Venerdì, 31 Dicembre 2021 13:55

L’anno che verrà

Scritto da Francesco Barreca
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Non è stato un anno facile per la Calabria. Non lo è stato per via della situazione politica – la tragica e prematura morte della presidente Jole Santelli, avvenuta il 15 ottobre 2020, ha precipitato la regione in una lunga campagna elettorale fatta, più che di programmi, di regolamenti di conti e di conti ragionieristici, con le questioni irrisolte sempre più sullo sfondo, soltanto sfiorate dagli slogan e dalle vaghe promesse elettorali. Per un anno intero la politica si è occupata soprattutto di beghe interne, di accordi da ridefinire, di posti in consiglio da assicurarsi e da segnali da mandare ai vertici dei partiti e delle coalizioni in funzione della situazione politica nazionale.

Gli ultimi posti nelle classifiche sulla qualità della vita

Un altro anno perduto, dunque, l’ennesimo per un territorio che arranca agli ultimi posti nelle classifiche sulla qualità della vita: in quella 2021 de Il Sole 24 Ore Crotone rimane saldamente all’ultimo posto, il 107, Vibo si conferma poco più sopra, al 104, appena più giù di Reggio Calabria che con un calo di sei posizioni si ferma al 101, peggio di Catanzaro (96) e Cosenza (88). Per quanto classifiche di questo tipo siano discutibili e problematiche, rimangono comunque un indicatore – per quanto parziale – della portata di problemi reali. Un altro anno perduto per un territorio che avrebbe un bisogno disperato di servizi e infrastrutture ma in cui il dibattito politico si riduce spesso alla guerra fra bande e il bene comune è trattato come elargizione di benefici sulla base della fedeltà personale.

Una pioggia di milioni in arrivo 

Con un ambizioso Pnrr alle porte (leggi Chiacchiere e resilienza: per il Sud, il Recovery Plan è questo e poco altro), è facile immaginare come l’intera struttura sociale para-feudale calabrese si metta in moto per assicurare la consueta spartizione della pioggia di milioni che arriverà, lasciando ancora una volta la situazione esattamente quale era prima. Le condizioni degli enti locali, intanto, si aggravano, allontanando ancora di più i cittadini dalle istituzioni civili più prossime e invischiandoli ulteriormente nelle reti clientelari e nella dinamica beneficio/obbligo che mina alla base il formarsi dell’idea di un territorio, di una comunità, di un bene comune e collettivo.

Lacrime e sangue per gli enti locali

La situazione già disastrosa degli enti locali è stata ulteriormente aggravata dalla sentenza della Corte Costituzionale del 29 aprile che ha dichiarato incostituzionali le norme che permettevano ai comuni di spalmare fino a 30 anni i propri debiti e ha imposto piani di rientro ravvicinati, sarebbe a dire le lacrime e sangue. E per la Calabria tante lacrime e tanto sangue. Secondo un rapporto del CSEL (Centro Studi Enti Locali), al 31 dicembre 2020 i comuni calabresi in dissesto o in riequilibrio erano 279 su 404, sarebbe a dire il 70% o, per essere ancora più chiari, sette su dieci. Sette comuni calabresi su dieci al 31 dicembre 2020 erano in fase di dissesto o di rientro, e in questa triste classifica la Calabria, ça va sans dire, è stabilmente prima, così come è stabilmente prima nell’altrettanto triste classifica storica del numero di dissesti dal 1989 a oggi.

L'ultimo avamposto del feudalesimo

Il problema è che la Calabria, per le sue particolari caratteristiche demografiche (leggi L’ultimo avamposto del feudalesimo) tende più di altre regioni a soffrire la crisi generalizzata degli enti locali, la cui capacità di spesa e di manovra è stata negli ultimi decenni significativamente ridotta facendo pesare su di loro il costo di politiche nazionali improntate al conseguimento di un rapido consenso elettorale. In una regione in cui la popolazione risiede perlopiù disseminata in piccoli comuni malamente collegati tra di loro gli effetti della crisi degli enti locali sono stati disastrosi: i calabresi vivono in comuni isolati e con le casse vuote, gestiti da amministrazioni con scarsi o scarsissimi poteri d’intervento su temi come il lavoro e la sanità e condannate ad aspettare il favore dal presidente, dall’assessore dal consigliere, dal commissario, dal deputato.

L’anno che verrà, dunque, sarà migliore? Non credo, purtroppo. Non solo per i dati richiamati sopra, ma anche perché – forse sbagliando, visto che non vivo in Calabria – mi sembra che la narrazione della Calabria fatta dai calabresi stessi tenda a rifugiarsi sempre più in una retorica spiccia, un realismo magico intriso di lirismo e di nostalgia per i bei tempi andati, per il si stava meglio quando si stava peggio. Non mi pare che questa sia una buona cosa. La rassegnazione non è mai una buona cosa. Immaginarsi un passato felice che forse non è mai esistito spesso conduce ad arrendersi al presente, e questo la Calabria non può permetterselo.

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