” Mi rispose a suo modo, dopo qualche mezz’ora quando prese di petto Don Beppe Scopelliti, per casualità a Serra quella domenica, e lo mise spalle al muro, con in mano una bottiglietta con l’acqua avvelenata del lago e nell’altra l’eterna sigaretta di tabacco arrotolata nella cartina nera alla liquirizia. Niente di che al confronto di cosa sarebbe stato. Un uragano, un’ira di dio. Come un tornado che arriva scompiglia tutto e se ne va.
Ciccio si è spento da un anno. E’ morto in un giorno di luglio. Il conto arrivò puntualmente e la forma offrì una continuità con il resto. Nudo e solo come un bambino violentato, ci lasciò così come era comparso. All’improvviso. La sua morte tragica e persino simbolica nella dinamica, ebbe attorno un’amarezza da rimpianto, una lista di sensi di colpa lunghissima. Perfino per noi che eravamo stati avvertiti. Avvisati con anticipo.
Ciccio è stato decisivo. Perché era uno con le palle, che se ne fotteva del bon ton, delle frasi confezionate, prevedibili, previste. Perché ha regalato a tutti un’idea di giustizia e coraggio. A ciascuno di noi.
Ho avuto fortuna. Ho conosciuto Ciccio Svelo, giusto in tempo. E lui mi aiuta ancora. Ce l’ho qui adesso, come allora, per ricordare come andarono le cose sue e nostre, per riassaporare l’illusione di avere tempo a sufficienza per prendere il dovuto. Fare tesoro delle sue parole, dei suoi insegnamenti utili a togliere di mezzo la muffa, ciò che pare così vecchio e triste da risultare trascurabile nel momento in cui pare indispensabile guardare avanti dentro un’ipotesi di illuminata semplicità. Non ne avevamo di tempo, purtroppo. Allora senti che persone come Ciccio ne servirebbero a quintali. Ne servirebbero quanto meno per provare ad imitarli, per tirare un sasso nello stagno evitando di nascondere la mano, il braccio, la faccia. Stammi bene, avvocato Ciccio Svelo.
Mentre camminavo tra le ceneri del C.s.o.a. “Cartella” di Reggio, ieri, l’odore delle travi bruciate, delle cucine andate in fumo e della cenere e di tutto il resto, mi dava la nausea. Non era solo un fatto fisico, l’ho capito appena mi sono allontanato: ragionando sull’accaduto con i compagni del Brigante ho subito sentito un grande sconforto. E una nostalgia fortissima e irrazionale per Ciccio Svelo. L’assemblea pomeridiana, partecipata e incoraggiante, mi ha un po’ risollevato, ma l’amaro in bocca, andando via da quel cumulo di macerie, è rimasto eccome. Ed è tornato a diventare nausea quando ho letto i comunicati di solidarietà che inondano la rete.
Più che la retorica sulla funzione sociale (che tutti scoprono solo oggi) di uno spazio come il “Cartella”, dovrebbe interessare la matrice di quest’azione. Le svastiche disegnate con la bomboletta rossa, per esempio, sono insolite per chi vorrebbe rivendicare politicamente un atto violento di matrice anticomunista. L’incendio, questo è palese, è stato appiccato da mani “esperte”, che dovevano avere la sicurezza del controllo del territorio.
Reggio è una città difficile. Dall’inizio degli anni ’70, dalla rivolta dei “boia chi molla” di Ciccio Franco, progenitore politico di Scopelliti, nella città sono costantemente presenti apparati di potere occulti che troppo spesso hanno goduto della collaborazione – è storia – tra la borghesia ‘ndranghetista, l’eversione nera e i servizi segreti deviati. Apparati sempre presenti, redivivi. Che forse vacillano e quindi reagiscono. Qui quello che conta è il territorio. Il controllo capillare dell’economia e del consenso.
Il territorio è l’obiettivo dei ragazzi del Cartella, come di molte altre realtà sociali che in Calabria stanno per la prima volta facendo rete. Hanno occupato spazi che erano stati pagati con soldi pubblici, dei cittadini, ben presto finiti nel degrado, in mano ai caporioni delle ‘ndrine di Gallico, dei Iannò e dei Suraci e di molte altre “famiglie”. Hanno combattuto lo spaccio di eroina, che in quella piazza, prima che arrivassero loro, era prospero. Hanno fatto teatro, hanno organizzato servizi per gli immigrati, hanno creato forme di microeconomia sostenibile. Sono stati avvertiti tante volte, minacciati, che quando sarebbe stata l’ora, da lì avrebbero dovuto andarsene. L’ora a quanto pare è arrivata. Ma non se ne vanno, e provano a convincerli con le fiamme.
Quello spazio è strategico, appetibile per molti. Con i lavori del lungomare e lo svincolo A3 a pochi metri, l’area ha un potenziale commerciale su cui qualcuno vuole mettere il cappello, anzi la coppola. Poi i ragazzi parlano, scrivono, fanno un sacco di iniziative, cercano di riprendersi la periferia. Ovvio che danno fastidio. Non deve sorprendere, quindi, se in questo surrogato di democrazia che è l’Italia, la prima preoccupazione del ministro Cancellieri è il popolo No Tav - e non, ad esempio, lo strapotere della ‘ndrangheta o il voto kazako di Catanzaro - se il potenziale leader del centrotrattinosinistra dice che bisogna negare l’ambulanza a chi non paga le tasse, se nessuna istituzione (Comune, Provincia, Regione) sente il dovere di schierarsi incondizionatamente al fianco dei ragazzi del Cartella. La discussione, oggi, non è sul loro operato, né sulla loro ideologia politica. La gravità e la violenza dell’atto che hanno subìto impongono una riflessione a livello superiore. In Calabria, ma non solo, ci sono persone che impegnano il proprio tempo a lavorare per sottrarre spazi e persone al degrado, alla malavita, all’abbandono. Quello che fanno può anche non piacere, è discutibile come ogni cosa, ma di fronte ad un’aggressione del genere, non si può cedere a timidezze o a personalismi. Bisogna stare con loro e aiutarli a ricostruire, con i fatti. Perché è chiaro da che parte stanno, non c’è ambiguità. Quello che non è chiaro, purtroppo, è da che parte sta lo Stato.
Assegnata al Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua la menzione speciale del premio “Personaggio Ambiente 2011”. Di seguito la nota del Forum.
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