Domenica, 14 Gennaio 2024 09:42

Dispersi, smarriti e “ritrovati”. I libri della Certosa dopo il terremoto del 1783

Scritto da Tonino Ceravolo*
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La biblioteca della Certosa di Serra San Bruno La biblioteca della Certosa di Serra San Bruno

Era rimasto fortemente deluso il barone Johann Hermann von Riedesel nel visitare la biblioteca della Certosa durante il suo tour nel meridione d’Italia nel biennio 1766-1767, di cui avrebbe lasciato testimonianza nel volume Reise durch Sicilien und Großgriechenland pubblicato a Zurigo nel 1771. Una delusione talmente tenace da fargli ritenere il suo viaggio a Serra inutile, anche perché le uniche dotazioni antiche e rare della biblioteca sarebbero state, a suo dire, le carte contenenti le donazioni e i privilegi con cui la superstizione e il fanatismo dei re di Napoli avevano beneficiato i monaci. Un giudizio impietoso che, tuttavia (e a ben vedere), è da mettere fondatamente in discussione o da considerare almeno molto parziale se è vero che non trova corrispondenza nella documentazione attualmente disponibile.

Un “ricco corredo di libri”

In realtà, già Mons. Andrea Perbenedetti, vescovo di Venosa, nel corso della sua visita apostolica alla Certosa del 1629 aveva avuto modo di individuare i libri contenuti nella chiesa conventuale per uso liturgico (messali, salterii, graduali) e di osservare come la biblioteca fosse munita di volumi che “dissero del valore di seimila ducati”. E Vito Capialbi, nelle Memorie delle tipografie calabresi edite nel 1835, aveva osservato: “La biblioteca, sebbene il Barone di Riedesel (Viaggio in Sicilia) dica che ciò ch’essa racchiudeva di raro, erano carte antiche, carte contenenti le donazioni, ed i privilegi, di cui i Sovrani del Regno di Napoli avevano gratificati que’ ricchi Monaci: pur non ostante posso assicurare ch’era copiosa di libri di Teologia, Morale, Scrittura, SS. Padri, e specialmente di Diplomatica, e di Storia per l’aumento che le aveva recato il P. D. Benedetto Tromby mio concittadino, dotto Monaco Certosino, il quale per quaranta anni lavorò indefessamente alla difesa delle famigerate cause promosse nel secolo scorso contro quella S. Casa di sua professione, e alla compilazione della Storia Cartusiana […] la quale costò alla Certosa più, e più migliaja di scudi per la perquisizione, e per le copie de’ documenti tratti dalle prime biblioteche Europee, per l’acquisto del ricco corredo di libri, e mss. che all’autore furono necessarii […]. Il P. Tromby aveva lasciato tutta la doviziosa suppellettile di tali acquisti nella biblioteca della detta Certosa, ove pure andarono ad essere depositati i libri matematici, e astronomici del dotto P. D. Saverio Cannizzari, già Priore di quel Monistero dal 1766 al 1776, trapassato nella Grangia di Gagliato alli otto gennajo 1784”. Ne fornisce un chiaro riscontro, già in relazione al solo XVI secolo, l’inventario predisposto dalla Congregazione dell’Indice tra il 1599 e il 1603 al fine di censire le raccolte di libri presenti nelle biblioteche monastiche e conventuali italiane. Tra le comunità monastiche che risposero all’inchiesta quella di S. Stefano del Bosco, da poco meno di un secolo recuperata all’ordine certosino, fu, indubbiamente, tra le più solerti e precise. In riferimento a essa vennero registrati i volumi “a uso della chiesa”, quelli presenti nelle celle del priore e dei monaci, i libri conservati nelle grange e, persino, i “libri dei vassalli” dei casali di Serra, Spadola, Bivongi, Montauro e Gasperina, dipendenti dal monastero: 882, per un totale di un migliaio di volumi, erano le edizioni conservate presso la cella del priore Dom Bertrand Chalup e nelle celle dei monaci, 198 le edizioni appartenute alle grange, 729 quelle censite nelle abitazioni dei vassalli. 

Tre volumi sopravvissuti al disastro

Successivamente al terremoto del 1783 dell’imponente patrimonio librario ospitato nella biblioteca non rimase pressoché nulla. Tre soli libri, riconoscibili perché timbrati con l’antico sigillo di una doppia S (= Domus Sanctorum Stephani et Brunonis), “sopravvissero” al disastro e sono tuttora presenti nella collezione libraria certosina, che oggi supera la consistenza di 20.000 volumi. Si tratta di San Pier Damiani, Operum, tomo I e Operum, tomo II rilegato insieme con il precedente, nonché di Ambrogio Calepinus, Dictionarium undecim linguarum. Non è, qui, fuor di luogo segnalare come un altro antico libro della raccolta (la Historiarum Domini Antonini, pars tertia, del 1517) si salvò, in mezzo a numerose altre cinquecentine andate disperse, perché da tempo “trasferito” da Serra nel vicino convento di San Domenico in Soriano. E mentre per i documenti archivistici del monastero l’iter seguito dalle carte, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi della Calabria Ultra (15 maggio 1784) e all’istituzione della Cassa Sacra (4 giugno del medesimo anno) - sorta per “introitare tutte le rendite dei luoghi pii della Calabria Ulteriore […] da impiegarsi nella restaurazione della medesima […]” - appare abbastanza definito, il contrario accade per la biblioteca monastica, della quale, allo stato attuale delle ricerche, non sembrano facilmente ricostruibili con precisione i canali attraverso cui si produsse il suo quasi totale depauperamento. 

Il “cibo delle anime” ritrovato

All’oscurità in merito alle strade seguite per la dispersione dei volumi della biblioteca originaria, corrisponde, dall’altro lato, un’attendibile conoscenza dei percorsi attraverso i quali la dotazione libraria del monastero venne ricostituita. Le accurate ricerche di Dom Basilio M. Caminada, per più di trent’anni bibliotecario e archivista della Certosa calabrese, consentono, infatti, di ricostruire come, sulle ceneri del patrimonio andato perduto, sia stato possibile, a partire dalla metà del XIX secolo, edificare una nuova e ricca biblioteca. Tre furono le “strade” principali percorse dai libri che ricominciarono ad affluire in Certosa: le donazioni e restituzioni di privati, non ultimi alcuni sacerdoti serresi; i “lasciti”, così come in misura minore anche per l’archivio, provenienti da altre Certose soppresse; gli acquisti, incoraggiati e promossi dai priori certosini di Serra, a iniziare da Dom Vittore Francesco Nabantino, il priore della “seconda restaurazione” rimasto in Calabria dal 1857 al 1863 (“Nel 1857 - scrive Dom Basilio Caminada - si dovette iniziare da zero! Si cominciò con il più grande acquisto che si può immaginare per una biblioteca religiosa: un superiore colto, scrittore, energico, intraprendente”). Qualche ragguaglio in più sulle donazioni di privati, visto il loro interesse per la storia del territorio, sembra opportuno, in particolare per la famiglia serrese dei Tedeschi, che mediante Mons. Bruno Maria, arcivescovo di Rossano, e il canonico Anselmo intrattenne frequenti e fecondi contatti con la Certosa. Dal primo vennero, per limitarci ad alcuni libri, la Storia di S. Brunone Patriarca del Sacro Ordine Cartusiano di Ercole Zanotti, “comperato da Don Avenia nell’anno 1813” secondo una scrittura contenuta nel volume; la Vita della beata vergine Gertruda di Giovanni Lanspergio, rilegato insieme con il Libro della spiritual gratia, delle rivelationi e visioni della B. Metilde Vergine del medesimo autore; la Biblia Maxima Versionum in 19 volumi in folio, nella quale, “a futura memoria”, si legge una nota autografa del Tedeschi, risalente al 15 giugno 1812, in cui si dice che “questa opera fu dal sottoscritto comperata da D. Tommaso Torcia cui dal governo fu data cogli altri mobili, che ciascun monaco avea nella propria camera giusta il Reale decreto: l’ho pagata ducati dodici in contanti […]”. Il canonico Anselmo, da parte sua, per esempio donò la Theologia moralis practica del certosino Dom Innocent Le Masson e Il Trionfo della S. Sede e della Chiesa contro gli assalti dei novatori combattuti e respinti colle stesse loro armi di Don Mauro Cappellari (Gregorio XVI). Per il tramite di queste vie, la biblioteca, indispensabile complemento della vita di preghiera e di meditazione dei monaci, fu lentamente ripristinata e con i libri, non a caso definiti dal certosino Guigo I come “il cibo delle nostre anime”, si ricostituì quel silenzioso presidio di parole che quotidianamente accompagna, fianco a fianco si potrebbe dire, l’esistenza della comunità monastica.

*Storico, antropologo e scrittore, cura per il Vizzarro la rubrica Nuvole

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